ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 220/2024

30 Luglio 2024

Valeria Cirillo, Massimiliano Deidda, Dario Guarascio, Jacopo Tramontano,

Dipendenza dalle piattaforme digitali e precarietà: un’analisi dei settori ristorazione e turismo

Valeria Cirillo, Massimiliano Deidda, Dario Guarascio e Jacopo Tramontano analizzano l’effetto della dipendenza delle imprese dalle piattaforme digitali concentrandosi sui settori del turismo e della ristorazione. Gli autori mostrano come vi sia una rilevante eterogeneità settoriale e come, nel turismo, le imprese che utilizzano le piattaforme, specie le più deboli, tendano a trasferire sui lavoratori la pressione competitiva e l’incertezza, ricorrendo in modo più intenso al lavoro precario.

È ormai inconsueto, se non praticamente impossibile, prenotare una camera d’albergo o un appartamento senza passare per piattaforme come Airbnb, Booking o Expedia. E un discorso simile vale per quanto riguarda la scelta del ristorante dove trascorrere la serata: per una crescente quota di avventori, tale scelta non può che essere guidata da piattaforme che forniscono informazioni sulla reputazione del locale (ad esempio, Trip Advisor) o che consentono, in aggiunta alla prenotazione del tavolo, di accedere a sconti e vantaggiose promozioni (TheFork). Per non parlare della sempre più diffusa abitudine di farsi recapitare cibo (o altro) a domicilio, avvalendosi delle medesime piattaforme digitali. Rimanendo sulla superficie, il radicarsi di queste abitudini può essere interpretato come la manifestazione concreta di un ampliamento dell’offerta e, parallelamente, di un salto di qualità per quanto riguarda l’abbattimento dei costi di ricerca e la maggiore efficienza nell’incontro tra domanda e offerta. Ma è davvero così? Se si guarda, ad esempio, all’effetto che la ‘turistificazione’ guidata dal digitale sta avendo sui prezzi, la qualità dei servizi e sull’accessibilità/vivibilità dei centri storici e delle aree di maggiore interesse turistico ci sono buone ragioni per dubitarne. Dubbi che vengono confermati dal moltiplicarsi di proteste dirette contro il ‘turismo di massa’, sempre più frequenti in paesi ad elevata intensità turistica come la Spagna e l’Italia

Ma per quale ragione la digitalizzazione, che prometteva di rendere l’offerta più ampia, trasparente, accessibile e, dunque, qualitativamente migliore e più conveniente in termini di prezzo, tradisce quelle promesse dando luogo, in molti casi, a inflazione, peggioramento della qualità dei servizi e, non meno rilevante, precarizzazione dei mercati del lavoro collegati (si pensi, ad esempio, ai rider che operano per le piattaforme per la consegna del cibo)? La spiegazione sta nella concentrazione di potere tecnologico ed economico a cui le piattaforme contribuiscono, anche nei settori del turismo e della ristorazione. Per molte imprese, rinunciare ai servizi delle piattaforme digitali equivale all’oblio economico, con elevata probabilità di venire espulse dal mercato in tempi brevi. Questo è particolarmente vero nel campo dell’ospitalità, dove la domanda è ormai quasi completamente gestita da pochi monopolisti digitali; un po’ meno in quello della ristorazione, dove i canali tradizionali, l’interazione fisica e i rapporti basati sull’esperienza diretta continuano a giocare un ruolo centrale. D’altra parte, il controllo delle infrastrutture digitali e delle informazioni attraverso cui viene garantito l’accesso al mercato e viene determinata la ‘reputazione digitale’ degli operatori, tende a creare un’asimmetria che, per un numero crescente di imprese, significa dipendenza tecno-economica dalle piattaforme.

Maggiore è la dipendenza, più elevate sono le commissioni pagate alle piattaforme e, più in generale, la capacità di queste ultime di condizionare il comportamento e le strategie delle imprese. Il tempo conta, tuttavia. Cutolo e Kenney sottolineano come le prime fasi di consolidamento della relazione tra impresa e piattaforma digitale possano accompagnarsi, per la prima, ad una crescita del fatturato e, potenzialmente, delle quote di mercato. In una seconda fase, quando il potere delle piattaforme e la loro ‘essenzialità’ per la sopravvivenza dell’impresa cresce, la dipendenza tecno-economica può tradursi in una forma di pressione capace di incidere negativamente sulla performance, la qualità del servizio e l’organizzazione. Le imprese, però, non sono tutte uguali: hanno dimensioni (e risorse) eterogenee e possono utilizzare molteplici canali di vendita online, ad esempio attivando un proprio sito, un proprio e-commerce o, ancora, avvalendosi di un’applicazione mobile proprietaria. Il ricorso alle piattaforme digitali può dunque sostituire o aggiungersi ad altri metodi di vendita online. L’insieme delle scelte operate da ciascuna impresa in merito alle modalità di vendita on-line definisce la strategia di digitalizzazione della stessa e può incidere sull’intensità della dipendenza e sulle sue conseguenze.

