ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 186/2023

29 Gennaio 2023

È tempo di riconoscere i danni procurati ai giovani dai social media

Maurizio Pugno solleva un problema poco affrontato in economia, pur essendo molto dibattuto in altri campi: i danni procurati ai giovani dall’uso intensivo dei social media, in termini di malessere e problemi educativi, che diventano poi costi per tutta la società e l’economia. Dopo aver esaminato brevemente la rilevanza empirica del problema nei casi degli Stati Uniti e dell’Italia, Pugno sottolinea le importanti implicazioni che il fenomeno ha per l’analisi economica e avanza alcune riflessioni sulla policy che si potrebbe adottare.

Venerdì 6 gennaio 2023 il principale distretto scolastico dello stato di Washington, USA, ha citato in giudizio le più grandi società produttrici di social media come Facebook, Instagram, Snapchat, TikTok e YouTube. L’accusa è di sfruttare per motivi prettamente economici i cervelli vulnerabili di milioni di bambini e giovani, catturati dalle loro piattaforme grazie a insidiosi meccanismi psicologici e neurofisiologici. L’effetto – secondo la denuncia – è di “causare una crisi di salute mentale giovanile, che è stata contrassegnata da proporzioni sempre più elevate di giovani alle prese con ansia, depressione, pensieri di autolesionismo e ideazione suicida. […] La pandemia e il corrispondente aumento del tempo che i giovani trascorrono sulle piattaforme digitali hanno solo intensificato tale crisi”.

Questa denuncia potrebbe segnare uno spartiacque perché segnala la rilevanza anche economica di un serio problema educativo. Infatti, la denuncia prosegue osservando che gli studenti maggiormente afflitti da problemi di salute mentale ottengono risultati peggiori a scuola e hanno meno probabilità di frequentarla. La denuncia conclude con una richiesta di risarcimento finanziario delle spese sostenute per fornire nuovi servizi di prevenzione e trattamento dei problemi mentali degli studenti, nonché nuovi servizi educativi sull’uso dei social media.

Che questo possa essere uno spartiacque è confermato dall’articolo di Joe Biden pubblicato sul Wall Street Journall’11 gennaio 2023, in cui il Presidente attacca l’ “American tech industry” con l’accusa di “mettere a rischio i nostri bambini”, oltre ad “alimentare l’estremismo e la polarizzazione”. Si tratta di una novità rispetto alle amministrazioni George W. Bush e Barack H. Obama, che avevano favorito la crescita delle società di Big Tech indebolendo l’applicazione delle leggi antitrust.

I dati e la ricerca scientifica avevano già rilevato da qualche tempo i diversi aspetti del problema. Secondo uno studio del Pew Research Center pubblicato nel 2022 – il 97% degli adolescenti americani utilizza Internet quotidianamente, e il 35% afferma di essere su almeno una piattaforma di social media (YouTube, TikTok, Snapchat, Facebook o Instagram) “pressoché costantemente”. Di converso, è stato stimato che i giovani (15-25 anni) nel 2017 passavano 143 ore in meno all’anno rispetto al 2003 per socializzare con altri in modo non-digitale (Twenge e Spitzberg, in Journal of Applied Social Psychology, 2020).

Secondo fonti ufficiali, la depressione mentale tra i giovani (12-17 anni) è pressoché raddoppiata dal 2006 al 2019 (SAMHSA, 2021), e la “sensazione di persistente tristezza e disperazione” è aumentata del 40% dal 2009 al 2019 fino a coinvolgere più di un terzo degli studenti delle scuole superiori, e fino a spingerne una quota significativa a quasi raddoppiare il pensiero del suicidio (CDC, 2021). Ancora più drammatica è la dinamica del tasso di suicidi, perché dopo un quindicennio in cui era diminuito, dal 2007 è aumentato enormemente, soprattutto tra i più giovani (10-14 anni), persino triplicando tra le ragazze (Ruch et al., in JAMA, 2019).

