Asimmetria di potere nel XXI secolo

Grazia Ietto Gillies sostiene che le attività delle imprese multinazionali/transnazionali in generale tendono ad accrescere le asimmetrie di potere tra le grandi imprese, da un lato, e gli altri attori nel sistema economico, dall’altro. Focalizzando la sua attenzione sulle imprese con piattaforme digitali, Ietto Gillies illustra alcune delle loro peculiarità e come queste contribuiscono a favorire il diffondersi di situazioni caratterizzate da una forte asimmetria di potere tra le diverse parti coinvolte.

L’asimmetria di potere è, in generale, una delle caratteristiche del sistema capitalistico; le analisi di un particolare tipo di potere – quello di mercato – abbondano e così quelle sul potere esercitato nei confronti del lavoro. L’internazionalizzazione della produzione amplia la gamma di asimmetrie per varie ragioni. Operare attraverso diversi Paesi da una fonte unica di gestione e coordinamento conferisce poteri rispetto ad altri operatori. I Paesi in cui la Impresa Transnazionale (ITN) opera, sono giurisdizioni diverse caratterizzate da diverse regolamentazioni riguardo: lavoro e sicurezza sociale; ambiente; regimi fiscali e politiche industriali. Le contrattazioni tra una grande impresa transnazionale e i lavoratori in un paese specifico – sia esso quello di origine o un paese ospitante – sono condizionate dalla minaccia, espressa o velata, che se i sindacati non accettano le sue condizioni l’ITN trasferirà i propri impianti in un paese più accomodante. La FIAT ha usato questa minaccia con i sindacati e i lavoratori italiani almeno due volte: all’inizio degli anni ‘90 quando Romiti minacciò di localizzare gli impianti in Portogallo invece che a Melfi se i sindacati non avessero accettato le sue richieste sulle condizioni di lavoro; e nel 2004 durante la gestione Marchionne quando, nelle contrattazioni per gli stabilimenti di Pomigliano d’Arco, si agitò lo spettro del trasferimento in Polonia (Balcet e Ietto-Gillies, Cambridge Journal of Economics, 44, 1, 2019).

La FIAT non è un caso isolato; l’asimmetria di potere esiste anche in altri settori e con riferimento ad altri aspetti della contrattazione. I governi dei paesi presi in considerazione dalla ITN per localizzare i propri investimenti sono spesso costretti ad assentire alle richieste di sussidi e di altri benefici pur di non perdere quegli investimenti a vantaggio di altri paesi. Le contrattazioni tra una ITN e i fornitori locali si svolgono fin dall’inizio in condizioni di asimmetria e il maggiore potere della prima deriva non solo dalla scala delle operazioni che compie ma anche dalla sua transnazionalità. È l’internazionalità delle operazioni che dà alla grande impresa ulteriore potere di contrattazione quando l’altro contraente è fortemente legato – per ragioni di scala, per le leggi o la cultura – al proprio paese. Ho, al riguardo, sostenuto che la necessità di specifiche teorie e studi delle ITN nasce proprio dall’esistenza di stati-nazione con leggi e giurisdizioni specifiche che finiscono per conferire poteri e vantaggi addizionali a imprese che sono in condizione di sviluppare strategie e operazioni superando le frontiere nazionali (Ietto-Gillies, 2019, Transnational Corporations and International Production. Concepts, Theories, Effects; Ch. 15, Elgar).

Nel 2017 la United Nations Conference on Trade and Development ha dedicato il suo annuale World Investment Report all’economia digitale (UNCTAD, World Investment Report 2017. Investment and the Digital economy, UNCTAD). Nel Rapporto, con il supporto dell’evidenza empirica, si sostiene che le ITN digitali si caratterizzano per una peculiarità: hanno un rapporto ricavi/investimenti all’estero molto più alto di quello che le stesse imprese ottengono in totale, cioè per l’impresa consolidata. A prima vista questa appare come una peculiarità della tecnologia. Lo è, ma di che tipo di peculiarità si tratta esattamente?