Quali sono dunque le conseguenze economiche della dipendenza dalle piattaforme digitali? Quali sono le dimensioni reali di tale fenomeno e quali le differenze tra i settori interessati? Ci siamo occupati di questi problemi in un recente lavoro di ricerca, avvalendoci dei dati contenuti nella Digital Platform Survey realizzata dall’Inapp. Data la ricchezza di informazioni relative alla penetrazione delle piattaforme digitali in Italia nei settori trasporti, turismo e ristorazione, è stato possibile analizzare empiricamente la natura e gli effetti della ‘piattaformizzazione’ di tali settori, mettendo in risalto le forti eterogeneità che ci sono e concentrandoci su diversi indicatori di dipendenza. Fatto ciò, si è inteso mostrare come la dipendenza dalle piattaforme digitali possa indurre le imprese, in particolare quelle strutturalmente più deboli, a trasferire la pressione competitiva e l’incertezza sui lavoratori, aumentando il ricorso al lavoro precario per contenere i costi e salvaguardare i margini.  

Sulla base dell’evidenza fornita dall’indagine DPS, emerge che in Italia, nel 2022, circa il 35% delle imprese dei tre settori coinvolti nell’indagine – ristorazione, turismo e trasporti – utilizza canali digitali propri o di terzi. Guardando alle strategie di digitalizzazione distinte per settore (Figura 1), il settore turistico risulta essere di gran lunga il più digitalizzato; mentre è significativamente più contenuto il ricorso ai canali digitali dei trasporti. La ristorazione è in una posizione intermedia. Le piattaforme digitali sembrano avere un peso rilevante sia nella ristorazione sia nel turismo: in entrambi i casi, non è marginale la quota di imprese che ricorre esclusivamente alle piattaforme per accedere al mercato digitale (7,6% nella ristorazione e 8,7% nel turismo). Molto più elevata (42,1%), invece, è la quota di imprese del settore turistico che usa le piattaforme unitamente ad altri canali digitali.

Figura 1: Strategie di digitalizzazione: dettaglio settoriale

Fonte: Cirillo, V., Deidda, M., Guarascio, D. e Tramontano, J. (2024) Piattaforme digitali, imprese e lavoro in Italia: un’analisi dei trasporti, della ristorazione e del turismo. SINAPPSI

In che misura la relazione con le piattaforme digitali si traduce in dipendenza tecno-economica? Le tabelle che seguono consentono di dare una parziale risposta a questa domanda. Concentrandoci sui settori a più intensa digitalizzazione – ristorazione e turismo – abbiamo analizzato una serie di dimensioni utili a identificare la dipendenza e, dunque, l’asimmetria di potere tra imprese e piattaforme: quota di fatturato intermediato dalle piattaforme, percentuale media di commissione pagata, quota di imprese che dichiarano di aver subito una modifica unilaterale delle condizioni contrattuali da parte della piattaforma.

Tabella 2: Dipendenza tecno-economica nella ristorazione

Tabella 3: Dipendenza tecno-economica nel turismo

Fonte: Deidda M. (a cura di) (2024), Piattaforme, imprese e lavoro nel mercato della ristorazione, del turismo e dei trasporti in Italia. I risultati dell’Indagine Inapp DPS, Inapp Report n.48, Roma, Inapp

Di nuovo, il primo dato da sottolineare riguarda l’eterogeneità settoriale: se nel turismo quasi il 50% delle imprese vede la metà o più del suo fatturato intermediato dalle piattaforme, la medesima quota si riduce al 7% nella ristorazione. È interessante notare, tuttavia, come la dipendenza dalle piattaforme misurata in termini di fatturato intermediato risulti essere, in entrambi i settori, più acuta per le imprese di piccole dimensioni, in linea con l’ipotesi che tali imprese, dotate di minori capacità tecnologiche e di investimento, entrino più facilmente in relazioni di tipo asimmetrico. Rispetto alla percentuale media di commissioni pagate alle piattaforme, l’eterogeneità settoriale sembra ridursi. Circa il 50% delle imprese nei due settori dichiara di pagare commissioni comprese tra il 15% e oltre il 20% del fatturato (secondo delle indagini qualitative che stiamo conducendo tali percentuali sembrano significativamente sottostimate). Anche rispetto alla quota di imprese che hanno subito modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali da parte delle piattaforme, l’eterogeneità tra i settori tende a sparire. In entrambi i casi, più dell’80% delle imprese ha dichiarato di essersi trovata in tale situazione, fornendo ulteriore evidenza della significativa asimmetria che caratterizza la relazione impresa-piattaforma nei settori analizzati.