Il nesso tra l’uso intensivo delle piattaforme digitali e il malessere dei giovani è stato oggetto di molti studi in psicologia. Per esempio, è stato osservato, sulla base di un ampio campione di adolescenti, che l’uso dello smartphone e del computer diventa deleterio per il benessere mentale quando eccede 1,5 ore al giorno (Przybylski e Weinstein, in Psychological Science, 2017). Si è notato che l’anno in cui il malessere tra i giovani americani comincia a peggiorare significativamente, cioè il 2007, è anche l’anno in cui lo smartphone compare sul mercato (Twenge, Iperconnessi, 2018).

Anche in economia la ricerca accademica sta prendendo il problema sul serio. Una delle riviste americane più prestigiose, nonché mainstream, della disciplina ha recentissimamente pubblicato un articolo di analisi causale che sfrutta un esperimento naturale: l’introduzione di Facebook nei college statunitensi in modo scaglionato nel tempo (Braghieri et al., in American Economic Review, 2022). Questo articolo dimostra che il lancio di Facebook ha avuto diversi effetti negativi sugli studenti: ha promosso confronti sociali sfavorevoli; ha aumentato i sintomi di cattiva salute mentale, e in particolare di depressione; ha peggiorato, per quest’ultimo motivo, il loro rendimento negli studi; e infine ha portato a un maggiore utilizzo dei servizi di salute mentale.

I dati per il caso italiano sono purtroppo molto carenti e frammentati per studiare adeguatamente il problema, ma quelli disponibili mostrano che la dinamica ha lo stesso segno preoccupante di quella americana, e che è stata la pandemia a far scoppiare il problema. La diffusione dell’uso di Internet è ormai quasi totale anche tra gli studenti italiani (15-19 anni): il 97% possiede uno smartphone; il 43% trascorre oltre 4 ore giornaliere online, e il 27% delle ragazze supera le 6 ore. Il disagio per essere rimasti troppo tempo online, per la temporanea impossibilità di connettersi, per aver perso ore di sonno o trascurato i compiti o gli amici pur di utilizzare Internet è aumentato dall’8,8% nel 2011 all’11,4% nel 2017 per poi accelerare al 13,9% nel 2021. Il 9,1% ha finito per soffrire dell’ ‘isolamento sociale volontario’ (chiamato Hikkimoridal Manuale Diagnostico dei Disordini Mentali – DSM 5), impiegato prevalentemente online, usando in particolare i social media (Dipartimento per le Politiche Antidroga, 2022).

La frequenza degli adolescenti italiani di 11-15 anni con problemi psicologici sub-clinici (come ‘sentirsi giù, irritabili, nervosi e con sonno disturbato’) mostra un lieve declino dal 2006 al 2010, ma un lieve aumento passando al 2018, raggiungendo così oltre un terzo degli intervistati (HBSC, vari anni). Con la pandemia di COVID-19 i sintomi clinici di depressione ed ansia degli adolescenti italiani sono aumentati a dismisura (Racine, in JAMA, 2021; OECD, Tackling Coronavirus, 2021). Dati ufficiali recenti sui suicidi tentati o commessi non sono ancora disponibili, ma gli allarmi lanciati da medici e istituzioni territoriali sono diventati frequenti. Per esempio, l’Ospedale Bambino Gesù di Roma documenta che l’ideazione suicidaria e il tentato suicidio tra i giovani sono cresciuti del 75% nel 2020-2021 rispetto al biennio precedente, e che le ospedalizzazioni in Neuropsichiatria per autolesionismo sono passate dal 30% al 60%.

Anche per il caso italiano è stato studiato l’impatto dell’uso intensivo dello smartphone sulla salute mentale dei giovani, focalizzando l’attenzione sul passaggio al periodo pandemico. Ebbene, l’evidenza mostra un significativo aumento sia nell’uso dello smartphone, e dei social media in particolare, sia di vari problemi psicologici negli stessi soggetti (Serra et al., in Italian Journal of Pediatrics, 2021).