Le imprese digitali producono, in genere, con rapporti capitale/prodotto piuttosto bassi e con alto input di lavoro specializzato. Ma questa non può essere la ragione della peculiarità perché l’UNCTAD richiama l’attenzione sul fatto che i rapporti capitale/prodotto sono più elevati negli stabilimenti esteri rispetto a quelli medi dell’impresa consolidata. In altri termini, è vero che le imprese digitali riescono a produrre in generale con relativamente bassi investimenti di capitale ma la loro principale peculiarità è che gli investimenti all’estero sono in rapporto ai ricavi relativamente molto più bassi.

La tecnologia è alla base di questa peculiarità. L’infrastruttura fisica, – i server – necessaria per produrre prodotti digitali (un film o programma TV di Netflix) può essere localizzata a grande distanza dai mercati di sbocco, dove si realizzano le vendite e i ricavi. I server possono essere in California e buona parte dei ricavi in altre regioni degli Stati Uniti o anche in altri paesi. L’impresa può essere proprietaria dell’infrastruttura tecnologica ma può anche acquisire i servizi di cui necessita da altre imprese digitali fornitrici. Amazon ha recentemente unito al suo diversificato portafoglio di attività quella della fornitura di servizi di cloud per il settore pubblico (università; ministeri governativi) e privato (comprese imprese medie).

Si può obiettare che la separazione tra il luogo della produzione e quello della vendita risale alle origini del commercio, che è così sin dai tempi del baratto. Questo è vero; ma nel caso del commercio di prodotti materiali c’era e c’è un intervallo temporale tra produzione e vendita: l’oggetto viene prodotto nella località A e trasportato per essere venduto nella località B, ed A e B possono trovarsi nello stesso Paese ma comunque sono distanti una dall’altra.

Nel caso di prodotti digitali il processo produttivo e il consumo avvengono in luoghi diversi in tempo reale, contemporaneamente. L’infrastruttura fisica e umana in California o Cina permette di produrre servizi in tempo reale per paesi ben lontani da esse. Per la prima volta nella storia umana abbiamo coincidenza temporale di produzione e consumo con non-coincidenza spaziale tra capacità produttiva e vendita di prodotto (Ietto-Gillies e Trentini, ‘Sectoral Structure and the digital era. Conceptual and empirical analysis’, mimeo, 2021).

Questa peculiarità dei prodotti digitali ha origini tecnologiche. Essa produce ulteriori asimmetrie in particolare riguardo le opportunità di investimento. Non solo la digitalizzazione diminuisce – ceteris paribus – le opportunità di investimento reale in generale, ma spinge a localizzare gli stessi investimenti in paesi specifici; crea tendenza all’agglomerazione in paesi strategicamente chiave (USA, Cina) mentre i paesi ospiti spesso perdono la capacità di attrarre investimenti.

C’è un’altra ragione per il più alto valore del rapporto vendite/investimenti diretti in entrata rispetto a quello relativo all’impresa consolidata. Si tratta di un processo legato all’innovazione organizzativa.

Il grande capitale ha sempre operato con l’ausilio di piccole imprese, di cottimisti, di semplici lavoratrici impegnate a casa a cucire su vecchie Singer o Necchi. Gli ultimi 30 anni hanno visto una grande espansione di queste tendenze all’esternalizzazione della produzione: si sono ampliate le modalità contrattuali (franchising; joint venture; sub-contracting tra gli altri); il numero di imprese coinvolte è aumentato; il coinvolgimento avviene a stadi diversi della produzione nella catena del valore; le esternalizzazioni coinvolgono diversi paesi dando luogo alle cosiddette catene globali del valore.

Nel XXI secolo abbiamo già assistito a un’impetuosa crescita di questi rapporti di esternalizzazione resi possibili dall’uso di tecnologie digitali per coordinare e monitorare le varie partnership localizzate all’interno di uno stesso paese o anche in più paesi. Si tratta, in effetti, di innovazione organizzativa applicata ai processi produttivi, coadiuvata da innovazione tecnologica, i.e. dalla digitalizzazione delle comunicazioni, della contabilità e della trascrizione di ordini, disegni o fondi.

