ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 189/2023

14 Marzo 2023

Aumento dei risparmi ed inflazione: alcune evidenze sui consumi delle famiglie italiane*

Davide Cassese, Valeria Ferroni e Valeria Macauda indagano le ragioni alla base della lenta ripresa dei consumi delle famiglie italiane nel periodo post-pandemia e analizzano gli effetti distributivi dell'inflazione. Dal loro studio emerge che, nonostante le numerose misure fiscali di sostegno ai redditi attuate, la distribuzione asimmetrica del risparmio tra le famiglie e il maggiore impatto dell'inflazione su quelle a basso reddito potrebbe avere l’effetto di moderare i consumi delle famiglie.

In questo articolo, che sintetizza i risultati di un nostro recente lavoro, analizziamo le ragioni alla base del lento recupero dei consumi delle famiglie italiane nel periodo post-pandemico, focalizzandoci, oltreché su circostanze precauzionali e forzate, sulla concentrazione dei risparmi tra le famiglie appartenenti ai quintili più alti della distribuzione del reddito, caratterizzate da una minore propensione al consumo, e sugli effetti distributivi dell’inflazione, in aumento dal 2021, che hanno interessato in maniera relativamente più intensa i redditi più bassi, per i quali la quota di acquisti incomprimibili sul totale della spesa è molto elevata. 

Durante la crisi del Covid-19 si è registrato uno straordinario aumento del tasso di risparmio. I consumi delle famiglie italiane sono stati la componente della domanda più colpita dalla crisi pandemica. Gli investimenti hanno superato i livelli pre-crisi prima dei consumi, che hanno mostrato un percorso di recupero molto lento ed irregolare, risentendo dell’elevato valore della propensione al risparmio, ancora sensibilmente più elevata rispetto ai livelli pre-pandemici. Dalla seconda metà del 2021, l’aumento dell’inflazione, unitamente a una crescita salariale meno vivace, ha portato a un calo del potere d’acquisto delle famiglie. In tale quadro,analizzando la ripresa post-Covid-19, compromessa dalle implicazioni sia della guerra che dell’inflazione, ci siamo chiesti in quale misura e con quali tempi i risparmi extra accumulati durante la pandemia dalle famiglie italiane potessero sostenere la ripresa dei consumi.

Diversi contributi di letteratura, tra gli altri OCSE (2021) e FMI (2021), hanno sostenuto che, dopo l’allentamento delle restrizioni alla mobilità, gli extra-risparmi accumulati dalle famiglie avrebbero rappresentato il volano della ripresa della domanda aggregata. Ciò, dunque, si sarebbe dovuto riflettere in una maggiore propensione al consumo rispetto ai livelli pre-Covid una volta superata la fase più acuta della pandemia. Tuttavia, le evidenze derivanti da alcune indagini sulle famiglie statunitensi (Coibion et al., 2020Bilbiie et al, 2021) e dall’indagine sulle aspettative dei consumatori europei condotta dalla BCE (Dossche et al., 2022), indicano che solo una quantità minima dei risparmi accumulati si è tradotta in maggiori consumi: ciò si è accompagnato, inoltre, al fatto che la propensione al consumo delle famiglie sia rimasta persistentemente su livelli minori rispetto alla fase pre-Covid anche nella fase di recupero dell’attività. Questi due aspetti sintetizzano, dunque, lo scarso potenziale di stimolo alla domanda da parte dei risparmi extra accumulati dalle famiglie. A ciò si aggiunge che questa visione implicitamente poneva scarsa enfasi sugli effetti esercitati da altri fenomeni sull’evoluzione dei consumi, in particolare la distribuzione del risparmio tra le famiglie. 

Sia negli Stati Uniti che nell’area dell’euro, i dati mostrano infatti che il risparmio si è distribuito in modo diseguale, essendo concentrato principalmente tra le famiglie ad alto reddito (Allen e Rebillard, 2021Hoke et al., 2021). Questa evidenza è cruciale per tracciare la ripresa dei consumi, in quanto le famiglie che hanno risparmiato di più durante la pandemia sono quelle caratterizzate da una minore propensione al consumo e da minori vincoli di liquidità (Charalampakis et al., 2022). Dato che gli effetti economici della pandemia hanno colpito soprattutto le famiglie a basso reddito (OCSE, 2020Basso et al., 2021) – con un’elevata propensione al consumo – durante la pandemia la quota di reddito nazionale destinata alle famiglie più ricche è aumentata meccanicamente: questo spostamento del reddito ha aumentato i risparmi delle famiglie più ricche in ragione di una flessione dei consumi non compensata da una riduzione del reddito, rendendo meno probabile l’auspicato conseguente recupero dei consumi aggregati. 

