Contribuire al reddito familiare con guadagni secondari? Le scelte di lavoro delle donne e le politiche fiscali in Europa

Alina Verashchagina riassume i risultati di un’ampia ricerca sui cosiddetti “guadagni secondari” in Europa, cioè sui redditi da lavoro apportati dalle donne al bilancio familiare e che sono di entità inferiore a quelli degli uomini. Verashchagina illustra gli effetti dei trattamenti fiscali e dei costi per la cura dei figli sulla decisione delle donne di “accontentarsi” di un “guadagno secondario” sul mercato del lavoro e sottolinea l’importanza della conoscenza di questi effetti per migliorare il disegno delle politiche dell’occupazione femminile.

Con il loro lavoro, le donne europee oggi danno al reddito familiare un contributo che è tutt’altro che marginale, ma che è ancora inferiore a quello degli uomini. Infatti, in più di metà delle coppie in età lavorativa le donne guadagnano meno degli uomini o non lavorano affatto e ciò giustifica che si definisca “secondario” il reddito che le lavoratrici apportano in famiglia. Tuttavia, è anche vero che un numero crescente di donne guadagna quanto gli uomini, se non di più (come segnalato da Bettio e Verashchagina).

In realtà, i fattori dai quali dipende la capacità di guadagno delle donne differiscono nei diversi paesi. Infatti, nell’UE15, il basso contributo delle donne al reddito da lavoro della coppia è riconducibile soprattutto all’ampio ricorso al part-time mentre ciò non vale nella maggior parte dei paesi dell’Europa Orientale (e anche in parte dell’Europa meridionale), dove tale tipologia di lavoro non è molto diffusa o è poco attraente.

D’altro canto, le scelte lavorative e i profili di carriera sono fortemente influenzati dalla situazione familiare, in particolare dal numero e dall’età dei figli a carico. In molti paesi, il reddito da lavoro delle donne che hanno bambini di meno di tre anni è considerevolmente più basso. Nella maggior parte dei casi tale effetto è temporaneo, spesso dovuto all’interruzione della carriera durante il congedo per maternità. In alcuni paesi, però, la perdita di capacità reddituale è persistente, si riscontra, cioè, in tutte le coppie con figli a carico, a prescindere dalla loro età (ad esempio Austria, Germania, Croazia, e Svizzera).

Un recente Rapporto finanziato dalla Commissione Europea mira a valutare in quale misura le politiche fiscali adottate e le tasse implicite (come la spesa privata per la cura dei figli) inducano le donne a non impiegare pienamente la propria capacità lavorativa e di guadagno. Per stimare l’entità di questo effetto si è fatto ricorso a due strumenti analitici: il modello di microsimulazione EUROMOD e il modello tax-benefit dell’OCSE (facendo uso, per entrambi i modelli, delle retribuzioni effettive ricavate dai dati dell’indagine EU-SILC). Gli indicatori di (dis)incentivo considerati sono rispettivamente: il Marginal Effective Tax Rate (METR), che ci si attende influenzi la decisione su quanto lavorare, e il Participation Tax Rate (PTR), dal quale dovrebbe dipendere la decisione di (ri)entrare sul mercato del lavoro (v. Box 2 a p. 40 del Rapporto). Il PTR è stato inoltre modificato per tenere conto delle più recenti stime dei costi privati per le cure dei figli effettuate dall’OCSE per i diversi paesi.

Intensità di lavoro. I paesi con più elevato valore METR per i guadagni secondari appaiono essere Belgio, Germania e Danimarca. Tuttavia, questi sono anche paesi a elevato carico fiscale complessivo; di conseguenza, in un contesto in cui tutti i lavoratori fronteggiano un’elevata tassazione, i percettori di guadagni secondari potrebbero non sentirsi particolarmente penalizzati. Al riguardo per stimare in termini relativi il trattamento fiscale dei guadagni secondari in ciascun paese si è fatto uso, come benchmark, delle coppie di partner che percepiscono uguali retribuzioni.