Un particolare aspetto di questa innovazione organizzativa è per noi di grande interesse. Molte partnership lungo le catene del valore coinvolgono per la realizzazione di investimenti, grandi o piccoli che siano, sia la grande impresa sia le piccole contrattiste. Le prime, tuttavia, tendono a spostare il peso finanziario del capitale da usare nella produzione quasi completamente sulle piccole imprese contrattiste. Ecco tre esempi riferiti a settori diversi. McDonald non ha la responsabilità per la fornitura della locale sede dei famosi ristoranti muniti di visibilissimo logo e in cui andiamo a mangiare i ben noti hamburgers. La responsabilità per i locali è del franchisee locale. Quindi il livello di investimenti diretti all’estero di McDonald è basso in rapporto a ricavi e profitti. Questa è una delle ragioni per cui la nostra grande fornitrice di hamburgers malgrado operi in ben 119 paesi non ha un valore di investimenti diretti all’estero (IDE) abbastanza grande da figurare tra le 100 imprese esaminate da UNCTAD e per cui gli indici di ‘transnazionalizzazione’ sono calcolati annualmente. Forse i lettori si chiedono cosa è che McDonald fornisce nei contratti di franchising. Eh! Il brand, quello fornisce; un capitale immateriale e monopolistico.

Gli altri due esempi sono di società che si sono avvalse della digitalizzazione per creare piattaforme che ora usano per offrire servizi in tutto il mondo. Uber non ha la proprietà delle automobili usate per trasportare i clienti: l’autista fornisce questo bene capitale essenziale nel processo produttivo. Quindi responsabilità e rischi per il capitale e per il lavoro usato nel processo produttivo sono a carico del…lavoratore. Nel caso di Airbnb il capitale usato nel processo produttivo che finisce nel servizio di fornitura dell’alloggio – cioè l’appartamento o casa – non è responsabilità di Airbnb ma dei partners nei contratti. Una miriade di individui sparsi in tutto il mondo.

Questi tre casi fanno parte di una gamma di partnership internazionali in cui la grande impresa transnazionale delega la responsabilità per l’investimento – o buona parte di esso –al partner più debole. Questo trend è, in parte, all’origine dei bassi valori degli investimenti all’estero rispetto ai ricavi osservati per le grandi ITN. Ma questi tre esempi- ben diversi per i servizi offerti – hanno anche altro in comune: la partnership avviene tra una ITN molto grande e potente e un partner piccolo e relativamente debole: il manager/proprietario del ristorante per McDonald, l’autista di taxi per Uber e il fornitore di alloggio per Airbnb. Sono tutti piccoli operatori che hanno grandi difficoltà a creare alleanze tra loro per contrattare migliori condizioni con la grande impresa. Inoltre, essi operano in paesi diversi con regimi regolamentari diversi anche negli stessi settori di attività. Tuttavia, la digitalizzazione è una lama a doppio taglio e può essere usata dalle grandi imprese internazionali per sviluppare strategie e fare il monitoraggio dei loro processi produttivi e dei mercati; ma può essere usata anche dai lavoratori. Gli autisti Uber si sono organizzati e uniti in molti paesi per mettere in dubbio la legittimità dei loro contratti. I lavoratori nei ristoranti McDonald hanno scioperato contro la grande impresa perché la ritengono responsabile delle insoddisfacenti condizioni di lavoro e dei bassi salari che sono offerti loro dai franchisees. Ciò vuol dire che essi considerano la grande impresa responsabile per le loro condizioni di lavoro e per i loro salari.

L’asimmetria di potere tra la grande ITN e gli altri operatori con cui stipula contratti è molto chiara nei tre casi. La ‘contro-risposta’ a questa asimmetria di potere è che l’altra parte si organizzi e faccia fronte comune all’interno dello stesso paese o al di là delle frontiere: la tecnologia digitale serve anche a questo.

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