ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 226/2024

1 Dicembre 2024

Che fine ha fatto l’Irpef? (prima parte)

Ruggero Paladini ricorda che la Legge di Bilancio conferma la riduzione degli scaglioni Irpef a 3, ma spiega che gli scaglioni effettivi sono 3 solo per pochi contribuenti. Infatti, le detrazioni fanno sì che molti ne hanno 4 per l’anno in corso, e i lavoratori dipendenti, l’anno prossimo, ne avranno 6. Considerando anche i due bonus gli scaglioni diventano otto. In questa prima parte Paladini spiega come si è arrivati a questa situazione che fa a pugni con tutta la teoria della progressività. Nella seconda parte illustrerà una possibile alternativa.

1. Scaglioni e detrazioni decrescenti. La principale imposta del nostro sistema tributario, l’Irpef, ha subito negli ultimi vent’anni una serie di maltrattamenti; in particolare il governo attuale ha esplicitato, con la legge delega in materia fiscale (14 agosto 2023 n. 111) l’obiettivo di giungere ad un sistema ad aliquota unica (flat tax). Con la legge di bilancio (LdB) per il 2025 si confermano i tre scaglioni dell’Irpef, introdotti provvisoriamente con la precedente legge, con le seguenti aliquote: 23% fino a 28.000 euro; 35% fino a 50.000 euro e 43% dopo i 50.000 euro. Tuttavia la gran parte dei contribuenti (circa il 93%) avrà quattro scaglioni (pensionati ed autonomi) o sei (lavoratori dipendenti) e le aliquote saranno tutte differenti, salvo l’ultima, cioè quella del 43%. La ragione dipende dalle detrazioni per tipologia di reddito, che non sono fisse, ma decrescono fino ad annullarsi a 50.000 euro.

Rappresentate graficamente (v. Grafico 1) le detrazioni sono tre spezzate che hanno un tratto iniziale costante e poi decrescono.  

Grafico 1: Detrazioni 2024

L’imposta netta è determinata sottraendo dall’imposta lorda la detrazione; per i lavoratori dipendenti questa rimane costante a 1.955 euro fino a 15.000, poi si riduce di 9,15 euro ogni cento, fino a 28.000. Quella per i pensionati è la stessa, ma rimane costante fino a 8.000, e si riduce di 6,44 euro anch’essa fino a 28.000. Per effetto di queste detrazioni, il primo scaglione viene spezzato in due: per i lavoratori dipendenti da 0 a 15.000 l’aliquota è del 23, da 15.001 a 28.000 l’aliquota complessiva è del 32,15. Per i pensionati da 0 a 8.000 è sempre del 23 e da 8.001 a 28.000 l’aliquota complessiva è del 29,44. Per gli autonomi (ovviamente quelli che optano per rimanere nell’Irpef) il primo scaglione è più breve (fino a 5.500) mentre sul secondo (fino a 28.000) l’aliquota implicita è del 3,26. In tutti e tre i casi la detrazione da 28.000 a 50.000 scende meno velocemente.

Pertanto nel 2024 tutti coloro che percepiscono redditi non superiori a 50.000, hanno quattro scaglioni, con la seconda e terza aliquota diversa: i lavoratori dipendenti hanno 23 – 32,15 – 43,68 – 43. I pensionati hanno 23 – 29,44 – 38,18 – 43. Gli autonomi hanno 23 – 26,26 – 37,27 – 43. Solo per chi ha un reddito superiore a 50.000 le tre aliquote formali sono tre: 23 – 35 – 43. I lavoratori dipendenti hanno maggiori detrazioni ma anche due aliquote marginali più elevate.

Va chiarita la ragione per cui la detrazione da lavoro dipendente sale da 1.955 a 3.100, una volta superati i 15.000 euro. Ciò dipende dal fatto che, a questo livello di reddito, cessa il diritto all’ex-bonus Renzi, ora trattamento integrativo (1.200 euro per chi lavora tutto l’anno). Questo bonus è stato infatti classificato come maggiore spesa, non come minore entrata; formalmente quindi non fa parte della struttura dell’Irpef.