L’analisi comparativa di METR dei casi in cui vi siano guadagni secondari e di quelli in cui all’interno della coppia i guadagni sono uguali individua cinque paesi nei quali i percettori di guadagni secondari soffrono rilevanti svantaggi: Belgio, Germania, Portogallo, Lussemburgo e Slovenia. Tuttavia, solo in Belgio, Lussemburgo e Germania alti disincentivi al lavoro prolungato si combinano con elevate quote di lavoro part-time tra le donne. In Slovenia e Portogallo altri fattori agiscono riducendo gli effetti di tali disincentivi.

E’ importante fare una precisazione. Le simulazioni che utilizzano EUROMOD rivelano, in numerosi paesi, un’ampia dispersione dei valori METR relativi ai percettori di guadagni secondari: ciò accade soprattutto in Irlanda, Austria, Spagna, Olanda, Lussemburgo, Finlandia, e Francia. Perciò basarsi sui valori mediani per definire le politiche significherebbe ignorare i casi atipici che cadono nelle code della distribuzione.

Lavorare o non lavorare? Le simulazioni effettuate attraverso il modello OCSE suggeriscono che, tra le coppie senza bambini, i disincentivi ad entrare o rientrare nell’occupazione, misurati con l’indicatore PTR, sono generalmente più alti laddove gli stipendi risultano essere uguali rispetto a quanto accade dove esistono potenziali percettori di guadagni secondari. Come previsto, in mancanza di bambini, i valori del PTR tendono a crescere all’aumentare dei guadagni, sebbene questo non emerga in Danimarca e in molti paesi dell’Europa Orientale, come Bulgaria, Ungheria, Lettonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Estonia. Tuttavia, nei vari paesi, le differenze del PTR in corrispondenza di livelli alti e bassi di guadagno sono piuttosto limitate con l’ eccezione di Lussemburgo, Austria, Finlandia, Irlanda e Regno Unito.

Il quadro è diverso nel caso di coppie con figli. Quando i costi monetari per la cura dei bambini vengono aggiunti al tradizionale sistema di prelievo fiscale, i valori del PTR per i guadagni secondari in Regno Unito, Irlanda, Germania, Repubblica Ceca e Slovacchia superano i valori del benchmark (cioè di uguaglianza dei salari) di almeno il 20%. In altre parole, in questi paesi, le madri con bambini che prendono in considerazione l’ipotesi di entrare nel mercato del lavoro percependo guadagni secondari, fronteggiano disincentivi fiscali considerevolmente più alti rispetto alle lavoratrici che vi entrano con la prospettiva di guadagni paritari. In Lettonia, Lituania, Estonia, Malta, e Lussemburgo le potenziali percettrici di guadagni secondari sono anche penalizzate rispetto al gruppo del benchmark, ma in misura minore. In tutti questi casi la penalizzazione è dovuta ai costi vivi che occorre sostenere per la cura dei figli. L’esempio più chiaro a riguardo è fornito dall’Irlanda e il Regno Unito, dove, secondo le stime dell’OCSE (2014), i costi per il mantenimento dei bambini sono i più alti in Europa.

Sarebbe tuttavia affrettato concludere che la tassazione esplicita influenza debolmente la decisione delle donne di (ri)entrare nell’occupazione, mentre la tassazione implicita rappresentata dai costi di cura dei bambini ha una maggiore incidenza. Ad esempio, nel Regno Unito, l’occupazione femminile è relativamente alta, nonostante il costo delle cure infantili sia tra i più elevati in Europa. Tuttavia, in questo paese tra le lavoratrici è molto diffuso il part-time che, indirettamente, contribuisce a ridurre i costi di cura. Inoltre queste analisi sono basate su valori stimati dei costi di cura. Nonostante la fonte sia affidabile (OCSE), tali costi variano fortemente tra paesi e al loro interno e ciò rende incerti i risultati di esercizi basati sui valori medi.

