ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 176/2022

18 Luglio 2022

Acqua virtuale e commercio internazionale

Luca Salvatici illustra il rapporto, a livello globale, tra consumo sostenibile di acqua e commercio internazionale basandosi sulla nozione di acqua virtuale, che è oggetto di crescente attenzione.

L’uso dell’acqua è cresciuto due volte più velocemente della popolazione nell’ultimo secolo e si prevede che aumenterà ulteriormente del 50% nei paesi in via di sviluppo e del 18% nei paesi sviluppati entro il 2025. Vale quindi la pena di alzare lo sguardo al di sopra delle polemiche stagionali per sottolineare l’importanza della globalizzazione delle risorse idriche attraverso il commercio internazionale, soprattutto nel caso dei prodotti alimentari e agricoli.

Dato che ben il 70% delle acque dolci è destinato a usi irrigui, è evidente che importazioni ed esportazioni possono influenzare significativamente lo sfruttamento delle risorse idriche. La valutazione del segno positivo o negativo dell’impatto ambientale richiede però una valutazione scientifica dei rapporti che legano acqua, cibo e scambi.

Uno degli strumenti che si possono utilizzare è il concetto di acqua virtuale ovvero il volume d’acqua necessario per produrre un determinato bene che viene virtualmente scambiato come fattore di produzione quando il bene viene scambiato tra paesi. Tale flusso definisce il commercio internazionale dell’acqua virtuale e rappresenta una metrica idonea ad analizzare gli aspetti ambientali legati al commercio mondiale di prodotti agricoli, alla gestione dell’acqua e alla politica agricola. Va però sottolineato che il calcolo dell’acqua virtuale richiede una grande quantità di dati: da una parte produzione e commercio, dall’altra l’impronta idrica che identifica l’acqua dolce necessaria per la produzione di beni lungo l’intera filiera, distinguendo tra precipitazioni (acque verdi), corpi idrici superficiali/sotterranei (acque blu), risorse idriche necessarie per diluire gli inquinanti al fine di soddisfare gli standard di qualità (acque grigie).

L’impronta idrica della produzione agricola in un paese e in un anno si ottiene moltiplicando i dati di produzione per l’impronta idrica unitaria corrispondente (ovvero la quantità di acqua necessaria per unità di prodotto in un determinato paese in un certo anno). L’impronta idrica del consumo in un paese e in un anno può quindi essere ottenuta moltiplicando la quantità consumata di ciascun bene per l’impronta idrica dell’unità di fornitura e poi sommando tutte le merci.

Il calcolo dell’impronta idrica unitaria consente il calcolo dell’impronta idrica associata al commercio internazionale nell’ipotesi che la produzione e l’esportazione condividano lo stesso mix di beni locali e importati. Il commercio di acqua virtuale si ottiene infatti moltiplicando i dati commerciali, espressi in quantità, per l’impronta idrica unitaria del paese esportatore. Poiché il cibo e altri prodotti vengono scambiati a livello internazionale, la loro impronta idrica li segue sotto forma di acqua virtuale. Il concetto di acqua virtuale quindi ci ricorda che quando si scambiano beni e servizi vengono scambiati anche i fattori produttivi, tra cui l’acqua, necessari per la produzione di tali beni e servizi.

La contabilizzazione delle quantità “nascoste” di acqua che entrano nella produzione di beni esportati ci aiuta a vedere come le risorse idriche in un paese vengono utilizzate per sostenere il consumo di un altro paese. I paesi possono sia importare che esportare acqua virtuale attraverso le loro relazioni commerciali internazionali. Il commercio internazionale consente ai paesi con risorse idriche limitate di fare affidamento sulle risorse idriche di altri paesi per soddisfare i bisogni dei loro abitanti. D’altra parte, a fronte dei sempre più frequenti richiami alle (supposte) virtù dell’autosufficienza alimentare, l’impronta idrica e la sua traduzione in acqua virtuale consentono di valutare le conseguenze della scelta di sostituire importazioni a bassa intensità d’acqua con produzioni nazionali ad alta intensità.

I maggiori esportatori netti di acqua virtuale si trovano in Nord e Sud America (USA, Canada, Brasile e Argentina), Asia meridionale (India, Pakistan, Indonesia e Thailandia) e Australia. I maggiori importatori netti di acqua virtuale sono il Nord Africa e il Medio Oriente, il Messico, l’Europa, il Giappone e la Corea del Sud. Di fatto circa il 40% del totale dell’acqua virtuale esportata proviene da paesi che registrano indici di scarsità idrica più elevati rispetto ai paesi importatori. In particolare, il fatto che importino più acqua virtuale di quanta ne esportino sia regioni aride (come il Medio oriente), sia regioni relativamente ricche d’acqua (come l’Europa) può apparire sorprendente e generare dubbi sull’impatto del commercio internazionale in termini di consumi idrici.

