ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 182/2022

14 Novembre 2022

I comuni e la sfida del PNRR

Gianfranco Viesti valuta la capacità dei Comuni di far fronte alle proprie responsabilità nella fornitura di servizi e nella realizzazione di investimenti, e indica tre aree problematiche, soprattutto nel Mezzogiorno: il personale, in forte contrazione e minore in quantità e peggiore in “qualità” al Sud; i tempi di realizzazione degli investimenti, maggiori nel Mezzogiorno; la capacità di erogare servizi, anche a valle degli investimenti PNRR, non garantita senza una corretta attuazione delle disposizioni sul federalismo fiscale.

Dalla quantità dei servizi erogati dalle Amministrazioni comunali dipende largamente la possibilità di godere dei diritti di cittadinanza previsti dalla Costituzione. Le Amministrazioni comunali sono anche responsabili del 46% degli investimenti del settore pubblico (dati 2021; Corte dei Conti); circostanza ancora più rilevante ora che il PNRR affida loro una rilevante quota degli impegni di spesa in conto capitale previsti (fra i 40 e i 50 miliardi) 

Sono in grado i Comuni italiani di far fronte a questi impegni? Esistono rilevanti differenze territoriali, a danno del Mezzogiorno? I dati disponibili, come si vedrà in questa nota, suscitano preoccupazioni – che sono più intense per il Mezzogiorno – pur essendo la geografia delle capacità dei Comuni molto varia, anche all’interno delle grandi circoscrizioni.

La nota tocca tre temi: il personale dei Comuni, i tempi di realizzazione degli investimenti, la capacità di erogare servizi. 

Il personale

Le capacità delle Amministrazioni comunali di svolgere i propri compiti possono essere misurate, in primo luogo, dalla quantità e, per quanto possibile, qualità del loro personale. Il numero di dipendenti dei Comuni rapportato alla popolazione è molto diverso a seconda della loro dimensione (è maggiore nei più piccoli e nei più grandi, minore in quelli di dimensione intermedia) e varia tra le regioni (è più alto in quelle a statuto speciale, ma anche in Liguria, Toscana, Calabria; decisamente minore in Puglia, ma anche in Lombardia, Veneto, Abruzzo e Campania) (G. Viesti, Centri e periferie. Europa, Italia, Mezzogiorno dal XX al XXI secolo, Laterza 2021, cap. 14). 

Una recente analisi della Banca d’Italia fotografa questa situazione al 2019 per le grandi circoscrizioni. In quell’anno, nelle regioni a statuto ordinario, al Sud vi erano 48 unità di personale ogni 100mila abitanti contro 60 nel Centro-Nord. La situazione al Sud, rispetto al resto del paese, era migliore nei comuni sotto i 5.000 abitanti, simile in quelli da 5.000 e 20.000 abitanti, molto peggiore per quelli di maggiore dimensione. Nei grandi comuni del Sud vi erano, nel 2019, 66 unità di personale per 100mila abitanti contro le 97 nel Centro-Nord. Minori erano gli scarti nelle regioni a statuto speciale, peraltro più difficilmente comparabili per la mancanza di grandi città al Nord. 

A completamento di questi dati va anche ricordato che il personale comunale al Sud mediamente deve fare fronte ad uno spettro più ampio di servizi. Infatti, come mostrato sempre dalla Banca d’Italia, al Centro-Nord é più frequente la gestione indiretta, in particolare per il trasporto pubblico locale e la gestione dei rifiuti. Ciò significa che il personale che eroga questi servizi non fa capo direttamente all’Amministrazione ma, in genere, a società partecipate. Anche la gestione di servizi attraverso associazioni di più Comuni é maggiormente diffusa nel Centro-Nord.

In tutti i Comuni il personale si è sensibilmente ridotto negli ultimi anni (da 479.233 del 2007 a 348.036 nel 2020, secondo Marinuzzi e Tortorella, Il PNRR per i Comuni italiani, tra opportunità e sfide”, Comuni d’Italia, 9/2022), a causa di un sostanziale blocco del turn-over. Come risulta dalla tabella, fra il 2008 e il 2019 il personale nei Comuni delle regioni a statuto ordinario del Sud si è ridotto del 32%, contro il 22% al Centro-Nord. Nelle grandi città del Sud la riduzione è stata del 45%. La Svimez ha presentato nel suo Rapporto 2021 dati sul ricambio del personale (2007-2018) per alcune grandi città italiane; tale ricambio é stato particolarmente basso a Palermo, ma anche a Napoli, Reggio Calabria, Cagliari; modesto a Torino, ma non a Bari. 

