ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 183/2022

30 Novembre 2022

Abbandono scolastico e territorio: una misura più dettagliata utile per le politiche*

Massimo Armenise e Barabara Baldazzi sostengono che per affrontare adeguatamente il fenomeno dell’abbandono scolastico, che è una delle priorità dell’Unione Europea, è necessario raffinare l’informazione territoriale. Propongono, quindi, un indicatore capace di scendere ad un dettaglio territoriale sempre più spinto, che consente di individuare la diversa incidenza territoriale dell’abbandono scolastico e di fornire al policy-maker informazioni utili per adottare misure appropriate per le aree e per le scuole maggiormente colpite .

Conseguire o meno un diploma di scuola secondaria di secondo grado è, oggi più che mai discriminante per la vita futura di un “giovane”. E probabilmente lo è a tal punto, che sarebbe auspicabile affiggere nelle aule degli istituti scolastici italiani questi 3 grafici:

Se ne potrebbero aggiungere molti altri di indicatori capaci di evidenziare quanto sia vantaggioso avere un livello di istruzione più elevato, ma dovrebbero essere più che sufficienti i tre da noi indicati per spingere da una parte verso chiare e semplici misure di policy, e dall’altra per aiutare i giovani fra i 15 e i 18 anni a scegliere di non abbandonare la scuola. 

Uscire dai percorsi di istruzione senza aver conseguito un titolo di studio ha, infatti, gravi ripercussioni sui giovani e sulla società in generale: maggiori difficoltà nella ricerca di un lavoro, prospettive occupazionali limitate, minore partecipazione alle attività sociali, politiche e culturali; maggior rischio di povertà e cattiva salute (Istat Audizione Dispersione scolastica, 2021)

L’abbandono scolastico, quindi, rappresenta di fatto un ostacolo per la crescita economica e l’occupazione, frenando la produttività e la competitività e alimentando povertà ed esclusione sociale. In un paese come l’Italia, che si caratterizza per una sensibile decrescita demografica (Previsioni della popolazione residente e delle famiglie, Istat 2021) e per una dinamica della produttività del lavoro piuttosto modesta (M. Bugamelli e F. Lotti “Productivity growth in Italy: a tale of a slow-motion change”, Questioni di economia e finanza, 422 Banca d’Italia, 2018), ancor più evidente se paragonata a quella dei principali altri partner europei, la mancata valorizzazione del capitale umano conseguente all’abbandono della scuola da parte di un consistente numero di “giovani” rischia ancor più di ampliare le divergenze economiche e sociali. Inoltre, la particolare concentrazione territoriale del fenomeno in alcune regioni, che si evidenzia attraverso i dati Istat sull’abbandono precoce degli studi, rischia di minare ulteriormente la coesione territoriale, compromettendo qualsiasi possibilità di futura possibile convergenza. Secondo l’Istat, la percentuale di giovani fra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato prematuramente gli studi e la formazione, conseguendo solo la licenza della scuola secondaria di primo grado (gli Early Leavers from Education and Training – ELET) risulta essere in Italia pari al 12,7 per cento nel 2021. Nonostante i notevoli progressi che il paese ha registrato sul fronte degli abbandoni scolastici, tale quota resta comunque fra le più elevate dei paesi dell’Unione Europea, inferiore solo a quella di Spagna e Romania (con percentuali rispettivamente del 13,3 per cento e del 15,3 per cento) e ancora al di sopra all’obiettivo del 10 per cento prefissato in ambito comunitario (Risoluzione del Consiglio su un quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione verso uno spazio europeo dell’istruzione e oltre (2021-2030) (2021/C 66/01). 

Figura 4: Giovani 18-24 anni d’età che abbandonano prematuramente gli studi (ELET, in %)

Fonte: Eurostat

Inoltre, una delle consuete caratteristiche del nostro paese risulta essere quella di avere ampi divari al proprio interno. Osservando i dati a livello regionale si può notare uno squilibrio tra Mezzogiorno e Centro-nord. Le 5 regioni che hanno i tassi di uscita precoce più elevati sono le 5 maggiori regioni del Mezzogiorno: al primo posto troviamo la Sicilia con un tasso di uscita precoce pari al 21,2 per cento, seguita da Puglia e Campania (rispettivamente con il 17,6 e il 16,4 per cento). Queste regioni si trovano al di sopra della media nazionale (12,7 per cento). Dall’altro lato invece Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Molise, Emilia Romagna e Marche si trovano al di sotto dell’obiettivo Ue del 10 per cento. 

Figura 5: Giovani dai 18-24 anni d’età che abbandonano prematuramente gli studi per regione 

Fonte: Istat. In rosso le regioni che negli ultimi 3 anni hanno visto crescere il fenomeno. 

