Cassa Integrazione Guadagni Covid: cosa è successo e indicazioni di riforma

Paolo Naticchioni analizza il ruolo della Cassa Integrazione Guadagni nel contenere l’impatto della crisi, sottolineando che essa ha ridotto il costo del lavoro per le imprese in modo significativo e flessibile rispetto al grado di utilizzo dei lavoratori, garantendo loro la costanza del posto di lavoro. Naticchioni sostiene anche che questa esperienza fornisce indicazioni per disegnare meglio il sistema degli ammortizzatori sociali orientandolo, in particolare, a fronteggiare gli shock asimmetrici, congiunturali, e solo in casi eccezionali quelli sistemici.

Per sostenere imprese e famiglie nel mercato del lavoro durante la pandemia si è fatto ricorso, in modo preponderante, all’estensione dell’ambito di applicazione delle integrazioni salariali a carico della finanza pubblica. Con la Cassa Integrazione in deroga le tutele sono state estese ai lavoratori non coperti da misure di sostegno al reddito in caso di sospensione del rapporto di lavoro e, inoltre, si è consentito di continuare a fruire delle integrazioni ai lavoratori che avevano raggiunto i limiti di durata fissati dalle normative sulla Cassa Integrazione Guadagni o ulteriori limiti previsti dal D. Lgs 148/2015.

Come sottolineato nel Rapporto Inps nei primi otto mesi del 2020 sono state autorizzate complessivamente circa 3 miliardi di ore, pari a due volte e mezzo quelle autorizzate nel 2010, l’anno di picco dopo la crisi del 2008.

L’evoluzione mensile dell’utilizzo della CIG-Covid si può evincere dalla Figura 1, con dati aggiornati al mese di agosto. Il numero di ore autorizzate per la CIG ordinaria è preponderante, seguono i fondi di solidarietà mentre la CIG in deroga, che coinvolge il più alto numero di imprese (piccole), è meno rilevante in termini di ore. La dinamica mensile delle richieste di ore CIG appare coerente con l’andamento mensile della pandemia: dopo il picco di aprile (unico mese totalmente in lockdown) si registra una diminuzione, particolarmente accentuata durante l’estate quando l’epidemia sembrava quasi del tutto sotto controllo. Questo andamento lascia pensare che non sia stato molto diffuso l’utilizzo improprio della CIG – in assenza, cioè, di difficoltà economiche, vista la bassa incidenza nei mesi estivi caratterizzati da restrizioni minime.

Figura 1. Numero di lavoratori equivalenti a tempo pieno in cassa integrazione a zero ore (calcolati sulla base delle ore autorizzate dal 1° Aprile al 31 Agosto con causale Covid-19) per tipologia di intervento e mese di competenza. Anno 2020

La quota di ore effettivamente fruite dalle imprese rispetto alle ore inizialmente autorizzate, il cosiddetto tiraggio, nei primi mesi della pandemia è stata del 60-65%, valore non molto più elevato rispetto a quello osservato negli anni precedenti (tendenzialmente tra il 40 e il 60%). Alcuni si attendevano, dato il lockdown e la situazione economica, un valore decisamente più elevato del tiraggio; se ciò non si è verificato probabilmente è perché le imprese hanno rettificato le aspettative di CIG rispetto al momento della richiesta in seguito alla riapertura delle attività economica a maggio e al miglioramento delle prospettive economiche. Grazie al più basso tiraggio è stato possibile ‘spalmare’ le risorse su periodi più lunghi.

Fino alla fine dell’estate quasi 800 mila imprese, pari a poco più delle metà di quelle presenti negli archivi UniEmens (con almeno un dipendente nell’anno), hanno fatto ricorso a trattamenti di integrazione salariale. I dipendenti coinvolti sono stati circa il 40%, cioè oltre 5 milioni e mezzo (negli ultimi mesi si è arrivati a più di sei milioni) mentre la quota di ore è molto minore (sotto il 15%).

Nelle imprese che hanno usufruito di CIG-Covid la quota di lavoratori interessati è stata circa il 70%, con un’incidenza decisamente superiore a marzo-aprile rispetto a maggio-giugno, coerentemente con l’evoluzione dell’attività economica. Anche il risparmio medio di costo per dipendente legato all’uso di CIG-Covid è stato cospicuo, con un andamento in diminuzione, da circa 1500 euro a marzo-aprile a circa 850 euro a maggio-giugno (a fronte di un costo medio per bimestre di € 2.600).

