Cultura come diritto di cittadinanza: i musei italiani

Annalisa Cicerchia ricorda che per la Costituzione la promozione della cultura è un compito fondamentale della Repubblica (art.9) ma nota che non sono mai stati definiti i livelli essenziali di erogazione dei servizi culturali. Cicerchia presenta dati recenti che mostrano come i consumi e le attività culturali degli italiani siano particolarmente depressi, soprattutto nel caso di individui con reddito e/o istruzione bassi. Per rendere effettiva la democrazia culturale, conclude Cicerchia, il ruolo di biblioteche e musei può essere molto importante.

La Costituzione italiana riconosce la promozione della cultura fra i compiti fondamentali della Repubblica (art.9), ma i livelli essenziali di erogazione di servizi culturali non sono mai stati definiti. Il complesso sistema inter-istituzionale di competenze statali e la pluralità di configurazioni alle quali è soggetta la materia culturale nelle amministrazioni regionali e comunali rende impossibile prescrivere in che cosa consistano i diritti essenziali di cittadinanza culturale e tutelarne l’eguale godimento per tutti. Anche a causa di scarsa attitudine al governo della partecipazione culturale, in Italia, i consumi di questa natura sono particolarmente depressi, soprattutto fra i cittadini con basso reddito e basso livello di istruzione e nelle aree più svantaggiate del Paese.

L’esercizio di attività culturali da parte dei cittadini presuppone l’accessibilità, fisica e cognitiva, di luoghi e servizi, pubblici e privati, come biblioteche, archivi, teatri, musei, cinema, sale per concerti, gallerie d’arte. La distribuzione territoriale di queste dotazioni è disomogenea. Per motivi storici, la maggior parte dei beni culturali come musei, biblioteche, edifici monumentali o teatri storici si trovano nei centri urbani delle regioni settentrionali e centrali del Paese. Il Mezzogiorno, segnato in larga parte dalla lunga impronta del latifondo e dalla minore intensità di insediamenti urbani fino al secondo dopoguerra, si caratterizza piuttosto per la ricchezza dei siti archeologici e dei luoghi di culto, cattedrali, chiese e santuari, a volte isolati, e per le architetture, più concentrate nei capoluoghi, del potere. Servizi di origine più recente e più marcatamente commerciale, come cinema, librerie, edicole, si sono invece diffusi e poi spesso drasticamente ridotti o riorganizzati in corrispondenza delle profonde trasformazioni demografiche ed economiche che hanno caratterizzato il XX secolo e l’inizio del XXI e che hanno disegnato nel tempo i bacini di utenza, nonché della transizione all’era digitale.

Due soli tipi di luoghi della cultura, erogatori di servizi, si trovano in forma capillare in tutto il territorio: le biblioteche e i musei.

Nel 2017, le biblioteche pubbliche e private sono 13.888, cioè 22,9 ogni 100 mila abitanti. La loro distribuzione territoriale presenta elementi di forte differenziazione fra regioni: la Lombardia detiene il primato, con 2.196 biblioteche; seguono il Lazio (con 1.321) e il Piemonte, l’Emilia-Romagna e la Campania (con valori superiori al migliaio). Nelle regioni del Nord, che dispongono complessivamente di 6.777 biblioteche, il rapporto tra il numero di strutture e gli abitanti è pari a 24,4 ogni 100 mila. Nel Mezzogiorno, con 4.216 biblioteche, il rapporto scende invece a 20,3 ogni 100 mila.

L’indagine censuaria condotta dall’Istat, in collaborazione con il MiBAC e le Regioni tra maggio e luglio 2018 attraverso un questionario online restituisce un quadro aggiornato e accurato della presenza e delle attività dei musei (Istat2016; Istat 2019).

Partiamo di qui per una riflessione sulle politiche a sostegno della domanda di cultura e di servizi culturali in Italia.

I musei: una presenza capillare. Nel 2017 il nostro Paese vanta 4.889 luoghi della cultura, pubblici e privati, dotati di collezioni e aperti al pubblico: 4.026 musei, gallerie o collezioni, 293 aree e parchi archeologici e 570 monumenti e complessi monumentali. Un comune su tre ne ospita almeno uno. È un patrimonio diffuso su tutto il territorio nazionale: circa una struttura ogni 12 mila abitanti. Rispetto al 2015, musei e gallerie sono un po’ diminuiti (- 132), così come i monumenti (-34), mentre i siti archeologici visitabili sono in leggero aumento (+11).

Le barriere economiche all’accesso ai musei non sono particolarmente importanti: prevede infatti l’ingresso a pagamento meno della metà degli istituti italiani (47,9 per cento). In corrispondenza delle misure che hanno disposto l’ingresso gratuito nei musei statali la prima domenica del mese, si è registrato in media un aumento di ingressi pari al 6%.

