La crisi pandemica e, successivamente, lo scoppio del conflitto bellico tra la Russia e l’Ucraina hanno restituito centralità all’intervento pubblico in campo economico, in Italia così come nel resto del mondo. Ciò si può evincere, ad esempio, osservando l’incremento dell’incidenza della spesa pubblica sul Pil nei Paesi dell’area Euro (Figura 1). Tra il 2019 e il 2020, a seguito della crisi pandemica, si è registrato un sensibile aumento del rapporto tra spesa pubblica e Pil, con una crescita di circa 8 punti percentuali in Italia e di quasi 10 in Spagna.
Figura 1: Incidenza percentuale della spesa pubblica sul Pil
Fonte: Banca d’Italia, Statistiche di finanza pubblica nei paesi dell’Unione Europea, 2 dicembre 2022
Anche la politica industriale, che già aveva manifestato segnali di forte vitalità durante lo scorso decennio, si è ulteriormente intensificata a seguito della pandemia. Nel caso italiano, sono state introdotte varie misure di carattere strutturale tra cui le varie agevolazioni a favore delle startup e delle PMI innovative e il Piano Nazionale Industria 4.0, convertitosi successivamente nel Piano Nazionale Impresa 4.0 e in Piano Nazionale Transizione 4.0 finalizzato a promuovere la digitalizzazione del sistema produttivo.
La Relazione annuale condotta dal Ministero delle imprese e del Made in Italy (MIMIT) sugli interventi di sostegno alle attività produttive (pubblicata nel settembre 2022) conferma la crescita delle agevolazioni concesse nel 2021 (attestatesi intorno a poco più di 25 miliardi di euro) registrando, rispetto al 2020, un aumento del 165 per cento. Analizzando la distribuzione percentuale delle agevolazioni concesse per i principali obiettivi di politica industriale sul totale delle agevolazioni relativamente al 2018 e al 2021 sembrano emergere significativi “cambiamenti di rotta” negli obiettivi. In particolar modo, nel 2021, gli strumenti di sostegno tesi a contrastare gli effetti della crisi pandemica rappresentano il 17,4% del totale delle agevolazioni concesse, mentre gli incentivi per l’efficienza energetica sono aumentati dal 14,6% nel 2018 al 41,3% nel 2021, a conferma della maggiore attenzione del Governo, soprattutto attraverso il Piano Nazionale Transizione 4.0, nei confronti dell’ambiente e della sostenibilità. Contemporaneamente, diminuisce il peso degli incentivi a sostegno delle PMI, della ricerca e dell’innovazione e della formazione (Figura 2).
Figura 2 – Distribuzione delle agevolazioni concesse per obiettivi di politica industriale (incidenza percentuale sul totale delle agevolazioni)
Fonte: Ministero delle imprese e del Made in Italy (settembre 2022)
Analizzando la Relazione annuale del MIMIT, emerge un primo rilevante limite delle politiche industriali recentemente adottate in Italia. Si tratta del divario tra le agevolazioni concesse e quelle erogate che raggiunge il suo picco nel 2021 quando appena il 23% delle agevolazioni concesse vengono effettivamente erogate dopo avere registrato una progressiva riduzione nel triennio 2018-2020 (Figura 3).
Figura 3 – Incidenza percentuale agevolazioni erogate sulle agevolazioni concesse
Fonte: Ministero delle imprese e del Made in Italy (settembre 2022)
L’incapacità di erogare le agevolazioni in tempi rapidi (attribuibile prevalentemente ai ritardi delle Amministrazioni che spesso possono indurre le imprese a rinunciare) non rappresenta l’unico limite della politica industriale in Italia. Altri fattori di debolezza, infatti, sembrano caratterizzare i vari interventi a sostegno del sistema produttivo definiti nel periodo più recente, e non solo.
