Ambiente in Costituzione

Vittorio Cogliati Dezza si occupa della recente introduzione dell’ambiente in Costituzione che considera un reale passo avanti nel recepimento dei nuovi bisogni che la nostra epoca esprime. Importanti sono, soprattutto, l’indicazione relativa al nuovo orizzonte che dovrebbe avere l’attività economica e l’attenzione per le generazioni future, che pongono tutto il sistema Paese di fronte alla crisi climatica. Cogliati Dezza si chiede, però, se chi ha votato la riforma sia davvero consapevole delle sfide poste dalle tante emergenze ambientali pregresse e da quelle oggi emergenti.

Il 25 febbraio scorso il presidente del Consiglio Mario Draghi, nel corso dell’informativa alla Camera dei Deputati sulla guerra della Russia in Ucraina, ha detto: “Potrebbe essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone, per colmare eventuali mancanze nell’immediato”.

Poco più di due settimane prima la Camera aveva approvato la Riforma degli articoli 9 e 41 della Costituzione, che inserisce nell’art. 9, accanto alla tutela del paesaggio, quella de “l’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”, e nell’art.41 aggiunge ai vincoli già previsti per l’attività economica privata la salute e l’ambiente. La misura annunciata da Draghi sembrerebbe, dunque, in contrasto con la nuova formulazione dei due articoli della Costituzione.

Un esito apparentemente paradossale, che nasce dalle difficoltà con cui ci si misura quando, nella concreta implementazione delle politiche, diventa indispensabile misurarsi con il bilanciamento dei principi fondamentali della Costituzione. Da un lato l’indipendenza energetica del Paese, funzionale anche a rinforzare il rifiuto della guerra, dall’altro la salute delle persone e l’ambiente.

Non sono un costituzionalista, non ho le competenze per valutare in punto di diritto la nuova formulazione. Piuttosto mi interrogo sui processi reali su cui andrà ad impattare, sui cambiamenti che potrà mettere in moto. Il mio punto di vista è che la Riforma apra orizzonti nuovi, di portata epocale, ma che farla penetrare nel tessuto culturale, politico ed economico del Paese sarà un percorso lungo e controverso.

Un primo segnale lo raccolgo in una parte del mondo ambientalista, quella legata ai paesaggisti, che ha accolto con disappunto, e in qualche caso con netta contrarietà, la nuova formulazione. Alcuni ritengono che sia dannosa, o, nel migliore dei casi, inutile, perché è la tutela del paesaggio l’unico vero baluardo contro speculazione e degrado; altri paventano il depotenziamento del potere vincolante del paesaggio, annacquato nell’accostamento a “termini indefiniti” come ambiente, biodiversità, ecosistemi”, nonché “interesse delle future generazioni”.

Sono gridi di allarme di cui francamente non capisco la ratio. Davvero i vincoli paesaggistici sono l’arma più efficace per la salvaguardia del nostro territorio? Ad oggi il territorio vincolato, sotto vari titoli, in Italia copre circa il 50% del Bel Paese, ma questo non ha impedito abusi, illegalità, ecomostri, inquinamenti, dissesto e grandi opere inutili. È, purtroppo, sotto gli occhi di tutti che il regime vincolistico non è riuscito a tutelare il Paese e a garantirne uno sviluppo ecologicamente sano. Una conferma, cifre alla mano, ce la dà il Rapporto annuale sul consumo di suolo dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) che, fotografando il 2019 (ultimo anno “normale”), evidenzia come negli ultimi anni in Italia abbiamo consumato suolo naturale per più di 50 km² all’anno e nel 2019 il consumo è salito a 57 km² (2 m² al secondo). Inoltre il consumo di suolo –sottolinea ancora il Rapporto – cresce non solo in territori già ampiamente urbanizzati, ma anche in aree protette (+ 61,5 ettari nell’ultimo anno) e in aree vincolate per la tutela paesaggistica (+1.086 ettari).