Questo insieme di luoghi del patrimonio impiega complessivamente circa 38.300 operatori, in media uno ogni 3.106 visitatori. Rispetto al 2015, gli addetti sono diminuiti: erano infatti 45 mila, uno ogni 2.400 visitatori. La maggior parte dell’offerta è costituita da realtà piccole e molto piccole: il 58,2 per cento degli istituti ha non più di cinque addetti e solo il 32,7 per cento ne ha più di 10. Prestano la propria opera collaboratori volontari (circa 11 mila in tutto) in quasi un istituto museale su tre.

Nel 2017 si è registrato il massimo storico di 119 milioni di ingressi (+7,7per cento rispetto al 2015): 57,8 milioni nei musei, 15,5 milioni nelle aree archeologiche, 45,8 milioni nei monumenti. Dietro questo risultato, ci sono almeno due decenni di intesa attività di recupero, di riqualificazione e soprattutto di profondo rinnovamento delle condizioni di accesso e nei sistemi di gestione. Un solo esempio: il Colosseo, che nel 1997 aveva registrato 723.000 ingressi circa, nel 2007, nel circuito Palatino, aveva raggiunto 4,4 milioni e ha chiuso il 2018 con più di 8 milioni di visitatori, circa 22.000 al giorno.

I musei sono dappertutto, ma oltre la metà del pubblico (53,8 per cento) si concentra in tre sole regioni: Lazio (24,6 milioni), Toscana (23 milioni circa) e Campania (10,1 milioni).

Chi va al museo e chi no. Per quanto ciò possa apparire inspiegabile, per la maggior parte dei musei il pubblico è ancora un oggetto misterioso. Grandi o piccoli che siano, i luoghi della cultura non sono in grado di fornire indicazioni attendibili sul sesso, l’età (se non per quelle classi per le quali sono previsti biglietti speciali, come i minori di 18 anni) o la provenienza geografica dei loro visitatori. L’unico modo per distinguere residenti e turisti di altri paesi è partire, non dal numero degli ingressi, ma dal racconto dei cittadini.

Secondo i dati sulla partecipazione alle attività culturali raccolti dall’Istat nell’indagine Aspetti della vita quotidiana (Istat, Annuario Statistico Italiano 2018)

nel 2017 hanno visitato un museo o una mostra almeno una volta in 12 mesi meno di tre italiani su 10: il 30,6 per cento delle persone a partire dai 6 anni di età. Non è molto, per un Paese con così tanti musei e con il più alto numero al mondo (per ora) di siti Patrimonio dell’Umanità riconosciuti dall’Unesco, cioè, a oggi, 53. I visitatori di siti archeologi o monumenti sono un italiano su quattro. Nel 2017 la tendenza all’aumento, seppure lieve, di queste percentuali, che era cominciata tre anni prima, ha segnato una battuta d’arresto.

Contrariamente a quanto si crede di solito, i visitatori del patrimonio culturale si trovano soprattutto fra i giovani. Sono gli adulti che non danno il buon esempio. I ragazzi di 11-14 anni e di 18-19 anni che sono andati almeno una volta in un anno al museo sono, infatti, rispettivamente il 48,4 e il 46,8 per cento dei loro coetanei, mentre fra le persone di età compresa fra 65 e 74 anni la quota è più o meno la metà, 23,3 per cento. Lo stesso accade per siti archeologici o monumenti: li hanno frequentati almeno una volta in 12 mesi il 34 per cento di ragazzi di 11-14 anni e 18-19 anni contro il 19,4 per cento dei 65-74enni. Merito della scuola. Le donne sono più propense degli uomini a visitare musei o mostre (il 48,4 per cento contro il 34,3per cento) e siti archeologici (36,6 per cento contro il 26,4 per cento), ma dopo i 60 anni, il rapporto si rovescia: tra i 65-74enni, ad esempio, gli uomini che sono stati almeno una volta in un anno al museo sono il 24,7 per cento, contro il 22 per cento delle donne.

La minoranza di visitatori non tende a ritornare. Infatti, più di tre quarti di coloro che vanno al museo o visitano un sito archeologico lo fanno al massimo per tre volte nell’arco dell’anno.

Tra i residenti nel Centro-nord si rileva una maggiore propensione a visitare i musei e i siti archeologici: rispettivamente, il 35,7 e il 28,5 per cento, contro il 21,0 e il 18,6 per cento di coloro che risiedono nel Mezzogiorno.

In Italia, il 20,2 per cento della popolazione non svolge nessuna attività culturale, per quanto semplice e occasionale. A partire dai sessanta anni, coloro che non partecipano superano il 22 per cento e aumentano decisamente alle età successive.

