ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 180/2022

16 Ottobre 2022

Dal libero mercato al capitalismo sussidiario*

Paul Sweeney sostiene che in poco più di 10 anni il capitalismo occidentale si è profondamente trasformato. La spinta è venuta da tre grandi crisi, quella finanziaria del 2008, quella da pandemia e quella, ancora in corso, dell’energia. Queste crisi hanno portato a un enorme aumento della spesa pubblica, ma per Sweeney il ruolo dello Stato non deve essere solo fiscale ma anche di creazione di ricchezza. In questo ruolo e con attenzione per la riduzione delle disuguaglianze lo Stato può assicurare il successo della transizione ecologica.

In poco più di un decennio si è verificata una trasformazione rivoluzionaria del capitalismo, cioè del sistema economico occidentale. Quattro eventi straordinari hanno dimostrato che, nella maggior parte dei paesi, il rapporto tra Stato e mercato si è trasformato, alterando radicalmente il sistema economico. L’impatto sulla politica si fa sentire, ma non è stato ancora pienamente riconosciuto, soprattutto dai progressisti.

Il primo grande cambiamento è stata la risposta degli stati nazionali al crollo nel 2008, con la crisi finanziaria, del modello neoliberista secondo il quale dei soggetti “razionali” operano in mercati “liberi”. Il salvataggio statale di società finanziarie private è costato ai contribuenti di tutti i paesi somme ingenti. Nel Regno Unito, il National Audit Office ha valutato che il salvataggio delle banche sia costato 1000 miliardi di sterline al suo apice. Negli Stati Uniti, tra le tante stime, è stata suggerita una cifra di 500 miliardi di dollari. Per quanto riguarda l’Irlanda, il salvataggio delle banche è costato 64 miliardi di euro – più del doppio del gettito fiscale totale del 2010.

La pandemia da Covid-19 ha provocato un secondo intervento massiccio da parte degli stati di tutto il mondo per sussidiare le imprese. Negli Stati Uniti, per esempio, secondo una stima, si è trattato di 600 miliardi di dollari elargiti direttamente (il 2.7% del prodotto interno lordo), oltre a 1350 miliardi per pagamento di interessi e altri aiuti. La terza crisi, quella dell’energia, vede gli stati intervenire ancora una volta sul mercato per spendere altri miliardi in aiuti alle imprese e ai cittadini. I governi degli Stati Uniti e dell’Europa hanno speso enormi somme in sussidi alle imprese affinché continuassero a operare e ai cittadini per pagare le bollette. I governi stanno anche spendendo miliardi per salvare aziende chiave, come l’importatore tedesco di gas Uniper.

Questi tre giganteschi interventi statali di stile Keynesiano nel mercato si sono verificati nella maggior parte delle economie moderne, sotto governi di destra e di sinistra. Non erano stati pianificati, ma sono stati comunque messi in atto con ragionevole successo. Il sistema economico è stato salvato per tre volte. È stato modificato radicalmente, ma non nelle sue fondamenta.

Minaccia esistenziale. Il capitalismo è stato trasformato da un sistema in cui i mercati sono “liberi” da interventi in un sistema in cui le imprese sono sovvenzionate dallo Stato. È successo per tre volte in rapida successione e la quarta crisi è in corso. La minaccia esistenziale del cambiamento climatico sta già richiedendo un intervento ancora maggiore dello Stato nel mercato.

Nelle prime tre crisi, lo Stato ha intrapreso le azioni necessarie perché i politici di ogni colore ritenevano di non avere altra scelta se non quella di spendere molto, per salvare le aziende, i posti di lavoro e la società nel suo complesso. Nella quarta crisi, tuttavia, molti leader politici credono ancora di avere alternative. La maggior parte riconosce che il cambiamento climatico richiede interventi pubblici massicci, nazionali e multilaterali. Ma temono che la dimensione dei necessari investimenti guidati dalla mano pubblica, i nuovi assetti regolatori e le nuove tasse, necessari per realizzare la transizione verso le emissioni zero di carbonio, finiranno per far perdere loro potere. I conservatori si oppongono al cambiamento e vogliono che le cose rimangano come sono. Sul clima, tuttavia, l’inazione significa che le cose nonrimarranno uguali, ma cambieranno radicalmente, in peggio. I politici conservatori dovrebbero quindi unirsi ai socialdemocratici e ai verdi per accelerare le azioni necessarie a riparare l’ecosistema. I governi non riescono a raggiungere gli obiettivi che si sono dati, peraltro già inadeguati. Tuttavia, gli interventi attuati da tutti i politici per affrontare la crisi finanziaria, il Covid-19 e la crisi energetica dimostrano cosa può essere fatto, con grande successo, dai governi.

Profondamente interdipendenti. L’intervento dello Stato non è una novità. In 100 anni, le dimensioni dell’intervento pubblico sono passate da meno del 20% del reddito nazionale negli anni ’20 del Novecento a circa il 50% di oggi. La spesa pubblica nei paesi dell’Unione Europea è stata in media pari al 51.5% del Pil nel 2021. È così da molti decenni, anche se con fluttuazioni e con differenze tra paesi: in alcuni il ruolo dello Stato è maggiore (è il caso di Belgio, Francia e Germania) e altri è minore (è il caso di Regno Unito e Irlanda).