E questo è solo un aspetto, perché se andiamo a vedere complessivamente lo stato dell’ambiente in Italia non ci sono molti dubbi sul fatto che la tutela del paesaggio, peraltro assolutamente necessaria, non è stata in grado di garantire la salvaguardia del Paese da quei mille altri fenomeni e processi ecologicamente pericolosi che attraversano la nostra epoca, nella produzione come nei consumi, nella mobilità come nell’abitare, nell’organizzazione urbana come nella qualità dei servizi ecosistemici o nella gestione della salute che, come ci hanno insegnato questi anni pandemici, ha molteplici legami con la crisi ecologica. O nel contrasto alla più grave emergenza ambientale dei nostri tempi: la crisi climatica.

Quelle perplessità, inoltre, risultano improprie anche perché ora l’Italia è in compagnia di altri 21 Paesi dell’Unione, che, in forme diverse, hanno già inserito l’ambiente in Costituzione.

Allora il tema vero da discutere è: cosa aggiunge la Riforma in termini di visione del Paese e di indirizzi per muoversi nella direzione di un sistema sociale ecologicamente in salute?

Ovviamente la legislazione ambientale, a partire dalla famosa legge Bottai del 1939 sulla protezione delle bellezze naturali, è venuta via via crescendo, adeguandosi alle nuove emergenze ed ai bisogni derivati, compreso il contrasto ai reati ambientali delle ecomafie. Ed è quindi necessario chiedersi se la riforma costituzionale possa imprimere una proficua accelerazione a quella che viene comunemente definita la transizione ecologica.

Stando alla nuova formulazione, sul piano dei principi e degli indirizzi orientativi, d’ora in avanti la classe dirigente, non solo la classe politica, dovrà farsi carico della complessità dei processi ambientali da garantire nella loro qualità, e soprattutto dell’intreccio con i processi sociali, il diritto al lavoro, la salute, la consapevolezza culturale, il contrasto alla crisi climatica. In altre parole, oggi la Costituzione apre nuovi scenari nella prospettiva di una maggiore giustizia ambientale e sociale.

E qui nascono, legittimamente, le preoccupazioni, perché molto dovrà cambiare affinché il Paese si adegui ai nuovi principi costituzionali: dal 22 febbraio 2022, giorno della pubblicazione in G.U., molti sono i contesti fuori dal dettato costituzionale.

Qualche esempio.

L’inquinamento atmosferico provoca ogni anno circa 50.000 morti premature, per l’esposizione al particolato fine (Pm 2,5), 10.640 al biossido d’azoto e 3.170 all’ozono, in base alle stime dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), secondo paese in Europa dopo la Germania. Nel novembre del 2020 lo Stato italiano è stato condannato dalla Corte europea di giustizia (causa 644/18) per quanto riguarda la procedura di infrazione sulle polveri sottili (PM10) registrate in Italia dal 2008 al 2018. Se si fossero rispettati i parametri dell’Organizzazione mondiale della sanità sulle polveri sottili, solo in Italia ci sarebbero stati 32.000 decessi in meno, il 65%. Nel quadro va poi aggiunto che in questi anni di pandemia diversi studi hanno rilevato forti correlazioni tra l’esposizione cronica ad elevati livelli di inquinamento atmosferico e l’aumento della sintomatologia da Covid 19.

Le mancate bonifiche delle aree industriali dismesse, che hanno lasciato una traccia ben evidente nella geografia dell’Italia industrializzata, ammontano a 41 Siti di interesse nazionale (Sin) e più di 10.000 di interesse regionale, in un quadro aggravato dalla presenza dei così detti siti orfani (più di 270 quelli registrati dal MITE), dove l’inquinamento è stato provocato da aziende oggi non più esistenti e su cui lo Stato non si può rivalere. Ora il PNRR stanzia 500 milioni per la riqualificazione dei siti orfani, ma per i Sin Confindustria stima che complessivamente servirebbero investimenti per almeno 10 miliardi.

O ancora l’eterna irrisolta questione dell’ex Ilva di Taranto, di cui vale la pena qui ricordare la sentenza della Corte costituzionale del 2013, n. 85 sul bilanciamento tra salute ambiente e lavoro, con cui la Corte respinge la questione di legittimità costituzionale sollevata dal tribunale di Taranto, in merito alla legge 24/12/2012, n. 231, perché le norme sono “ispirate alla finalità di attuare un non irragionevole bilanciamento tra i princìpi della tutela della salute e dell’occupazione, e non al totale annientamento del primo”.