Nel complesso i risultati sono abbastanza coerenti con l’assunto che il sistema di tax-benefits e i costi diretti per la cura dei figli possono influenzare le scelte del tempo di lavoro e la decisione di cercare un’occupazione che frutti un guadagno secondario. Dieci tra i paesi considerati nel Rapporto si caratterizzano per quote di part-time femminile più alte della media europea (Danimarca, Irlanda, Lussemburgo, Svezia, Norvegia, Regno Unito, Belgio, Germania, Austria e Olanda) e undici mostrano tassi di occupazione al di sotto dello standard medio europeo (Grecia, Malta, Italia, Spagna, Romania, Ungheria, Slovacchia, Polonia, Irlanda, Bulgaria, e Belgio). In molti di questi paesi si rilevano carichi fiscali comparativamente più alti per i guadagni secondari – considerando gli indicatori METR, PTR o PTR inclusivi dei costi diretti per la cura dei figli – il che conferma la validità dei risultati ottenuti nelle stime.

Tuttavia, né la struttura del sistema di tax-benefits, né i costi diretti per l’infanzia bastano di per sé a render conto dei risultati occupazionali relativi ai singoli paesi, poiché diversi contro-esempi possono esser trovati in entrambi i casi. Va però sottolineato che il Rapporto si è concentrato sulla stima dei disincentivi, mentre la loro influenza sui pattern occupazionali ha ricevuto minore attenzione.

Con riferimento alla struttura del sistema di tassazione, i risultati ottenuti sono ampiamente compatibili con alcune diffuse opinioni e cioè che il grado di progressività del sistema fiscale e la tassazione congiunta o separata dei redditi familiari rappresentano i fattori che più influiscono sull’incentivo al lavoro di chi percepisce un reddito secondario. Dall’aggiornata rassegna dei sistemi di tassazione contenuta nel rapporto risulta che la tassazione separata e individuale prevale nella maggior parte degli Stati Membri. Tuttavia un non trascurabile gruppo di paesi adotta il sistema di tassazione congiunta: Germania, Francia, Irlanda, Lussemburgo e Portogallo. Per di più, elementi di tassazione congiunta sono presenti nei sistemi di tassazione di circa metà dei paesi considerati. I pro e i contro di un sistema di tassazione congiunta rispetto a quella individuale potrebbero perciò richiedere un attento riesame se lo scopo delle politiche è quello di rimuovere i disincentivi per le lavoratrici a rischio di esclusione dal mercato del lavoro.

Per ciò che riguarda la progressività, il fatto che paesi come Danimarca, Norvegia e Svezia non figurino tra quelli in cui i guadagni secondari sono penalizzati può sembrare in contraddizione con alcuni studi che sottolineano l’effetto di scoraggiamento derivante dall’elevata tassazione in questi paesi. Tuttavia, ciò che ha rilevanza per un sottogruppo della popolazione – come è quello di coloro che percepiscono guadagni secondari – è il livello relativo di tassazione piuttosto che quello assoluto. Come si è già detto, il carico fiscale che grava sui guadagni secondari è stato comparato con quello delle coppie con “redditi bilanciati”. Mentre la scelta dello specifico benchmark può essere opinabile quella di guardare alla tassazione relativa è al riparo da ogni dubbio.

Un limite specifico della simulazione che è stata condotta tramite EUROMOD è la ristrettezza del campione, che in alcuni casi, come quello di Germania, Olanda e Irlanda, mina la certezza dei risultati. Una più generale obiezione riguarda la molteplicità degli obiettivi di policy che dovrebbero essere tenuti presenti quando si analizzano i guadagni secondari delle donne. Il Rapporto si concentra soprattutto sulle scelte occupazionali – se lavorare o no e per quanto tempo – e trascura la fertilità, il benessere dei bambini, la povertà degli stessi e altro ancora. Tra i differenti obiettivi di policy possono esservi trade-off e conflitti che inevitabilmente complicano l’analisi, ma tali complicazioni non possono essere ignorate se l’obiettivo più generale è migliorare il sistema di welfare.

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