Il tema dei potenziali effetti della disuguaglianza nei redditi sulla crescita economica è uno dei più controversi nella letteratura economica. In particolare, a partire dagli anni ’90, in concomitanza con la consapevolezza che la disuguaglianza quasi ovunque era in aumento, sono state avanzate varie ipotesi sui meccanismi attraverso i quali la disuguaglianza può influenzare la crescita con esiti opposti sul segno, positivo o negativo, di tale influenza. Le analisi empiriche non sono riuscite a superare questa indeterminatezza, anche se quelle che concludono che la disuguaglianza influenza negativamente la crescita sono risultate più numerose nel corso degli anni recenti. Come chiarisce Ehrhart (“The effects of inequality on growth: a survey of the theoretical and empirical literature”, ECINEQ Working Paper series, 2009), alcuni dei “canali” tramite cui la disuguaglianza influenzerebbe la crescita risultano verificati da analisi empiriche, ma non è stato possibile giungere a una conclusione definitiva sull’effetto “aggregato” dei diversi meccanismi.
In questo contesto un’ipotesi interessante, riproposta di recente, è quella secondo cui una variabile decisiva per il rapporto tra disuguaglianza nei redditi e crescita sarebbe il grado di disuguaglianza nelle opportunità, per approssimare il quale si fa di norma riferimento a indici di mobilità sociale relativa, che misurano, in generale, il grado di correlazione fra le condizioni socio-economiche di genitori e figli. Del rapporto tra queste tre variabili si erano già occupati, negli anni ’90, sia Piketty (“The dynamics of the wealth distribution and the interest rate with credit rationing”, Review of Economic Studies, 1997) sia Galor e Zeira (“Income distribution and macroeconomics”, Review of Economic Studies ,1993) che hanno valutato, ad esempio, come i vincoli di liquidità incidono sulla crescita in presenza di un’eccessiva disuguaglianza e hanno ipotizzato possibili “trappole della povertà”, in presenza di vincoli finanziari per le famiglie più povere. Tali “trappole” possono determinare un indebolimento dell’economia nel breve e nel lungo termine e, riducendo in particolare gli investimenti in capitale umano dei più poveri, portare sia a una crescita più lenta che a una minore mobilità sociale intergenerazionale.
Al di là dello specifico meccanismo ipotizzato, la possibilità che si sviluppi un circolo vizioso caratterizzato da elevata disuguaglianza nei redditi, bassa crescita economica e bassa mobilità sociale appare meritevole di particolare attenzione, come sostenuto, ad esempio, anche dalla World Bank (Fair Progress? Economic Mobility across Generations around the World, 2018). Una precisa domanda di ricerca, in questo ambito, è dunque se in presenza di una elevata disuguaglianza nelle opportunità, approssimata dalla mobilità sociale relativa, gli effetti della disuguaglianza nei redditi sulla crescita possano, nel complesso, essere negativi, mentre così non sarebbe se, a parità di disuguaglianza, le opportunità fossero più equamente distribuite.
Di recente i contributi empirici di Marrero e Rodriguez (“Inequality of Opportunity and Growth”, ECINEQ Working Paper Series, 2010) ed Aiyar ed Ebeke (“Inequality of opportunity, inequality of income and economic growth”, IMF Working Paper, 2019) hanno cercato di dare risposta a questa domanda. In particolare, i secondi utilizzano, come si è già accennato, il concetto di mobilità sociale relativa che si riferisce non al rapporto tra la situazione dei figli o delle figlie e quella dei loro genitori, ma alla correlazione tra la posizione che i figli e le figlie occupano nella loro generazione e quella che occupavano i loro genitori nella generazione precedente. Più precisamente si utilizza l’ormai classico indicatore di trasmissione intergenerazionale della disuguaglianza nei redditi, il coefficiente che indica di quanto varia il reddito del figlio all’aumentare di 1 punto percentuale di quello del genitore. Più il sale più la mobilità sociale è bassa e, quindi, la disuguaglianza intergenerazionale è alta.
Come si è detto, i lavori in esame sono di natura empirica e giungono alla conclusione che un’elevata disuguaglianza di opportunità, che Aiyar ed Ebeke approssimano con una bassa mobilità sociale, rende negativo l’impatto della disuguaglianza sulla crescita. Il meccanismo che dovrebbe spiegare questo fenomeno non è illustrato, data la natura empirica degli studi. Tuttavia, l’idea generale, necessariamente da approfondire, è che un’elevata trasmissione intergenerazionale della disuguaglianza sarebbe di ostacolo alla allocazione efficiente delle risorse. Partendo da questi due contributi, nella mia tesi di laurea magistrale, ho condotto nuove stime sull’influenza della mobilità sociale sul rapporto tra disuguaglianza e crescita.