Nel Sud, la percentuale di coloro che dichiarano di non aver mai visitato musei, mostre, siti archeologici o monumenti, di non aver letto il giornale nemmeno una volta a settimana, né un solo libro in un anno, di non essere andati mai al cinema, al teatro, a un concerto, a uno spettacolo sportivo, né a ballare, è più alta rispetto alle altre ripartizioni: 30,6 per cento. Nel Nord-est, invece, il livello dei non partecipanti è il più basso: 12,6 per cento. La non partecipazione totale è particolarmente elevata (24,6 per cento) tra coloro che risiedono nei comuni con meno di 2 mila abitanti, anche per evidenti motivi di minore accesso all’offerta.

Musei e mostre sono disertati dal 67,5 per cento degli italiani (e dal 78,0 per cento dei residenti nelle regioni del Sud). La disaffezione si diffonde a partire dai 20 anni, e raggiunge il massimo fra gli ultrasettantacinquenni (88,1 per cento). Siti archeologici e monumenti, del tutto ignorati dal 72,9 per cento degli italiani, sono ancor meno visitati fra i residenti nelle regioni del Sud (80,7 per cento).

Strategie di audience development. Audience development è il processo strategico e dinamico di allargamento e diversificazione del pubblico e di miglioramento delle condizioni complessive di fruizione (F. De Biase, I pubblici della cultura. Audience development, audience engagement, Franco Angeli, 2014; A. Cicerchia, Il bellissimo vecchio. Strategie creative e modelli d’impresa per il patrimonio culturale, Franco Angeli, 2018)

La definizione suggerisce di ampliare e diversificare il pubblico: non si tratta, quindi, soltanto di rivolgersi al pubblico “fidelizzato”, ma anche di raggiungere pubblico nuovo, diverso, facendo i conti anche con le barriere economiche, sociali, psicologiche e fisiche.

I dati Istat sull’offerta culturale dei musei, dei siti archeologici e dei monumenti italiani forniscono alcuni indizi utili sul loro rapporto con il pubblico, attuale e potenziale, che riguardano l’adozione di standard di qualità, le iniziative di carattere educativo e la presenza nei social media.

Si è dotato di una carta dei servizi per descrivere agli utenti gli standard di qualità adottati un quinto degli istituti. La regione più virtuosa è la Basilicata, dove la percentuale di musei con carta è il 40 per cento, seguita dal Lazio, dove si sfiora il 36 per cento.

Circa il 65 per cento dei soggetti investigati hanno svolto attività educative per diversi tipi di pubblico. Le persone coinvolte sono state nel 2017 quasi 8 milioni, in media 2.500 per museo o sito culturale, cioè circa il 7 per cento dei visitatori registrati nello stesso anno. La sola Campania ha coinvolto due milioni di persone nelle attività di didattica museale, un numero senza uguali in Italia (la seconda regione è il Lazio, con 830.000 partecipanti, la terza la Lombardia, con circa 670.000), cosa che può probabilmente contribuire a spiegare le ragioni dell’incremento negli ingressi negli istituti campani pari al 20 per cento rispetto al 2015.

Il 48 per cento dei luoghi del patrimonio gestisce uno o più account sui social media. La regione con la maggiore penetrazione dei social network è l’Umbria, con il 66 per cento dei musei attivamente coinvolti nelle community. La maglia nera, con l’8 per cento, va alla Valle d’Aosta.

Per sapere quanti musei abbiano condotto, sistematicamente o occasionalmente, indagini per conoscere meglio il proprio pubblico, occorre fare riferimento ai dati Istat dell’indagine – più particolareggiata rispetto a quella di cui stiamo trattando qui – riferita al 2015. A quel tempo, i soggetti che avevano svolto negli ultimi cinque anni monitoraggi sistematici sul pubblico erano il 14,3 per cento; quelli che avevano condotto rilevazioni solo occasionali il 43 per cento. E’ auspicabile che, nella prossima tornata della survey, il numero di musei interessati a comprendere meglio il proprio pubblico aumenti significativamente.

La democrazia culturale. La pratica e la partecipazione artistica e culturale hanno certamente a che fare con la qualità del tempo libero delle persone. Ma c’è dell’altro: hanno a che fare con l’arricchimento delle loro conoscenze, della loro abilità, delle loro competenze. Alimentano la loro curiosità, la fiducia in sè stessi, lo spirito critico e la capacità di immaginazione e di pensiero creativo. Hanno, come ormai è abbondantemente dimostrato, un effetto positivo sul loro senso di benessere, e, in qualche caso, perfino sul loro stato di salute percepita.

Eliminare le disuguaglianze nelle opportunità di pratica e partecipazione culturale e artistica dovute a motivi fisici, economici e sociali, abbattere le barriere di accesso, tangibili e intangibili, è la forma più compiuta di democrazia culturale.

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