In Italia, nel 2020 i risparmi sono aumentati notevolmente, portando il tasso di risparmio annuo al 15,6% dall’8,0% del 2019, il massimo storico degli ultimi due decenni. Nel 2021 il tasso di risparmio è sceso al 13,1%, coerentemente con la ripresa, seppur parziale, dei consumi. Dall’inizio della crisi, la posizione finanziaria del settore privato è nettamente migliorata. Secondo i Conti Finanziari le attività finanziarie delle famiglie a fine 2021 sono salite a 5.236 miliardi di euro, 574 miliardi di euro in più rispetto alla fine del 2019. Osservando, inoltre, i dati sui depositi, emerge che, da dicembre 2019 a novembre 2022 quelli delle famiglie sono cresciuti di circa 115 miliardi, pari a circa 6,5 punti percentuali di PIL. Si può quindi affermare che una parte importante del risparmio delle famiglie è stato detenuto in forma liquida (prevalentemente depositi). 

Durante il COVID, la crescita del risparmio ha superato il trend che si sarebbe potuto registrare in assenza di pandemia. Per calcolare l’ammontare del risparmio extra abbiamo definito uno scenario controfattuale, in cui si assume che il tasso di risparmio sia pari alla sua media nell’ultimo decennio prima della pandemia, e che la crescita del reddito disponibile delle famiglie sia uguale ai tassi di crescita medi nello stesso periodo. La differenza tra i risparmi osservati e quelli derivanti dallo scenario controfattuale può essere considerata come una proxy degli extra-risparmi: cumulativamente ammonterebbero a 140,5 miliardi di euro (pari al 7,9% del PIL) dal 2020 al terzo trimestre 2022 (Figura 1).

Figura 1: Risparmi effettivi e risparmi controfattuali, milioni di euro

Fonte: elaborazioni degli autori su dati Istat

Le risorse risparmiate dalle famiglie sono ingenti ma è incerto in che misura esse abbiano stimolato la ripresa dei consumi privati, sostenendo la domanda repressa: il motivo principale è legato al fatto che il risparmio è distribuito in modo diseguale tra le classi di reddito. Secondo i dati dell’Indagine sul reddito e sulla ricchezza diffusa da Banca d’Italia (2022), questo divario si è amplificato con lo shock pandemico. Rispetto all’indagine condotta nel 2016, infatti, nel 2020 si registra un aumento del tasso di risparmio nel 5° quintile di reddito e una diminuzione nel 1° quintile (Figura 2).

Figura 2: Tasso di risparmio per quintili di reddito equivalente

Fonte: elaborazioni degli autori su dati Banca d’Italia

In dettaglio, nel corso del 2020 le famiglie più ricche hanno risparmiato la metà del proprio reddito mentre il tasso di risparmio di quelle meno abbienti, già in territorio negativo, ha continuato a scendere fino al -11,2%. Inoltre, l’indagine evidenzia che la detenzione di attività finanziarie è prevalente tra le classi di reddito più elevate. Ad esempio, nell’ultimo quintile di reddito la percentuale di famiglie detentrici di titoli e azioni è del 20,7% e tale quota diminuisce al diminuire del reddito, raggiungendo lo 0,7% nel primo quintile di reddito. Appare chiaro, quindi, che chi ha risparmiato durante la pandemia si colloca nella parte alta della distribuzione e ha beneficiato anche di guadagni dovuti all’aumento del prezzo delle azioni. La peculiarità della pandemia da Covid-19 ha avuto un ruolo nel plasmare tali dinamiche: di conseguenza, l’impatto dell’extra risparmio sui consumi privati nel corso della ripresa è certamente ambiguo, perché la maggior parte delle risorse è concentrata principalmente tra le famiglie con minore propensione al consumo e maggiori disponibilità finanziarie.