L’economia moderna è un’economia mista, in cui lo Stato e il settore privato sono profondamente, simbioticamente, interdipendenti. Le grandi dimensioni dello Stato odierno sono necessarie per la vita e il mondo degli affari di oggi. Ciò che è cambiato è che parti importanti del sistema di mercato sono diventate per alcuni periodi, quasi completamente dipendenti dallo Stato. La convinzione dell’ex primo ministro britannico Margaret Thatcher che il settore privato dovesse essere dominante e quello pubblico subordinato è stata profondamente messa in discussione e addirittura ribaltata dalle risposte dei governi a queste tre crisi e dal successo avuto dallo Stato nel mantenere o addirittura salvare il settore privato. L’ambizione di alcuni, a destra, di ridimensionare lo Stato fallisce inevitabilmente, perché il sostegno dello Stato al sistema di mercato è troppo importante. Gran parte delle discussioni politiche riguardano cambiamenti relativamente piccoli della spesa pubblica totale, della sua allocazione e nella regolazione dei mercati.

La politica sarebbe più efficace se il paradigma dominante – secondo cui un settore privato dinamico guida l’intera economia e i servizi pubblici dipendono da esso – venisse riconosciuto come defunto. Lo Stato non facilita soltanto la generazione di ricchezza, ma la crea anche. Lo Stato ha avuto un ruolo propulsore in alcune delle più grandi innovazioni della tecnologia moderna, ad esempio Internet, il Global Positioning System e altre tecnologie della comunicazione, come ha dimostrato Mariana Mazzucato nel suo libro Lo Stato imprenditore.

Il potere dello Stato. È noto che Churchill disse: “mai lasciare che una buona crisi vada sprecata”. Sebbene in queste tre crisi la spesa pubblica abbia raggiunto livelli senza precedenti, i governi hanno ottenuto poco in cambio e non hanno sfruttato le crisi per ridurre le disuguaglianze. In breve, hanno salvato il sistema ma hanno lasciato che le crisi andassero sprecate.

Dopo il crollo finanziario del 2007-2008, le banche sono meglio regolamentate e capitalizzate e molti investimenti dei contribuenti sono stati rimborsati. Rimane tuttavia un ampio settore bancario ombra non regolamentato, dove l’ “innovazione finanziaria” è ancora fiorente, con l’ingresso minaccioso del private equity perfino nella sanità e nell’edilizia abitativa. Gli stipendi dei vertici bancari stanno aumentando vertiginosamente, con sistemi di incentivi che portano a ulteriore azzardo morale e forse a ulteriori crolli. Le banche di proprietà pubblica vengono di nuovo privatizzate, nonostante i pessimi risultati che avevano raggiunto quando erano in mani private, le loro dimensioni (“troppo grandi per fallire”) e la loro importanza sistemica.

La crisi del Covid-19 ha arrestato per poco la marcia dell’iperglobalizzazione non gestita – dove chi vince prende (quasi) tutto – con il crollo delle supply chains e l’intervento pubblico di dimensioni e in modalità senza precedenti. Ora, però, sembra che si stia tornando alle grandi disuguaglianze della globalizzazione neoliberista. Durante la pandemia, alcuni governi non hanno insistito sul fatto che le aziende sovvenzionate non dovessero procedere a licenziamenti di massa (come hanno fatto British Airways e altri) o a riacquisti di azioni e non dovessero pagare dividendi grazie ai sussidi statali (come ha fatto Tesco). Alcuni politici dell’opposizione britannica in effetti avevano segnalato che tali condizioni andavano imposte prima dell’erogazione dei sussidi, ma sono stati generalmente ignorati.

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ci ha tuttavia fatto capire quanto siamo ancora dipendenti dai combustibili fossili in Europa. Riconosciuta la necessità di un cambiamento rapido, l’intervento massiccio dello Stato nel mercato dell’energia dimostra che possiamo accelerare con successo il percorso verso un’economia a emissioni di carbonio zero.

Sprecare le crisi. Le tre grandi ondate di spesa pubblica Keynesiana hanno funzionato. Hanno dimostrato la potenza del moderno Stato interventista. Così anche il quarto grande intervento, per la transizione climatica a emissioni quasi zero di carbonio, può essere realizzato. Il cambiamento climatico è esistenziale, dal momento che sta già iniziando a danneggiare parti del mondo e potrebbe cancellare l’umanità. Ma il successo dei governi di tutto il mondo nell’affrontare le prime tre crisi ha dimostrato chiaramente che è possibile affrontare la crisi catastrofica del cambiamento climatico in modo efficace e rapido, purché ci sia la volontà politica di farlo.

La difficoltà principale per i politici, nell’affrontare la crisi climatica, è la disuguaglianza. Si tratta di garantire che i poveri e le imprese vulnerabili non soffrano durante questo periodo di grandi cambiamenti economici e sociali. Ecco perché il concetto di “transizione giusta”, nato all’interno del movimento sindacale, è stato ampiamente accettato nella UE come parte della nuova narrativa politica.

Abbiamo ora bisogno di un nuovo contratto sociale tra i popoli e gli stati. La riduzione delle disuguaglianze dovrebbe essere al centro di grandi programmi di spesa gestiti dallo Stato per realizzare la transizione a zero emissioni di carbonio. E’ questo il modo per rendere massime le probabilità di successo.


*Questo articolo è stato originariamente pubblicato in inglese su Social Europe (https://socialeurope.eu/) il 6 ottobre scorso.

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