Le tecniche che ho utilizzato sono quelle più diffuse nell’analisi dei data panel e cioè la regressione ad effetti fissi e quella di tipo system GMM. A tal proposito, la mia analisi potrebbe essere vista anche come una verifica della robustezza degli studi condotti dagli autori citati. In questa sede propongo i risultati che ho raggiunto utilizzando stimatori di tipo system-GMM, che sembrano essere i più promettenti.
Infatti, essendo l’analisi rivolta ad un panel dinamico con una dimensione temporale ridotta rispetto alla sua dimensione N, il modello ad effetti fissi presenta una serie di problematiche di stima che la procedura system-GMM ha la capacità di arginare con l’uso dei c.d. strumenti interni.
Il panel che ho analizzato è composto di 65 paesi (per i quali è disponibile una stima dell’elasticità intergenerazionale dei redditi) strutturato su un arco di tempo composto di 11 quinquenni che vanno dal 1965 al 2015. Nel dataset, la mobilità sociale è pertanto sintetizzata dal coefficiente , la disuguaglianza viene misurata dall’indice di Gini dei redditi disponibili e la crescita economica dalla media quinquennale del tasso di crescita reale dei paesi nel campione.
La principale caratteristica del modello di regressione è l’aver inserito una variabile che coglie l’interazione fra la disuguaglianza dei redditi e la mobilità sociale (nello specifico, tra il Gini e una variabile qualitativa che divide i paesi del campione in 4 gruppi a seconda del loro livello di mobilità dei redditi). Questo accorgimento mi ha permesso di rispondere alla domanda di ricerca, e, quindi, mi ha portato a valutare se effettivamente l’influenza del Gini sulla crescita possa cambiare segno o rafforzarsi al diminuire della mobilità sociale.
Venendo ai risultati, il coefficiente stimato che indica l’effetto sulla crescita del Gini nei redditi disponibili “condizionato” a valori medio-bassi della mobilità sociale è effettivamente negativo. Dunque, la risposta alla nostra domanda di ricerca sarebbe positiva. Tuttavia, tale relazione, espressa dal termine di interazione, non presenta un adeguato livello di significatività. Quando cresce la mobilità, la relazione fra disuguaglianza e crescita si inverte di segno ma rimane non significativa: si potrebbe ipotizzare che tale inversione possa avvenire per un qualche effetto “incentivo” della disuguaglianza nei redditi in un contesto di più eque opportunità per gli individui. Tale ipotesi, formulata nella letteratura sulla cosiddetta disuguaglianza da effort e da opportunità (cfr. Marrero e Rodriguez, op. cit.) appare di dubbia rilevanza rispetto al nostro problema.
Ad ogni modo, i risultati delle stime che ho condotto inducono a considerare il risultato raggiunto come un buon indizio del fatto che un aumento della disuguaglianza, in un contesto di mobilità medio-bassa, possa essere problematico per la crescita.
Concludendo, i risultati cui sono giunto forniscono almeno due importanti indicazioni. La prima riguarda la conferma che la trasmissione intergenerazionale della disuguaglianza ha un ruolo nel ridurre l’indeterminatezza del rapporto tra disuguaglianza e crescita. Infatti, le stime dell’effetto negativo del Gini sulla crescita in presenza di mobilità medio-bassa permettono di considerare fondata l’ipotesi di ricerca. Tuttavia, le difficoltà nella procedura di stima sono ancora numerose e dovranno essere considerate nelle future ricerche: la qualità dei dati va migliorata (non vi è ad oggi una serie storica dei coefficienti ; inoltre, sebbene le tecniche adottate siano le più adatte, sono necessari ulteriori raffinamenti a queste stime per poter essere certi che i risultati raggiunti siano il segnale certo dell’esistenza di una relazione causale fra le grandezze considerate e non dipenda da una mera correlazione.
La seconda indicazione derivante dai risultati cui si è giunto, riguarda la complessità del fenomeno. Per venire a capo di tale complessità appare indispensabile approfondire l’analisi teorica dei canali attraverso i quali la mobilità intergenerazionale influenza il rapporto tra disuguaglianza nei redditi e crescita. In particolare, appare rilevante distinguere il caso in cui la trasmissione intergenerazionale della disuguaglianza sia alimentata soprattutto dal canale del capitale umano oppure sia favorita da effetti più “diretti” della famiglia di origine sui redditi dei figli, ad esempio attraverso connessioni sociali e nepotismo. La strada per giungere a una più completa comprensione dei meccanismi che sosttostanno ai risultati emersi dalle stime non è agevole ma merita di essere percorsa.