2. LdB 2025 e aliquote che crescono. Nel prossimo anno le cose non cambieranno per pensionati ed autonomi, mentre per i lavoratori dipendenti vi è una rilevante novità: viene abrogata la fiscalizzazione dei contributi a carico dei lavoratori e sostituita da un nuovo bonus (con tre percentuali decrescenti: 7,1 -5,3 -4,8) fino a 20.000. Anche questo bonus è un trasferimento monetario che non fa parte della struttura dell’imposta. Oltre questo livello vi è una detrazione aggiuntiva di 1.000 euro, costante fino a 32.000, e poi linearmente decrescente fino a 40.000.

Questa nuova spezzata risolve l’inconveniente causato dall’interruzione della fiscalizzazione a 35.000, per cui superando questa soglia si incorreva in una perdita di oltre 1.000 euro. Con questa novità le detrazioni avranno l’andamento descritto nel Grafico 2.

Grafico 2: Detrazioni 2025

Alle nuove condizioni, la detrazione per i dipendenti tra 32.000 e 40.000 si riduce di 12,5 euro ogni 100, per cui l’aliquota marginale complessiva (formale del 35 + le due implicite 8,68 e 12,5) diventa del 56,18%; inoltre il suo inserimento all’interno del terzo scaglione fa sì che gli scaglioni per i lavoratori dipendenti divengano sei: 23 – 32,15 – 43,68 – 56,18 – 43,68 – 43.

A queste aliquote i contribuenti devono aggiungere le addizionali regionali e comunali; là dove sono strutturate a scaglioni i limiti sono ancora quelli precedenti, il che porta ad ulteriori complicazioni.

Da notare che la riduzione degli scaglioni formali dell’Irpef era stata presentata come l’inizio di una strada verso la flat tax; la strada, peraltro, sembra ancora decisamente lunga. Ovviamente ciò vale per i lavoratori dipendenti e i pensionati, perché per molti autonomi (tutti quelli con ricavi non superiori a 85.000) la possibilità di accedere al reddito forfettario con aliquota al 15 è già vigente e praticata (probabilmente ormai la maggioranza ha compiuto l’opzione).

Come accennato, i due bonus – l’ex-bonus Renzi e quello nuovo che sostituisce la fiscalizzazione – sono erogazioni e non fanno parte organica dell’Irpef. Tuttavia essi entrano nel portafoglio di lavoratrici e lavoratori, per cui dal loro punto di vista la situazione, tenendo conto di detrazioni e bonus, è descritta nel Grafico 3.

Grafico 3: Detrazioni e bonus per lavoratori dipendenti

Il grafico sembra una brutta copia dell’Earned Income Tax Credit statunitense; va, comunque, tenuto presente che molto difficilmente si troveranno redditi imponibili sugli 8.000 euro, dato che l’ex bonus Renzi scatta a 8.177 euro quando l’Irpef diviene positiva (remunerazione di 9.006, contributo del lavoratore di 9,2%). Vi è pertanto un forte incentivo a superare le remunerazioni di 9.000, e far scattare il bonus, con vantaggio sia per il lavoratore che per il datore di lavoro. Le aliquote quindi sono: -7,1 – 17,7 – 27,35 -32,15 – 43,68 – 56,18 – 43,68 – 43, e gli scaglioni sono divenuti otto; il primo (fino a 8.500) ha un’aliquota negativa, mentre il secondo è diviso in due: al posto di 32,15 compaiono due aliquote (17,7 e 27,35) per l’operare del vecchio e nuovo bonus (con aliquote 5,3 fino a 15.000 e 4,8 da 15.000 a 20.000).

Per coloro che lavorano tutto l’anno le misure replicano quasi perfettamente la LdB dell’anno scorso (con l’estensione ai soggetti fino a 40.000), mentre per chi ha redditi per periodi più brevi o altri redditi oltre quello da lavoro dipendente ci sono avvantaggiati e svantaggiati (si veda l’audizione del UPB del 5 novembre).  