Ai nostri fini è rilevante non soltanto l’eterogeneità del risparmio tra le famiglie durante la crisi pandemica ma anche la crescita dell’inflazione dal 2021 che, essendo i salari aumentati meno dei prezzi, ha determinato un calo del potere d’acquisto delle famiglie. Nella maggior parte dei paesi europei, l’aumento dell’inflazione, inizialmente limitato ai beni energetici, si è successivamente esteso, generando effetti asimmetrici tra le famiglie appartenenti a diverse classi di reddito. Poiché la trasmissione dei maggiori prezzi dell’energia ad altre voci ha comportato un maggiore aumento dei prezzi dei beni rispetto ai servizi, sono stati osservati significativi effetti redistributivi che hanno colpito soprattutto le famiglie a reddito più basso, per le quali la quota dei beni sulla spesa totale – soprattutto alimentari ed energia – è superiore a quella dei servizi (Vidal e Villani, 2022). 

Secondo i dati ISTAT sulla spesa media mensile delle famiglie italiane per quintili di spesa equivalente, la quota di consumi di beni energetici diminuisce dal primo all’ultimo quintile, come già mostrato da Aprea sul Menabò. Le famiglie appartenenti al 1° quintile destinano una quota maggiore della loro spesa complessiva a energia elettrica, gas e combustibili. Al contrario, le famiglie più ricche, appartenenti al 5° quintile, spendono relativamente meno in beni energetici. In particolare, i primi destinano all’energia l’11,7% della spesa totale, mentre i secondi solo il 6,5%. Combinando queste quote con la corrispondente variazione media annua dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo, risulta che le famiglie nel 1° quintile sono esposte a un’inflazione più elevata sui beni energetici (Figura 3).

Figura 3: Quote di spesa equivalente ed esposizione all’inflazione per ogni quintile di spesa, beni energetici

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ISTAT

Note: i dati sui quinti di spesa equivalente si riferiscono al 2021, le variazioni dell’IPCA al 2022. Le barre mostrano la quota di spesa in beni energetici per ogni quinto di spesa equivalente, i punti indicano l’incremento del prezzo dei beni energetici registrato da ogni quinto. 

Lo stesso ragionamento vale per il cibo e le bevande. Le famiglie meno abbienti hanno sopportato un peso dell’inflazione alimentare maggiore rispetto a quelle più ricche (rispettivamente: 2,4% contro 1,3%). Ciò è dovuto al fatto che le famiglie del 1° quintile spendono il 26% della loro spesa totale per il cibo mentre le famiglie del 5° quintile spendono solo il 14,4% (Figura 4).

Figura 4. Quote di spesa equivalente ed esposizione all’inflazione per ogni quintile di spesa, beni alimentari

Fonte: elaborazioni degli autori su dati ISTAT

Note: i dati sui quinti di spesa equivalente si riferiscono al 2021, le variazioni dell’IPCA al 2022. Le barre mostrano la quota di spesa in beni alimentari per ogni quinto di spesa equivalente, i punti indicano l’incremento del prezzo dei beni alimentari registrato da ogni quinto. 

Complessivamente, quindi, l’impatto dell’inflazione è risultato differenziato tra i gruppi di famiglie, a causa della diversa composizione della spesa. I dati ISTAT forniscono evidenze sul differenziale inflazionistico tra il 1° e il 5° quintile di spesa equivalente. Tali dati confermano, inoltre, la presenza di un crescente divario di inflazione tra il primo quintile e l’ultimo, iniziato dalla seconda metà del 2021. Questa divergenza ha raggiunto il picco a novembre 2022, pari a 8.7 punti percentuali.

A seguito dello shock pandemico, che ha prodotto una maggiore disparità di redditi e risparmi, penalizzando le famiglie più povere e con una maggiore propensione al consumo, l’inflazione ha ulteriormente ampliato il divario distributivo, riducendo i margini di ripresa dei consumi, soprattutto tra le famiglie più povere. Analizzando la dinamica dei consumi delle famiglie italiane tra 2020 e 2022, abbiamo rilevato come il lento recupero dei consumi rispetto ai valori pre-Covid si sia accompagnato ad una propensione al risparmio che risulta persistentemente più elevata nel confronto con i livelli pre-crisi. Vale la pena ricordare che l’erosione del potere d’acquisto delle famiglie è stata mitigata da alcune misure messe in atto dal governo, come i bonus sociali per le utenze elettriche e gas, il contenimento delle bollette energetiche e la riduzione delle accise sui carburanti. Queste misure non sembrano però essere state sufficienti a compensare la caduta dei consumi.


* Le posizioni espresse in questo articolo riflettono le opinioni degli autori e non necessariamente quelle delle Amministrazioni di provenienza

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