Il blocco del turn-over ha contributo ad un significativo innalzamento dell’età media dei dipendenti. L’80% dei dipendenti dei comuni del Sud nel 2019 aveva più di 50 anni, una percentuale decisamente più alta che al Nord (quando erano il 60%); e in netto peggioramento rispetto al 2008 (60%). Dunque, è scarsissimo il personale dipendente giovane nei comuni del Sud. Il limitato ricambio contribuisce anche a spiegare il peso molto basso del personale con istruzione universitaria in tutti i comuni italiani, ma ancora una volta in particolare al Sud. Per quanto in lieve miglioramento rispetto al 2008 (a seguito dell’uscita di personale in quiescenza, spesso con livelli di istruzione molto modesti), solo poco più di 2 dipendenti su 10 al Sud hanno la laurea, contro 3 nel Centro-Nord. Tale scarto è significativo in tutte le classi dimensionali di comuni tranne che per i piccoli, ed è sensibile in quelli maggiori. Ancora una volta è evidente la diversità di situazioni. Al 2018 era laureato solo poco più del 10% dei dipendenti del comune di Palermo. 

Giungiamo così alla prima conclusione: senza un radicale potenziamento, quantitativo e qualitativo, del personale dei Comuni, in tutta Italia ma soprattutto al Sud, molti di essi difficilmente saranno in grado di svolgere tempestivamente e con qualità le loro funzioni.

Gli investimenti

Nel XXI secolo la spesa per investimenti dei comuni del Sud è stata, in termini pro-capite, del tutto simile a quella del resto del paese; non si sono quindi, ridotti i pre-esistenti, e assai significativi, scarti nelle dotazioni di capitale pubblico (come mostrano già citati lavori della Banca d’Italia). La spesa per investimenti ha mostrato una discreta ripresa già dal 2018. Tuttavia, dati relativi al 2021 presentati dalla Corte dei Conti, mostrano importi (in pro-capite) significativamente diversi: 241 euro nel Nord-Est, 215 nel Nord-Ovest, 179 nel Sud continentale, 152 al Centro e 143 nelle Isole, con una media nazionale di 191 euro. 

La spesa effettivamente realizzata è il risultato algebrico di più fattori: una maggiore disponibilità al Sud di risorse stanziate dalle politiche di coesione, europee e nazionali; una minore disponibilità di risorse ordinarie; una minore capacità di realizzazione, cioè un maggiore scarto fra gli impegni e i pagamenti. 

Quest’ultimo dato è messo in luce da uno studio del 2021 della Banca d’Italia e da una recente analisi congiunta dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio e dell’IRPET. Il primo trova scarti molto sensibili fra Centro-Nord e Sud nei tempi di realizzazione delle opere pubbliche fra il 2012 e il 2020; la seconda, basata su un differente campione di lavori pubblici (2012-2021) indica anche che i ritardi del

Mezzogiorno sono particolarmente rilevanti nelle fasi che precedono l’affidamento dei lavori, più legate alla disponibilità di competenze interne delle Amministrazioni. È interessante notare, sempre stando all’analisi UPB-IRPET, che i tempi delle realizzazioni al Sud si accorciano significativamente per le opere finanziate con fondi comunitari, per le quali operano meccanismi di accelerazione, che potrebbero auspicabilmente ripetersi per il PNRR.

Ma è evidente che questi dati inducono preoccupazione per la realizzazione degli investimenti del PNRR. È opportuno ricordare che secondo una stima della Svimez, la spesa in conto capitale dei comuni del Sud, grazie agli stanziamenti del Piano, dovrebbe aumentare di oltre il 50% nel 2024-25, rispetto al periodo 2017-19. Inoltre, primissime evidenze relative ad alcune misure del PNRR a titolarità del Ministero delle Infrastrutture sembrerebbero mostrare divari territoriali, a danno del Sud, nella velocità della loro attuazione. 