3. Origine e storia delle aliquote. Per comprendere come si sia giunti ad una tale dissociazione tra aliquote formali ed aliquote effettive, nonché alla differenziazione tra le categorie di contribuenti, si deve risalire ad una ventina di anni fa, quando Tremonti, all’inizio della XIV legislatura propose una riforma fiscale per cui l’Irpef (che avrebbe dovuto divenire Ire, perché applicata non solo alle persone fisiche ma anche agli enti non profit) sarebbe stata strutturata in due soli scaglioni, con aliquote del 23 e del 33. Quella del 23 si applicava a redditi fino a 100.000, interessando, all’epoca, circa il 99,5% dei contribuenti. In sostanza l’obiettivo era una (quasi) flat tax.

Poiché l’aliquota più bassa in vigore nel 2002 era 18, portarla a 23, lasciando invariate le detrazioni, avrebbe comportato la conseguenza che alcuni lavoratori, in precedenza esenti, avrebbero subito un aggravio. Le detrazioni furono sostituite da deduzioni tali da esentare i lavoratori dipendenti fino a 7.500, i pensionati fino a 7.000 e gli autonomi fino a 4.500 euro. La destra infatti preferisce le deduzioni alle detrazioni (a parità di gettito) perché più favorevoli ai redditi alti. Ma questo è vero per deduzioni fisse; invece nel primo modulo della riforma del 2003 le deduzioni per lavoro erano linearmente decrescenti, terminando a 33.500 per i lavoratori dipendenti, 33.000 per i pensionati e 30.500 per gli autonomi, e tali rimasero nel secondo modulo quando gli scaglioni furono ridotti a quattro e l’aliquota maggiore scese da 45 a 43.

Nel 2003 gli scaglioni erano cinque, ma poiché il terzo andava da 29.001 a 32.600 la mancata coincidenza tra i limiti della deduzione e del terzo scaglione, introdusse un più breve scaglione con aliquota marginale complessiva del 50,25. Il difetto fu poi corretto col secondo modulo, ma il fatto mostra la poca attenzione al ruolo delle aliquote implicite. Con la finanziaria 2007 della XV legislatura, le deduzioni ritornarono ad essere detrazioni e tali sono rimaste fino ad ora.

La caratteristica della decrescenza però è rimasta, per cui ogni aumento dei livelli iniziali delle detrazioni porta necessariamente ad aliquote implicite più alte; il fatto è che abbassare l’aliquota del 23 è molto costoso, coinvolgendo tutti i contribuenti, mentre le detrazioni decrescenti hanno il vantaggio di concentrare le risorse sui redditi bassi, in modo diversificato tra i contribuenti.

Nel 2014 vi fu poi la novità del bonus “80 euro” di Renzi. Questi aveva due obiettivi: il primo è che chi riceveva il bonus lo vedesse nella busta paga mensile; il secondo è che il bonus fosse considerato una diminuzione d’imposta piuttosto che un aumento di spesa. Per realizzare questo secondo obiettivo fu stabilito che il bonus spettasse, per intero, solo a chi aveva, con riferimento al solo reddito da lavoro dipendente, un Irpef positiva. Ciò avveniva allora per un reddito imponibile di almeno 8.148 euro, che faceva scattare il bonus integralmente (se si era lavorato per l’intero anno). Ma Eurostat-Istat rilevò che, con questa specifica, il bonus non aveva le caratteristiche della detrazione (diminuzione d’imposta) ma del benefit (aumento di spesa).

Le risorse, fissate sui 10 miliardi, imponevano poi una limitazione al bonus; anche qui si preferì avere il maggior numero di fruitori con il bonus integrale, e imporre un décalage molto forte. Inizialmente il bonus si annullava tra 24.000 e 26.000 scendendo di 48 euro ogni 100. Aggiungendo l’aliquota formale del 27% e quella implicita nel décalage della detrazione da lavoro di 4,51, l’aliquota effettiva nell’arco dei duemila euro (spostato poi da 24.600 a 26.600, cosa che non cambiava i termini del problema) si è ritrovata ad essere del 79,51%. Molte persone che avevano ricevuto il bonus hanno dovuto restituirne una parte (o anche tutto) all’Agenzia delle Entrate.