Le forti disparità nei tassi di abbandono scolastico che emergono in determinate aree geografiche del Paese, potrebbero indicare problemi strutturali specifici. Se a tale evidenza si dovesse coniugare la necessità di attuare politiche volte all’attenuazione delle differenze territoriali, diventerebbe molto rilevante l’esigenza di scendere ad un dettaglio territoriale sempre più definito, così da poter distinguere e avviare misure specifiche per quei territori e per quelle scuole maggiormente colpiti da tale fenomeno. Una visione più nitida di quanti sono i giovani che abbandonano prematuramente la scuola, fra l’altro, potrebbe essere utile anche in una visione prospettica per conoscere anticipatamente quali sono i territori che, in futuro, potrebbero avere problemi di reddito e di occupazione.

Per provare a quantificare il fenomeno dell’abbandono scolastico a livello territoriale più dettagliato, si sono utilizzati i dati dell’anagrafe nazionale degli studenti (fonte MIUR). Le informazioni attualmente disponibili coprono tutti gli anni scolastici tra il 2015-2016 e il 2020-2021, e forniscono dati censuari su: 

  • numero di studenti iscritti in ciascuna scuola italiana; 
    • loro distribuzione per età e classe;
    • tipologia di scuola;
    • ubicazione della scuola. 

Quindi ciascuna scuola è ubicata in un determinato territorio ed è possibile sapere quanti sono gli studenti iscritti, per età e classe. Per cui, seguendo il percorso scolastico degli studenti di un determinato territorio (ad esempio la provincia), relativamente al periodo a cavallo della fine dell’obbligo scolastico (quindi tra i 15 e i 18 anni), si rende possibile quantificare quanti siano quelli che hanno “abbandonato” le scuole di quel territorio. In pratica, si segue il percorso scolastico della coorte di 15enni iscritti (ISCR_15enni) in tutte le scuole di un determinato territorio, fino al compimento del loro 18esimo anno di età (ISCR_18enni). E seguendo questa coorte di studenti si rende possibile verificare quanti di quei 15enni hanno proseguito gli studi sino ai loro 18 anni. Il rapporto fra gli studenti che si “perdono” fra i 18 e i 15 anni e gli studenti che invece si sarebbero attesi, “i potenzialmente attesi” cioè gli allora 15enni, ci fornisce un indicatore del tasso di abbandono scolastico che definiremo OUT-E (OUT from Education).

In modo più formale, OUT-E, è calcolato nel seguente modo:

OUT-Ep,t = (ISCR_15enni p, t-3 – ISCR_18enni p, t) / ( ISCR_15enni p, t-3)*100

dove t è l’anno scolastico preso in esame e p è il territorio preso in considerazione. ISCR_15enni è il numero di iscritti di 15 anni di età e ISCR_18enni è il numero di iscritti di 18 anni. 

Il numeratore (ISCR_15enni p, t-3 – ISCR_18enni p, t) fornisce una misura degli studenti che si sono “persi”, abbandonando le scuole di un determinato territorio; il denominatore fornisce una misura di quanti sarebbero dovuti essere gli studenti attesi alla conclusione del loro percorso scolastico in un mondo ideale, senza abbandoni. 

Un indicatore longitudinale che segua ogni studente dai 15 ai 18 anni è utile e auspicabile soprattutto per delle azioni mirate a livello puntuale; l’indicatore OUT-E consente, invece, una lettura complessiva per fare emergere alcune dinamiche ricorrenti. Per questo vanno segnalati alcuni limiti noti: la coorte di studenti presa in considerazione in realtà non è un sistema perfettamente chiuso, anche se per territori sufficientemente ampi tale aspetto può essere considerato abbastanza residuale data l’età presa in considerazione (si veda appendice per maggiori dettagli).

In questo esercizio il tasso di abbandono scolastico (OUT-E) è stato calcolato a livello provinciale, regionale, per Aree Interne e comuni capoluoghi di regione e fa emergere importanti differenze territoriali. La serie storica presente nell’anagrafe degli studenti permette di calcolare OUT-E sia per il 2018-2019 che per il 2021-2020. In tal modo, diventa possibile fotografare lo stato dell’arte nel pre-pandemia e nel post-pandemia e cogliere, ad esempio, i possibili effetti della DAD sul proseguimento degli studi. 

I risultati preliminari fanno emergere una complessiva coerenza territoriale. Nelle province dell’Italia meridionale i tassi di abbandono scolastici sono più elevati: in ben 20 province 1 studente su 5 abbandona prematuramente la scuola, e nelle province di Napoli e Caserta il tasso di abbandono sfiora il 30 per cento. Fra le province con risultati peggiori ve ne sono alcune del centro nord (come ad esempio Prato, Piacenza, Firenze, Livorno, Reggio Emilia, Imperia). Quest’ultimo risultato evidenzia come vi sia variabilità anche all’interno delle regioni, un fenomeno che necessita di ulteriori informazioni statistiche (si veda figura 6).