Per quanto riguarda l’eterogeneità rispetto alle caratteristiche di impresa l’incidenza di ore CIG-Covid fruite risulta maggiore per le piccole imprese: fino a 10 dipendenti circa il 30% delle ore è in CIG, questa percentuale si abbassa anche sotto il 10% per le imprese di grandi dimensioni. Inoltre al Sud si ha una maggiore incidenza della CIG-Covid, ma è da attribuirsi alla composizione settoriale e appunto alla dimensione media delle imprese.

Per quanto riguarda la perdita stipendiale per i lavoratori si passa dal 22,5% nel bimestre marzo aprile al 17% per maggio e giugno, con un aumento della perdita all’aumentare della retribuzione lorda a causa dei massimali.

E’ inoltre interessante notare che l’incidenza delle imprese che hanno richiesto la CIG-Covid è molto persistente tra il bimestre marzo-aprile e il bimestre maggio-giugno. Nella Figura 2 sull’asse delle ascisse è riportata l’incidenza delle imprese che in ogni settore Ateco a 4 digit hanno richiesto la CIG-Covid nel primo bimestre e sull’asse delle ordinate il corrispondente dato per il secondo bimestre; sono considerati tutti i settori presenti nell’archivio UniEmens (la dimensione dei cerchi riflette la dimensione del settore in termini di imprese). Dal pannello (a) si evince che l’incidenza di CIG-Covid a marzo e aprile è un forte predittore dell’incidenza a maggio e giugno; la retta è al di sotto della bisettrice a causa della minore incidenza di maggio e giugno rispetto a marzo e aprile. Ciò è confermato per le ore in CIG, con una retta interpolante fortemente meno inclinata rispetto alla bisettrice che suggerisce che la riduzione in termini di ore di integrazione dal primo al secondo bimestre è stata più marcata rispetto a quella in termini di numero di imprese. Risultano, pertanto, confermate la forte eterogeneità settoriale e la forte persistenza da cui si evince che le politiche di ristoro non possono prescindere dalla dimensione settoriale.

Figura 2. Relazione tra la quota di imprese richiedenti la CIG-Covid nel bimestre maggio-giugno rispetto al bimestre marzo-aprile

Si analizza inoltre l’evoluzione dell’utilizzo della CIG-Covid nei diversi settori in risposta a variazioni della performance economica del settore, misurata a partire dai numeri indice della produzione industriale per il settore manifatturiero.

La Figura 3 riporta la relazione tra l’indice di variazione della produzione industriale fra giugno e gennaio, e la quota di imprese in CIG-Covid nello stesso settore Ateco per i due bimestri marzo-aprile (a sinistra) e maggio-giugno (a destra). Si nota una relazione negativa tra la quota delle imprese che richiedono la CIG-Covid e i cambiamenti nella dinamica dell’indice di produzione industriale: tanto più il tasso di crescita della produzione industriale si è ridotto, tanto maggiore è la quota di imprese che hanno richiesto la CIG-Covid (la relazione fra bimestri è molto simile). Ciò è dovuto alla forte persistenza dell’incidenza del ricorso settoriale alla CIG-Covid fra bimestri, con l’unica differenza che nel secondo bimestre l’incidenza è in media inferiore. E anche i settori che hanno visto una variazione nulla o positiva della produzione industriale registrano un uso della CIG-Covid non trascurabile, intorno al 30%. Tale evidenza è confermata dai dati derivanti da una collaborazione tra INPS e Agenzia delle Entrate: su circa 552mila aziende (536 milioni di ore) che hanno utilizzato almeno un’ora di cassa integrazione, quasi 189mila (150 milioni), ovvero circa il 34%, non hanno subito riduzione di fatturato. Si sottolinea che tale strategia di impresa non rappresenta alcun illecito, infatti i vari decreti iniziali sulla CIG non prevedevano alcune condizione nel poter richiedere la CIG-Covid: al limite si può parlare di opportunità (dal decreto di agosto si è invece legato l’utilizzo della CIG-Covid alle dinamiche di fatturato).