Nel 2020 con il governo Conte II il bonus (portato a 100 mensili) fu esteso fino a 28.000, introducendo una nuova detrazione decrescente per annullarlo a 40.000. L’estensione del bonus ha eliminato l’aliquota marginale implicita tra 24.600 e 26.600, ma l’ulteriore detrazione da 28.000 a 40.000 ne ha create due nuovi dopo i 28.000. Gli scaglioni sono diventati sette, il che non costituiva un problema per le due forze di governo (M5S e PD), non favorevoli alla flat tax; piuttosto il primo nuovo scaglione era del 45,05% ed il secondo addirittura del 60,82%, e questo invece era un problema.

Infatti la nuova detrazione scende da 100 a 80 da 28.000 a 35.000 di reddito, per poi estinguersi a 40.000. Mentre la prima aliquota implicita è del 3,43, la seconda è del 19,2. Entrambe si aggiungono all’aliquota marginale complessiva di 38 (aliquota formale) +3,62 (dovuta alla diminuzione della “vecchia” detrazione). Il problema fu affrontato dal governo Draghi nel 2022, riducendo a quattro gli scaglioni (eliminando lo scaglione 55.001–75.000 al 41), e tagliando le aliquote del secondo di due punti e del terzo di tre punti. Per ridurre il vantaggio a coloro che avevano redditi maggiori di 55.000 il limite del terzo scaglione fu anticipato a 50.000. Inoltre la detrazione da lavoro dipendente (che il governo Letta del 2013 aveva alzato da 1840 a 1880) fu mantenuta fissa fino a 15.000, ed anche il bonus Renzi fu limitato quel reddito; da 15.001 diventa una ulteriore detrazione che sale così a 3.100, che si riduce a 1.910 a 28.000 (con un’aliquota implicita del 9,15) e scende a zero a 50.000 (con un’aliquota implicita del 8,68). La seguente tabella sintetizza i mutamenti:

Per quanto riguarda le altre due categorie, la detrazione per i pensionati aumenta a 1.955, scendendo ora a 700 da 8.500 a 28.000, e successivamente a zero a 50.000. Le nuove aliquote implicite sono quindi 6,44 nel primo scaglione e nel secondo, 3,18 nel terzo.

La detrazione per gli autonomi sale a 1.265, ma non scende più linearmente in quanto è anch’essa divisa in un primo segmento che scende a 500 fino a 28.000, e poi a zero a 50.000. Le aliquote implicite sono 3,4 nei primi due scaglioni e 2,27 nel terzo.

In conclusione, si può dire che questa struttura dell’Irpef, per i lavoratori dipendenti, limitando il bonus (ulteriore integrazione) a 15.000, ha trasformato una parte di spesa (fino a 28.000) in diminuzione d’imposta; la situazione rimarrà invariata nel 2023 col governo Meloni, il quale introduce, a favore dei lavoratori dipendenti, una fiscalizzazione dei contributi previdenziali a loro carico di sette punti percentuali fino a 25.000 e sei punti fino a 35.000 (di retribuzioni, non di reddito imponibile). Nel 2024 vengono introdotte le novità della riduzione a tre degli scaglioni e ulteriore modifica delle detrazioni, mantenendo la fiscalizzazione; il tutto con validità annuale. Segue la LdB 2025 che si è tratteggiata nei primi due paragrafi.

Per concludere questa prima parte va detto che la conferma delle misure a favore dei lavoratori dipendenti con reddito basso e medio costituisce la parte principale della manovra per il 2025; sono risorse che servono a compensare i lavoratori della botta inflazionistica, e aiutano al contempo le imprese; insomma l’analogo a quanto fatto da Renzi dieci anni prima. Tuttavia il costo è rappresentato da una struttura di aliquote marginali che fa a pugni con tutta la teoria della progressività, in cui i lavoratori tra 32.000 e 50.000 hanno aliquote più alte di coloro che hanno redditi superiori. E questo non è solo un vezzo teorico, in quanto si concretizza in una tendenza alla fuoriuscita dall’Irpef, sia con detassazione degli straordinari o come fuori busta in nero, cosa che conviene anche ai datori di lavoro; i dati ci dicono che il fenomeno è in crescita da anni. Esiste però un’alternativa, come vedremo nella seconda parte.  

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