La pressione che le piattaforme tendono ad esercitare sulle imprese (con conseguente dipendenza) può essere altrettanto rilevante ma le forme in cui si manifesta sono più sottili e difficili da rilevare quantitativamente (per una discussione approfondita, si veda la registrazione del convegno ‘Piattaforme, imprese, lavoro: i risultati dell’indagine INAPP’). Si tratta della gestione dei sistemi di recensione, delle promozioni e delle politiche di prezzo che le piattaforme ‘raccomandano’ alle imprese che operano nel loro ecosistema o le attività organizzativo/gestionali (ad esempio, il periodico aggiornamento del profilo, della dotazione tecnologica o la realizzazione di specifiche attività promozionali) che sono di fatto necessarie per poter rimanere all’interno del medesimo ecosistema. A ciò si aggiunge l’assenza di trasparenza nella gestione dei dati e degli algoritmi. Un esempio significativo riguarda i sistemi di ‘ranking’ sulla base dei quali vengono ordinate le imprese presenti sulle piattaforme turistiche come Booking. Solo la piattaforma ha precisa contezza di come tali ranking siano determinati mentre, per il singolo operatore, finire in fondo alla pagina può corrispondere a una condanna a morte. Questo spiega il proliferare di agenzie che, sulla base di procedure ancora meno trasparenti, vendono alle imprese servizi tesi a migliorare la ‘visibilità online’. Di fatto, sembra possibile ‘acquistare’ un posto in prima fila, con buona pace dell’attendibilità di ‘stelline’, ‘like’ e recensioni.

La dipendenza dalle piattaforme digitali può estremizzare la ricerca di flessibilità da parte delle imprese, soprattutto in quei settori ove il ricorso a strategie competitive basate sul contenimento dei costi e sull’uso flessibile dei fattori produttivi costituiscono caratteristiche strutturali distintive. La domanda finale che ci siamo posti, dunque, è la seguente: le imprese della ristorazione e del turismo che ricorrono alle piattaforme digitali per vendere i loro beni e servizi sono più propense ad utilizzare lavoro precario? L’ipotesi è che la dipendenza dalla piattaforma si traduca in una pressione a ridurre il costo del lavoro e ad aumentarne la flessibilità. Guardando al rapporto tra contratti a tempo determinato, co.co.co., prestazioni occasionali e contratti a tempo indeterminato (Figura 2), l’ipotesi trova una prima conferma. La quota di contratti flessibili è significativamente più elevata tra le imprese che utilizzano piattaforme terze per accedere ai mercati digitali rispetto al resto del campione ed è da notare che il divario cresce con le dimensioni dell’impresa.

Fonte: Cirillo, V., Deidda, M., Guarascio, D. e Tramontano, J. (2024) Piattaforme digitali, imprese e lavoro in Italia: un’analisi dei trasporti, della ristorazione e del turismo. SINAPPSI

Questa evidenza descrittiva è corroborata da una più robusta analisi econometrica che mostra come, una volta controllato per numerosi fattori strutturali (dimensione, età, caratteristiche dell’area ove l’impresa opera) e per altre potenziali fonti di distorsione, la relazione tra ‘piattaformizzazione’ e ricorso al lavoro precario risulti positiva e statisticamente significativa. Ciò è tuttavia vero solo per il settore turistico, dove le piattaforme sono ormai dominanti e la concentrazione dal loro lato è massima (si pensi, nel caso italiano, a Booking), mentre non si hanno relazioni significative per quanto riguarda la ristorazione. 

Le analisi sintetizzate in questa sede rappresentano uno dei primi tentativi di comprendere, in termini empirici, il modo in cui le piattaforme tendono a trasformare le industrie e le imprese con cui si relazionano. Sebbene si tratti di un fenomeno di assoluta rilevanza, l’evidenza empirica è, da questo punto di vista, molto scarsa. Quanto mostrato conferma come il processo di digitalizzazione delle imprese si dispieghi in modo altamente eterogeneo, con implicazioni che possono variare sensibilmente a seconda del settore e delle caratteristiche dell’impresa. Anche per quanto riguarda il costo e la qualità del lavoro non è ancora possibile trarre delle conclusioni chiare, sebbene sembri emergere una relazione negativa tra piattaforme e qualità del lavoro, in particolare per quel che riguarda l’uso di lavoro precario. La strada aperta dall’indagine DPS e dai primi lavori che hanno sottolineato l’importanza di guardare alle imprese per comprendere meglio l’impatto delle piattaforme digitali è particolarmente promettente. La ricerca futura dovrà cercare di fornire ulteriore evidenza sulle diverse strategie di digitalizzazione delle imprese e, in particolare, sulle circostanze che possono favorire situazioni di dipendenza tecno-economica e le conseguenze sulla performance, l’organizzazione e la qualità del lavoro.

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