L’accusa mossa dal distretto scolastico americano alle grandi società dei social media di influenzare negativamente i giovani trova quindi ampie conferme per il caso degli Stati Uniti, e qualche conferma anche per il caso dell’Italia. Lo spartiacque che segna questa accusa emerge ancor più evidente se si osserva che la nozione di ‘sovranità del consumatore’ è stata insegnata nei corsi di economia per lungo tempo. Si può ricordare in particolare che Milton Friedman, esponente di primo piano della scuola di Chicago, attaccò John K. Galbraith (The Affluent Society, 1958) per la tesi secondo cui le preferenze dei consumatori sarebbero state fortemente plasmate dalla pressione pubblicitaria delle grandi imprese. Secondo Friedman invece:

l’analisi economica della pubblicità […] tendeva a dimostrare, in primo luogo, che una parte molto ampia di tutta la pubblicità era informativa piuttosto che persuasiva, in secondo luogo, che anche nella pubblicità persuasiva la cosa intelligente e astuta da fare per un’impresa era scoprire cosa vuole il pubblico e poi realizzarlo e consigliarlo, non per cercare di plasmare i suoi gusti (Friedman, Friedman on Galbraith, and on Curing the British Disease, 1977).

Ma l’obiettivo ultimo dell’attacco era l’intervento dello stato nell’economia, e in particolare le spese per le agenzie a difesa dei consumatori, che apparivano a Friedman molto costose a fronte delle spese pubblicitarie delle grandi imprese. Ebbene, tutto questo oggi suona quantomeno come molto ironico davanti alle spese sostenute dalle scuole americane per rimediare ai danni procurati dai social media agli studenti-consumatori, per non parlare dei danni alla loro salute e alla loro formazione in quanto futuro capitale umano produttivo. 

Oggi diventa particolarmente chiaro quanto sia parziale e fuorviante l’affermazione cara a Friedman e alla sua scuola liberista secondo cui lo stato è il maggior nemico dei consumatori poiché le imposte per finanziare la spesa pubblica finirebbero per gravare sui prezzi. Il caso dei social media rende infatti evidente che la “libera scelta” delle persone ha un altro condizionamento oltre alle imposte, e decisamente più insidioso. Infatti, agisce sulle loro preferenze, aumentando in particolare la propensione al confronto con gli altri, che, ormai è accertato per innumerevoli casi, è una fonte di cronica insoddisfazione.

Le implicazioni di policy non sono di poco conto. Infatti, se si prende come guida generale il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione italiana, gli obiettivi di policy aumentano, e riguardano nuovi campi. Com’è noto l’articolo dice che:

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Dunque, non solo occorre rimuovere gli ostacoli della povertà, della disoccupazione, del lavoro povero, delle diseguaglianze sociali oltreché economiche. Non solo occorre favorire il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione democratica migliorando l’accesso all’istruzione e alla sanità. Diventa altresì necessario difendere questa possibilità di pieno sviluppo ed effettiva partecipazione dalla eccessiva pressione esercitata sui bambini e sui giovani dai social media, in particolare, e dal mondo della produzione e commercializzazione, in generale (Pugno, Well-being and Growth in Advanced Economies: the Need to Prioritise Human Development, 2022). 

Come intervenire apre problemi ancora più impegnativi che governi, insegnanti e genitori saranno chiamati ad affrontare se si vuole andare oltre i semplici divieti nell’uso degli strumenti digitali, per contrastare invece alla radice il malessere e i costi che ne conseguiranno. Occorrerà infatti rivedere profondamente i metodi d’insegnamento per vincere la competizione con i social media e prodotti simili. Oltre a regolamentare le piattaforme digitali private, occorrerà mettere in campo piattaforme digitali a controllo pubblico per organizzare e sviluppare servizi formativi più sicuri da offrire ai giovani (cfr. Florio, La Privatizzazione della Conoscenza, 2020).

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