Figura 3. Relazione tra la quota di imprese richiedenti la CIG-Covid e i cambiamenti nell’andamento dell’indice della produzione industriale giugno-gennaio 2020: margine estensivo

È anche possibile comparare i numeri indici della produzione industriale specifici al bimestre aprile-febbraio e quello giugno-aprile. La Figura 4 mostra una correlazione negativa fra i due numeri indici, suggerendo chiaramente che nel secondo bimestre si è avuto un effetto-rimbalzo, cioè i settori maggiormente colpiti a marzo-aprile sono cresciuti di più una volta terminata la fase più critica. Pertanto, è opportuno notare che una impresa/settore con una variazione congiunturale positiva nei mesi più recenti potrebbe continuare a utilizzare la CIG in quanto fortemente colpita nei primi mesi della pandemia – anche a causa della persistenza nell’utilizzo della CIG all’interno dei settori.

Figura 4. Relazione tra l’indice della produzione industriale in giugno-aprile e l’indice della produzione industriale in aprile-febbraio

In una recente audizione al Parlamento l’Inps ha indicato alcune direttrici per una possibile riforma degli strumenti di integrazione salariale (CIGO, CIGS, FIS ecc. ), con la consapevolezza che in primo luogo tale sistema deve essere pensato per far fronte a shock asimmetrici, congiunturali, e solo in casi eccezionali deve essere esteso per shock sistemici.

  1. Accorpare i vari fondi con un graduale passaggio verso un unico fondo che gestisce le integrazioni salariali ordinarie (esclusi i lavoratori assicurati per CIGO) e che raccoglie tutte le aziende senza strumenti di integrazione salariale ordinaria, indipendentemente dalla dimensione aziendale. Tale fondo dovrebbe garantire una mutualità tra settori economici e territori geografici diversi oltre che una convergenza delle prestazioni in termini di misura e di durata. In questo modo si potrebbe realizzare uno strumento più snello e generale, capace di far fronte a shock di tipo asimmetrico con maggiore efficacia (e che potrebbe anche aiutare a fronteggiare meglio situazioni eccezionali come uno shock pandemico). Inoltre, per l’ambito dei fondi bilaterali si dovrebbe pensare a un superamento del principio dell’equilibrio finanziario annuale.
  2. Estendere la copertura offerta dalle integrazioni salariali anche ai dipendenti di aziende con meno di 15 dipendenti. Attualmente del fondo di integrazione salariale beneficiano anche i dipendenti di aziende con numero di dipendenti compreso tra 6 e 15 attraverso l’assegno di solidarietà, ma questo strumento è ritenuto da molti poco adatto a fronteggiare le crisi di mercato;
  3. Sarebbe auspicabile le prestazioni siano uniformi nelle componenti (assegni al nucleo per tutti) sia nell’entità, evitando differenziazioni settoriali/territoriali che complicano le procedure amministrative. Le durate della prestazione del fondo di integrazione salariale unico potrebbero non necessariamente essere pari a quelle previste per la cassa integrazione ordinaria, e pertanto potrebbero rimanere contributi diversi legati ai settori economici e alle dimensioni aziendali, pur mantenendo comunque elementi di solidarietà e un contributo addizionale crescente rispetto all’intensità di utilizzo, anche più di quanto oggi previsto.
  4. Si può ragionare su un assegno più generoso con unico tetto alla prestazione (quello di importo maggiore), eliminando la riduzione del 5,84% (art.26 della legge 28 febbraio 1986, n. 41), garantendo un livello della prestazione più vicino al tasso di sostituzione dell’80% per i lavoratori con retribuzioni basse, e aumentando il massimale di 1273 euro, oltre il quale il tasso di sostituzione del trattamento comincia a diminuire, portandolo, ad esempio, a 1600 euro.
  5. Anche in conseguenza di quanto precede, le fonti di finanziamento del fondo di integrazione salariale unico dovrebbero prevedere un contributo ordinario (più basso di quello che si applica alle aziende assicurate per CIGO) differenziato per settori economici e dimensioni aziendali, mantenendo comunque elementi di solidarietà. In aggiunta, dovrebbe essere previsto un contributo addizionale crescente – anche più di quanto avviene oggi – con l’intensità di utilizzo.

Più in generale, si auspica una riforma che vada in direzione di una maggior partecipazione aziendale e di maggiore attenzione al ruolo delle politiche attive, con l’intento di trasformare le integrazioni salariali in uno strumento di aiuto alle aziende per la programmazione organizzativa, l’ammodernamento aziendale, la diversificazione della produzione e la formazione continua del personale.

 

*Questo articolo si basa sul lavoro svolto nell’ambito della Direzione Centrale Studi e Ricerche dell’INPS di supporto alla redazione di diversi documenti dell’Istituto. 

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