Figura 6: Indicatore OUT-E per provincia (anni scolastici 2018-2019 e 2020-2021) 

Fonte: elaborazioni su dati ANS – MIUR

Altro risultato interessante (figura 6) è come nel “post” pandemia il tasso di abbandono scolastico (calcolato attraverso il nostro indicatore) si sia ridotto pressoché ovunque. Tale tendenza sembra confermata anche nel Mezzogiorno pur con alcune eccezioni: Crotone, Siracusa, Matera, Potenza, Trapani. Da questi risultati, emergono due evidenze meritevoli di ulteriori analisi sulle determinanti del tasso di abbandono scolastico:

  1. proprio nei territori con maggiori possibilità lavorative i tassi di abbandono sono più bassi, quindi la ricerca di una professione nel mercato del lavoro non è una causa di un elevato tasso di abbandono scolastico; 
  2. la pandemia, con il conseguente “blocco” delle “bocciature” nelle scuole ha limitato gli abbandoni scolastici, ma questo non vuol dire che siano migliorate le competenze (Rapporto Invalsi 2022). Far ripetere un anno ad uno studente, sembrerebbe dunque essere l’evento principale per spingerlo fuori dalla scuola. È questo l’obiettivo primario di tale “strumento”?

Un altro interessante risultato emerge dalla figura 7. L’abbandono scolastico misurato attraverso il nostro indicatore OUT-E è un fenomeno che si presenta soprattutto nei grandi tessuti urbani, piuttosto che nei territori meno urbanizzati, come emerge nettamente dal confronto fra le “Aree interne” di ciascuna regione (per una definizione delle Aree Interne si veda: “La geografia delle Aree Interne nel 2020”, Istat 2022) e il relativo dato dei comuni capoluoghi di regione. L’indicatore OUT-E osservabile nei comuni capoluogo di regione, registra dei valori di gran lunga superiori a quelli delle relative aree interne regionali, ad eccezione della Lombardia. Tale risultato apre interessanti spunti di riflessione sulle capacità delle scuole presenti nelle aree interne di preservare i propri studenti e probabilmente sulla volontà da parte di questi ultimi, di proseguire in modo più determinato gli studi. 

Figura 7: OUT-E per regione, aree interne e comune capoluogo di regione (a.s. 2018-2019)

Fonte: nostre elaborazioni su dati ANS-MIUR

L’analisi preliminare effettuata rende dunque evidente come lo scenario attuale sia prodromico a un ulteriore ampliamento nelle disparità territoriali in un futuro prossimo: che genere di sviluppo infatti si potrebbe avere nei territori in cui circa uno studente su 5 decide di abbandonare la scuola? Ma rende evidente anche quanto sia importante agire in fretta ed in modo mirato per ridurre tali divergenze: che genere di sviluppo si avrebbe se nei prossimi 10 anni si investisse fortemente nelle scuole di quei territori? Quale occasione migliore di quella fornita dal PNRR?

Appendice

L’indicatore OUT-E presenta alcuni limiti che è bene esplicitare: la coorte di studenti presa in considerazione in realtà non è un sistema chiuso ed in base al territorio preso in esame essa può essere interessata a ingressi e uscite che possono alterare il valore dell’indicatore, anche se in maniera residuale. Tali ingressi e uscite possono essere dovuti a: 1) flussi migratori in entrata e in uscita dal territorio esaminato; 2) eventi traumatici (ad esempio morte); 3) la scelta del singolo studente di cambiare scuola da un territorio ad un altro, 4) la scelta del singolo studente di cambiare percorso di istruzione (ad esempio scegliendo la formazione professionale o IeFP). 

Per territori molto più piccoli (piccolo comune o singola scuola) il limite sopracitato determina un cambio di interpretazione dell’indicatore che non può più essere definito come un tasso di abbandono scolastico, ma come un tasso di abbandono delle scuole di quel territorio (piccolo comune) o di una specifica scuola, informazione comunque rilevante per avere un quadro sull’attrattività delle scuole (soprattutto se interpretato nella sua accezione contraria come tasso di attrazione di studenti). 

Altro aspetto da tenere a mente nella lettura dell’indicatore risulta essere il dato per cui il permanere a scuola fino a 18 anni non necessariamente determina il conseguimento di un diploma, anche se ne aumenta notevolmente la probabilità soprattutto per coloro che frequentano l’ultimo anno di scuola. Infine, è necessario segnalare che attualmente l’indicatore non è stato calcolato per i territori sub regionali della Sardegna (a causa dei cambi di province che hanno interessato quella regione negli ultimi 10 anni) e per le due province autonome di Trento e Bolzano.


* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire esclusivamente agli autori e non sono attribuibili all’Istituzione di appartenenza.

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