Ed ecco la seconda conclusione: se si vuole attuare il PNRR, e lo si vuol fare senza rilevanti disparità territoriali, è indispensabile e urgente sostenere la capacità di realizzazione degli appalti dei Comuni, in particolare al Sud, ben più di quanto fatto con alcune misure di sostegno messe in atto dal governo Draghi: utili ma con tutta probabilità insufficienti. 

La spesa corrente dei Comuni (espressa in pro-capite), da cui dipende la loro capacità di erogare servizi è molto differenziata sul territorio nazionale. Una ricostruzione della Banca d’Italia, e relativa alla media 2017-19, mostra valori decisamente più alti nelle aree a statuto speciale del Nord, in Sardegna, ma anche nel Centro Italia e in Emilia-Romagna, inferiori nella Pianura Padana e in vaste zone del Mezzogiorno, specie in Campania e in Puglia. Nell’insieme è significativamente inferiore nel Mezzogiorno, specie nei comuni di maggiore dimensione e in misura nettissima per quelli con più di 250.000, dove è circa due terzi dei livelli del Centro-Nord. Dai dati regionali per classe demografica dei comuni emergono enormi scarti sul territorio nazionale, specie tra le regioni a statuto speciale e le province autonome del Nord, da un lato, e le aree del Mezzogiorno continentale e della Sicilia, dall’altro.

La relativa carenza di risorse si ripercuote su tutte le principali voci di spesa. È interessante notare come le spese per “servizi generali”, sempre espresse in pro-capite, non siano al Sud superiori rispetto al Centro-Nord, anche se un po’ maggiori nei comuni più grandi.

Questa situazione deriva da più fattori. Ma soprattutto dalla mancata attuazione delle regole sul finanziamento dei Comuni previste dalla legge 42/2009, dalla mancata fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), dai distorti meccanismi di calcolo dei fabbisogni standard (anche se per gli asili nido e alcuni servizi sociali importanti innovazioni sono state introdotte con la legge di bilancio 2020) e dall’assai parziale, e anch’esso distorto meccanismo di calcolo del fondo di solidarietà comunale (FSC) (per una introduzione generale al tema, cfr. Viesti, op.cit.).

A riprova di questo, i dati della Banca d’Italia mostrano che lo “sforzo fiscale”, cioè il rapporto fra gettito e reddito, al Sud è molto maggiore rispetto al Centro-Nord, ma questo non compensa una “capacità fiscale” assai inferiore, determinata dai redditi molto più bassi. Al Sud, a parità di reddito, la pressione fiscale é superiore ma la  disponibilità di servizi é assai inferiore. Ad integrazione, ma solo parziale, di quanto appena detto, va ricordato che la “capacità di riscossione” delle Amministrazioni del Sud è inferiore rispetto al resto del paese.

Ciò determina una situazione complessiva di bilancio, nonostante il minor livello di spesa, assai peggiore per i comuni del Mezzogiorno, pur con evidenti differenze fra regioni (molto peggiore in Campania e Sicilia, ma anche in Piemonte e Lazio, migliore in Sardegna). Quasi il 30% della popolazione del Mezzogiorno vive in comuni in dissesto o in pre-dissesto. Va al riguardo segnalata l’iniziativa del governo Draghi per la gestione della debitoria del comune di Napoli, che  dovrebbe, con il tempo, migliorarne i dati di bilancio.

Peggiori situazioni di bilancio e difficoltà finanziarie possono acuire le criticità collegate alla stessa realizzazione delle opere, ad esempio in termini di capacità di acquisire prestazioni tecniche esterne o servizi di consulenza e soprattutto incidere sulla capacità delle Amministrazioni di fornire nuovi o migliori servizi a valle dei cospicui investimenti in conto capitale previsti dal PNRR. Il Piano prevede il completamento del “federalismo fiscale” solo nel primo semestre 2026. 

L’ultima conclusione di questa nota è allora che senza una decisa accelerazione nella fissazione dei LEP e dei fabbisogni standard e una completa attuazione dei meccanismi del FSC (ora prevista per il 2030), i Comuni più deboli (al Sud ma non solo) avranno difficoltà a svolgere le proprie attività correnti e di investimento nei prossimi anni e, inoltre, i cospicui investimenti previsti dal PNRR rischieranno di non tradursi in nuovi o migliori servizi per i cittadini.

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