Occorre però ricordare che l’importazione di acqua virtuale da parte di un paese che non ha risorse idriche scarse implica un risparmio a livello globale se i prodotti importati hanno un’impronta minore rispetto a quella nazionale. Per valutare l’impatto è infatti necessario svolgere una valutazione controfattuale calcolando il volume di acqua che sarebbe stata necessaria per produrre le quantità importate all’interno dei confini nazionali.

Riducendo la necessità di fare affidamento sull’offerta interna, il commercio di prodotti agricoli può ridurre l’utilizzo di acqua nei paesi in cui è relativamente scarsa. La figura seguente riporta alcuni dati relativi alle principali colture per Cina, Unione Europea e Stati Uniti.

Fonte: D. Laborde, “International Trade and Natural Resources: A Sustainable Path toward Global Food Security“, presentazione al US-China Oilseeds and Grains Annual Forum, Pechino, 17 giugno 2017.

Gli Stati Uniti sono un esportatore netto di acqua virtuale, utilizzata per produrre i prodotti agricoli scambiati. Vale la pena di notare che prendendo in considerazione le transazioni internazionali relative al prodotto ‘acqua’, corrispondente alla linea tariffaria “Mineral and aerated waters not sweetened or flavoured and Ice, snow and potable water not sweetened or flavoured”, gli Stati Uniti sono tra i maggiori importatori mondiali e registrano un saldo commerciale negativo (https://oec.world/en/profile/hs/water). I consumatori statunitensi hanno evidentemente maturato una preferenza per l’acqua imbottigliata all’estero ma per le organizzazioni internazionali che si occupano delle politiche per un utilizzo sostenibile (si veda, ad esempio, https://iwa-network.org/projects/water-policy-and-regulation/) risulta molto più rilevante il consumo complessivo della risorsa misurato dall’impronta idrica.

L’Unione Europea con meno del 10% della popolazione mondiale è responsabile di circa il 28% delle importazioni di acqua virtuale nel mondo. Guardando all’impronta idrica complessiva (ovvero non limitata alle sole coltivazioni) dei consumi europei, l’acqua virtuale ha un peso maggiore delle risorse idriche interne. I dati relativi all’Unione Europea non includono il commercio intra-UE che sono, peraltro, rilevanti. La Germania è il maggiore importatore di acqua virtuale in ambito UE ma anche l’Italia si colloca tra i maggiori importatori con un aumento dell’82% tra il 1986 e il 2010. L’Italia è anche un importante esportatore visto che nel 2013 l’acqua virtuale esportata rappresentava il 36% dell’impronta idrica relativa all’agricoltura.

Nel caso della Cina il commercio internazionale consente un risparmio particolarmente rilevante in quanto i partner commerciali utilizzano tecnologie o hanno condizioni di produzione che richiedono meno acqua rispetto a quella che dovrebbe essere utilizzata per sostituire le importazioni. Gli scambi internazionali di prodotti agricoli consentono un risparmio idrico, seppur di minore entità, anche nel caso di Unione Europea e Stati Uniti. A livello globale è stato stimato che la quantità di acqua risparmiata equivale al 4% dell’impronta idrica relativa alla produzione agricola. Si tratta di miliardi di metri cubi di acqua che possono essere destinati a utilizzi alternativi, come la salute o l’igiene, e possono essere particolarmente rilevanti per i paesi con scarse risorse idriche.

La divisione internazionale del lavoro e la struttura del commercio mondiale non può essere spiegata unicamente sulla base dell’abbondanza o carenza di una risorsa naturale (per quanto importante). L’interesse politico e civile per un uso sostenibile dell’acqua (e di altre risorse naturali) è però cresciuto significativamente. Valutando l’origine e la destinazione dell’acqua e di altri fattori associati agli scambi di beni e servizi, come l’utilizzo di fertilizzanti, le emissioni o la perdita di biodiversità, siamo in grado di quantificare e mappare gli utilizzi diretti e indiretti lungo le catene globali dalla produzione al consumo finale. Si tratta di informazioni aggiuntive rispetto agli indicatori economici tradizionali che sono preziose e necessarie per arrivare a una gestione delle risorse che sia economicamente efficiente e sostenibile dal punto di vista ecologico.

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