I principali limiti sono i seguenti:
- difficoltà di un dialogo tra le Amministrazioni locali e quella centrale (acutizzatesi in occasione della crisi pandemica e imputabili principalmente a un diffuso e modesto grado di cooperazione tra le varie istituzioni e di condivisione delle informazioni, spesso frammentarie e contraddittorie);
- scarso coordinamento tra i vari Ministeri, emerso nelle prime fasi di realizzazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e, soprattutto, nel periodo più recente;
- un’offerta normativa elevata, caratterizzata da un eccessivo ricorso a decreti – legge, e che richiede, spesso, tempi molto lunghi nell’attuazione dei decreti attuativi;
- una modesta conoscenza di molte misure da parte delle imprese; in particolar modo recenti Indagini realizzate dal Ministero dello Sviluppo Economico (ora MIMIT) hanno messo in evidenza che un’elevata quota percentuale di piccole e medie imprese (mediamente intorno al 50-60%, con quote sensibilmente più elevate tra le imprese di minori dimensioni) ha segnalato di non conoscere le più recenti misure di politica industriale. Nonostante le varie campagne informative realizzate dal MIMIT nel territorio, negli ultimi anni, rimane ancora elevato il grado di “ignoranza” di molte imprese sulle varie agevolazioni a loro favore, attribuibile, almeno parzialmente, a un’insufficiente trasmissione di informazioni da parte delle varie Associazioni imprenditoriali e istituzioni pubbliche locali e alla mancanza di tempo e di competenze “dedicate” a seguire le molteplici agevolazioni esistenti, soprattutto tra le imprese di micro dimensioni;
- carenze nelle analisi di valutazione (sia ex ante che ex post) delle misure adottate, spesso realizzate saltuariamente senza un disegno organico e coerente unitamente alle difficoltà di rendere «leggibili» e «comprensibili» tali analisi che sono molto tecniche e rimangono quasi sempre confinate tra gli addetti ai lavori.
Inoltre, i mutamenti di carattere strutturale del sistema produttivo (attribuibili, ad esempio, all’impatto della crisi pandemica e del conflitto bellico tra la Russia e l’Ucraina sulla performance e sulle strategie delle imprese) non sono spesso colti dai policy makers anche per la mancanza di un dialogo tra le istituzioni che realizzano analisi e ricerche sul sistema produttivo (anche attraverso analisi molto sofisticate contenute in particolar modo nei Rapporti annuali dell’ISTAT sulla competitività dei settori produttivi) e le istituzioni che devono definire e “normare” le misure di politica industriale contribuendo, successivamente, all’attuazione delle stesse.
Al di là di alcuni aggiustamenti volti a migliorare l’operatività dei vari interventi, con particolare riguardo alle attività di valutazione (intensificatesi nel periodo più recente), il limite più grande della politica industriale e, più in generale, della politica economica italiana è attribuibile, a nostro parere, alla mancanza da parte della classe dirigente di una visione di medio-lungo periodo, di un Progetto-Paese. Tale responsabilità investe l’intera classe imprenditoriale (sia pubblica che privata), i sindacati, la Pubblica Amministrazione e, soprattutto, la classe politica. Nessuno è esente da colpe.
Gli imprenditori e i manager operanti nella sfera privata, che in alcuni momenti fondamentali della vita del Paese, come i primi vent’anni del dopoguerra, avevano recitato un ruolo di primo piano nel determinare il decollo economico italiano, dagli anni ’80 in poi, troppo spesso, hanno disatteso le aspettative, accontentandosi in molti casi di assicurare la normale gestione del business senza quello slancio creativo che in precedenza li aveva distinti. Anche i sindacati non sono esenti da colpe, avendo spesso mostrato una sostanziale miopia nel cogliere le sfide che il Paese aveva di fronte. Dal canto suo, la Pubblica Amministrazione viene quasi sempre vissuta da cittadini e imprese principalmente come un ostacolo, a causa dei vari lacci e lacciuoli amministrativi e burocratici che sono venuti appesantendosi con il passare degli anni. Più di tutti, la classe politica si è dimostrata incapace di guardare oltre gli orizzonti elettorali di brevissimo periodo e non è stata, quindi, in grado di elaborare un Progetto-Paese condiviso tra i vari attori economici ed istituzionali.
