ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 183/2022

30 Novembre 2022

Con pochi con tanti

Civil Servant interviene nel dibattito sul tetto all’uso del contante e sulla sua efficacia nella lotta ai traffici illeciti e a varie forme di evasione fiscale. Dopo aver argomentato che questi fenomeni possono prosperare anche in un’economia cashless, Civil Servant considera altre modalità di intervento sul contante diverse dal tetto e giunge alla conclusione che un’efficace lotta all’illegalità richiede altre politiche e le misure sul contante possono avere soltanto un ruolo secondario.

L’innalzamento del tetto all’uso del contante, previsto nel decreto Aiuti quater, ha riacceso il dibattito sui vantaggi e gli svantaggi della moneta tradizionale, soprattutto in termini di efficienza del sistema dei pagamenti e di evasione fiscale. Non c’è dubbio che l’uso del contante comporti costi elevati per la custodia e la movimentazione dei valori, che uno studio della Banca d’Italia stimava intorno allo 0,8% del Pil tra il 2009 e il 2016. Inoltre è certo che la maggior parte delle transazioni irregolari avviene in contanti, anche se le regole fiscali, previdenziali e persino penali possono essere aggirate utilizzando carte monouso, criptovalute, contratti fittizi, ecc. 

Con riferimento specifico all’evasione fiscale, è frustrante dover ammettere che il legame tra quest’ultima e l’uso del contante è molto più labile e complesso di quanto molti pensino, perché si possono evadere o eludere le tasse anche con strumenti di pagamento tracciabili e la domanda di contante dipende da molti altri fattori, oltre che dalla propensione ad evadere. In particolare, l’elusione fiscale delle grandi imprese multinazionali – che secondo recenti stime sottrarrebbe ogni anno al nostro fisco circa il 20% delle imposte sulle società- e il riciclaggio dei proventi della criminalità organizzata avvengono tramite strumenti di pagamento perfettamente tracciabili che però transitano per paradisi fiscali, anche europei e statunitensi. D’altra parte, i contribuenti in regola possono preferire il contante per motivi del tutto legittimi: tutelare la loro privacy, risparmiare sul costo dei servizi bancari, evitare truffe, ecc. 

In ogni caso, occorre riconoscere pragmaticamente che le violazioni del tetto all’uso del contante sono quasi impossibili da perseguire, a meno di utilizzare strumenti piuttosto invasivi (come l’impiego di agenti provocatori, incentivi alla delazione, videosorveglianza onnipresente, ecc.). Infatti, nessuna delle parti coinvolte in transazioni irregolari ha l’interesse a segnalarle quando sono consensuali o il coraggio di denunciarle quando sono forzate, come le estorsioni. Si pensi solo alla posizione di chi accetta uno “sconto” sul prezzo in cambio dell’evasione dell’IVA (che consente al venditore di evitare anche molte altre imposte e di usufruire di parecchi benefici legati al reddito), oppure a chi è coinvolto nello spaccio di stupefacenti, nella prostituzione o nel pagamento del “pizzo” (che, a rigore, non sono neanche soggetti a imposte). 

D’altra parte, nell’imporre limitazioni al contante, si deve tener conto che non tutte le transazioni cash comportano forme di evasione fiscale o di partecipazione all’economia criminale. Ad esempio, sono del tutto legittimi gli scambi certificati da documenti fiscali, come gli scontrini, o quelli effettuati tramite erogatori “bollinati”, come i distributori di carburante o i videogiochi regolari. Come se non bastasse, neanche un’economia cashless metterebbe al riparo da evasione e criminalità. Per esempio, alcune transazioni tracciabili possono nascondere attività in nero e vere e proprie estorsioni, facendole passare per operazioni finanziarie, corrispettivi per prestazioni fittizie, contratti di fornitura, ecc..

Bisogna prendere atto, inoltre, che i limiti al contante scoraggiano al massimo le transazioni che coinvolgono almeno un soggetto regolare, che può essere potenzialmente controllato, ma non toccano quelle che avvengono interamente all’interno del perimetro dell’economia in nero, in cui si scambiano beni, servizi e prestazioni lavorative in contanti al di fuori di ogni controllo. Neanche la fatturazione elettronica riesce a colpire troppo questo settore. Inoltre la dimensione del sommerso non dipende tanto da poche transazioni in contanti che eccedono i limiti di legge, ma piuttosto dal flusso complessivo di pagamenti che assicura la liquidità necessaria a far funzionare questo comparto. Da questo punto di vista, può fare molti più danni la norma che consente di rifiutare i pagamenti con carte al di sotto dei 60 euro. Molte organizzazioni criminali hanno acquisito il controllo di esercizi commerciali e della ristorazione, in cui è fisiologico l’uso dei contanti, proprio per giustificare il possesso di grandi disponibilità liquide che, una volta passate nel circuito bancario, non sono più distinguibili dai proventi regolari. Per concludere simili operazioni, questi soggetti sono spesso costretti a dichiarare entrate superiori a quelle effettive, rivelandosi paradossalmente ottimi contribuenti.

Se è così, far rispettare le norme sul contante potrebbe essere molto più costoso della lotta diretta all’evasione e quindi sarebbe meglio dedicare a quest’ultima attività le risorse disponibili, invece di disperderle per il controllo di singole transazioni. Ad esempio, uno studio della Banca d’Italia (molto citato proprio dai sostenitori di limiti più restrittivi al contante) ammette che l’aumento del limite del 200% (da 1.000 a 3.000 euro) introdotto nel 2016 avrebbe prodotto un allargamento dell’area del sommerso di appena lo 0,5%. Anche il solo dimezzamento dell’economia non osservata (complessivamente pari all’11,3% del Pil, secondo le stime più recenti) richiederebbe dunque il sostanziale azzeramento della soglia per le transazioni in contanti, che è impraticabile.