Sono tutti esempi riferiti a situazioni pregresse, che illustrano bene l’importanza dell’art.41, che pone la connessione tra salute e ambiente come vincolo ineludibile perché, come afferma il costituzionalista Gaetano Azzariti, riconosce che il bene ambientale è un bene in sé, da sottrarre al mercato.

Ma il nodo del bilanciamento si pone, con la stessa cogenza, anche per le azioni oggi in divenire, con un ulteriore principio di riferimento, con cui fare i conti, esplicitato nell’art.9: “nell’interesse delle future generazioni”. Un vincolo che vuol dire che il contrasto alla crisi climatica deve essere OGGI una scelta non procrastinabile.

Ed anche qui troviamo molti ambiti in cui questo indirizzo cozza con indicazioni e proposte politiche in campo. Come, ad esempio, la formulazione del nuovo Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PITISAI), che prova a rimettere in gioco le trivellazioni nazionali per il gas, con i conseguenti impatti climatici che ben si conoscono; il blocco sostanziale delle rinnovabili degli ultimi otto anni, un GW/anno, mentre il gas è cresciuto del 20%; il recupero di risorse contro il caro bollette attraverso la tassazione degli extraprofitti da impianti che producono energia rinnovabile (art.16, decreto Sostegni Ter del 27/1/22 n.4), da cui sono esentati i produttori che utilizzano combustibili fossili; la mancata eliminazione dei Sussidi ambientalmente dannosi, che sovvenzionano molteplici attività ad effetto climalterante assorbendo un tesoretto superiore ai 20 miliardi (24,5 miliardi nel 2019, 21,6 nel 2020), in base alle stime del MITE, che salgono a 34,6 miliardi secondo l’osservatorio di Legambiente. Un contrasto che ritroviamo anche nel sostegno alla commercializzazione delle caldaie a gas attraverso il suberbonus del 110%, che finanzia oggi un investimento che determinerà l’utilizzo di un gas climalterante per almeno due decenni, molto al di là degli obiettivi europei di uscita dal metano, o, ancora, negli incentivi alle automobili con motore endotermico, previsti al momento (il D.L 1°marzo 2022, n. 17 è in discussione in Parlamento) per tutti i veicoli non inquinanti fino al 2030 per un miliardo l’anno.

Un contrasto che attraversa anche il PNRR, che prevede, ad esempio, il finanziamento per l’acquisto di bus a metano, oppure, su un altro fronte, non detta standard energetici vincolanti per gli investimenti, circa 10 miliardi, in asilo nido e nella rigenerazione urbana. Mentre la biodiversità è sostanzialmente assente nel PNRR proprio nel momento in cui fa la sua trionfale comparsa in Costituzione.

Stupisce, che a fronte di un cambiamento così significativo, che ha le potenzialità di impattare su molteplici ambiti della vita delle persone e dell’economia del Paese, il Parlamento non abbia colto la varietà di contraddizioni che si aprivano nelle politiche nazionali, votando la Riforma quasi all’unanimità (un contrario e sei astenuti), dimostrando così scarsa consapevolezza sulle ricadute di quanto si stava votando. E preoccupa che il ministro Cingolani si sia sbilanciato fino al punto di dichiarare: “Questo voto del Parlamento segna una giornata epocale: testimonio qui la presenza del governo che crede in questo cambiamento, grazie al quale la nostra Repubblica introduce nei suoi principi fondanti la tutela dell’ambiente”. È possibile che il ministro non si sia reso conto che la modifica riguarda certamente i principi fondanti, ma detta anche le coordinate entro cui l’iniziativa economica è obbligata a muoversi, e, conseguentemente, anche l’azione del Governo? e che proprio in forza di queste modifiche dovrebbe rivedere gran parte dei provvedimenti che ha messo in campo fin qui?

Certamente la riforma costituzionale non può cambiare, dalla mattina alla sera, la realtà del Paese. Ma a me sembra chiaro che oggi sul tavolo della politica, che dovrà disegnare il progetto di Paese che ci attende, è stata calata una carta ineludibile, e toccherà a cittadini ed imprese tenere sotto osservazione nei prossimi anni se coerentemente si avvieranno processi di cambiamento nel solco della Giusta Transizione Ecologica.

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