Quale è il motivo dell’inadeguatezza della nostra classe politica e, più in generale, della nostra classe dirigente? La ragione principale va ricercata in meccanismi di selezione che non premiano il merito, ma altri criteri. Nel caso della classe politica, la fedeltà al capo, l’abilità nel prendere voti e nel procacciare fondi, prebende, opportunità per sé e per il partito. Nel caso della classe imprenditoriale privata, l’avere ereditato una posizione di responsabilità per virtù “dinastica” oppure grazie alla contiguità al potere politico o all’appartenenza a gruppi di “influenza”. Queste ultime caratteristiche si riscontrano anche in molti dirigenti all’apice di gangli vitali della Pubblica Amministrazione che, spesso, non hanno le “giuste” competenze e si trovano molte volte invischiati in un intreccio di responsabilità non ben definite tra i diversi livelli di governancenazionale e locale.
Nel nostro Paese appare ancora più evidente la contiguità tra imprese e politica nell’industria controllata dallo Stato. Si sono qui venute a creare pericolose connivenze tra la politica e la classe dirigente, con la prassi, ormai consolidata, delle sliding doors, per cui i manager “d’area” vengono spostati come pedine dai politici attraverso le imprese pubbliche o semi-pubbliche. Una pratica purtroppo cui non è esente alcun Governo, quale che sia il suo colore, e che si rinnova dopo ogni elezione politica.
Non tutto il Paese per fortuna è così. Nelle imprese e nella sfera pubblica operano dirigenti e funzionari capaci con elevate competenze, anche se non sempre collocati al posto che meriterebbero. Il guaio è che poi il meccanismo di “selezione avversa” – ossia non basata sul merito – si ripercuote a scendere via via sui livelli più bassi della piramide aziendale/sociale, fino ad arrivare all’esclusione sempre più crescente dei più deboli, come le donne e i giovani.
“Simul stabunt simul cadent”. E’ questa la condizione oggi di Stato e mercato in Italia. Non due entità contrapposte, ma simili nel reclutare le loro classi dirigenti. Se non vogliamo che cadano, trascinando l’intero Paese nella rovina, dobbiamo fare in modo che, insieme, entrambe si risollevino. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sotto questo punto di vista, può rappresentare una grande occasione per la nostra economia e misurerà la capacità dell’intera classe dirigente nazionale di avere una visione condivisa sul futuro e di tradurla in progetti concreti. La speranza è che, nell’effettiva realizzazione del PNRR, si giungano a impostare consolidate forme di partenariato tra la sfera privata e quella pubblica dove si riescano a coniugare le componenti migliori delle due sfere. In questo nuovo modello collaborativo, se fondamentale continua a rimanere la forza propulsiva del mercato, sempre più necessari appaiono sia il grado di responsabilizzazione sia il coinvolgimento di tutti gli attori della società nella realizzazione di interventi di carattere strutturale.
Ci siano consentite infine ulteriori riflessioni; al di là dei meccanismi di selezione delle classi dirigenti e della classe politica, ampiamente analizzati in questa nota, altri fattori possono avere inciso sul declinante ruolo della politica industriale in Italia e sul suo disperdersi in molteplici interventi senza avere una visione organica di sistema e coinvolgendo diversi attori. In primis, le politiche della concorrenza “imposte” dalla UE che hanno di fatto limitato gli interventi a favore delle aree più deboli: ciò può contribuire a spiegare, almeno parzialmente, l’ampliamento dei divari territoriali del Mezzogiorno registratosi in Italia soprattutto negli ultimi anni. Nel contempo, anche a causa dei vincoli imposti dal bilancio pubblico, si è verificato a partire dagli anni ’80 un progressivo abbandono delle politiche industriali interventiste (si pensi ad esempio al processo di dismissione dell’IRI) che, almeno parzialmente, potrebbe avere favorito il degrado amministrativo e burocratico e, in generale, peggiorato la governance della nostra classe politica sia a livello centrale che locale, accompagnata da una visione di breve-brevissimo periodo e sempre più lontana dai reali problemi del nostro Paese.
* Questa nota rappresenta la sintesi di alcuni contributi contenuti in Carnazza P., Navigare nella tempesta – Strategie imprenditoriali e politica industriale in Italia, SUSIL EDIZIONI, maggio 2023. Si rinvia in particolar modo al capitolo decimo (a cura di Carnazza P., Pasetto A.), Le diverse visioni dello Stato e il ruolo delle classi dirigenti.