Un ricercatore della Banca d’Italia ha anche mostrato che in Italia gli evasori non cambiano la loro propensione alla liquidità quando vengono modificate le soglie per l’uso del contante, mentre l’accesso fiscale ai dati bancari fa addirittura aumentare la domanda di banconote (soprattutto di taglio elevato) da parte di chi vuole nascondere i propri introiti, finendo per incoraggiare gli scambi irregolari. Purtroppo, non si tratta solo di una specificità italiana, perché neanche la massiccia demonetizzazione dell’India attuata nel 2016 sembra aver dato esiti migliori. 

In realtà, per ostacolare davvero il funzionamento dell’economia irregolare sarebbe necessario un taglio allo stock di moneta in circolazione all’interno di quel settore, non soltanto un limite a pochi scambi fuori soglia. Per riuscirci, tuttavia, si dovrebbe sostanzialmente azzerare l’uso del contante in tutta l’economia e non solo nel sommerso, come conferma anche l’evidenza aneddotica sulle tracce di stupefacenti rinvenute sulle banconote USA, segno di passaggi ripetuti e non solo occasionali tra economia regolare e non. Se è così, una stretta generalizzata sul contante rischia di danneggiare più l’economia regolare che quella in nero. Per di più, non si può neanche escludere che la demonetizzazione sia vanificata dallo sviluppo di un circuito di scambi basati su una moneta alternativa, come è successo dopo le sanzioni alla Russia, quando si sono moltiplicate le transazioni in rubli e yuan su una piattaforma diversa dallo SWIFT. Inoltre le restrizioni all’uso del contante sollevano diversi profili di illegittimità e comunque risulterebbero poco efficaci qualora fossero compensate da una accelerazione della velocità di circolazione della moneta all’interno del settore irregolare.

Scoraggiare l’uso del contante ridurrebbe certamente il costo sociale della sua gestione, ma potrebbe risultare poco efficace contro l’evasione e la criminalità. Per colpire questi fenomeni sarebbero forse necessari provvedimenti molto più drastici, ma di dubbia legittimità e difficilmente praticabili. Ad esempio, per intercettare il denaro sporco, si potrebbe rispolverare la trovata di Wichmann di Seeburg, arcivescovo di Magdeburgo, che a metà del dodicesimo secolo ordinò di ritirare periodicamente le monete in circolazione per sostituirle con altre nuove di zecca. Un effetto secondario di questa gabella era che anche evasori e malviventi, che detenevano denaro illecitamente, erano costretti a passare sotto la lente del fisco locale. Tuttavia pare che l’alto prelato si limitasse a riscuotere un aggio sul cambio, senza preoccuparsi troppo della provenienza delle monete, offrendo una specie di scudo fiscale ante litteram.

La proposta di una valuta “a scadenza”, che richieda periodici “rinnovi” in banca, fu ripresa alla fine del 1800 da Silvio Gesell, ancora una volta senza preoccuparsi della lotta all’evasione. L’obiettivo di Gesell, infatti, era quello di stimolare la domanda aggregata e redistribuire più equamente la ricchezza. Il progetto arrivò ad influenzare anche Keynes, ma non fu mai realizzato su larga scala, anche se lo hanno riproposto recentemente alcuni ricercatori della Banca Mondiale, sempre senza riferimenti agli eventuali effetti sul sommerso. Il rinnovo periodico della moneta in circolazione potrebbe essere utilizzato in funzione anti evasione, ma comporterebbe disagi e costi amministrativi proibitivi. Stupisce che si sia persa l’occasione per attuare simili controlli durante il passaggio dalla lira all’euro, che avrebbe permesso uno screening di tutti i soggetti che richiedevano il cambio presso gli istituti di credito.

Più realisticamente, si potrebbe pensare di imporre un tetto annuale al ritiro di contanti presso banche e ATM, oppure delle tasse sui prelievi, in modo da limitare l’uso delle banconote e tagliare il flusso di liquidità che può andare dall’economia regolare a quella sommersa e criminale. Ci hanno provato diversi governi, compreso l’ultimo della scorsa legislatura, senza successo, anche per le proteste di chi preleva ed usa il contante per scopi del tutto legittimi. Si tratta di provvedimenti in linea con i balzelli ideati dall’arcivescovo di Magdeburgo e messi in pratica più volte dai fautori di scudi e condoni vari, che invece incontrano meno resistenze. In ogni caso, il costo di attuazione di simili provvedimenti è infinitamente inferiore a quello dei minuziosi controlli richiesti da un tetto credibile all’uso del contante. 

Imporre un tetto alle singole transazioni in contanti, e perfino al loro totale annuo, sembra più una scorciatoia (per di più poco praticabile e spesso inefficace) che una risposta appropriata al problema dell’evasione. In realtà, per affrontare nero e criminalità non resta che investire risorse e capitale politico su strumenti di intelligence avanzati, come suggerito anche dall’ultima relazione sull’economia non osservata allegata alla Nota Aggiuntiva al Documento di Economia e Finanza. I provvedimenti sul contante possono al massimo rappresentare un elemento (secondario) di una strategia più complessa.

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