ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 223/2024

15 Ottobre 2024

I conigli australiani e Fibonacci

Ruggero Paladini analizza la diffusione dei conigli in Australia per illustrare il principio che l’attività umana, anche di un singolo, può provocare danni seri all’ecosistema e i rimedi possono essere anch’essi dannosi. Mr. Austin, spostandosi a metà dell’800 dall’Inghilterra all’Australia, provocò involontariamente la più rapida colonizzazione di una specie (conigli) di mammiferi. I danni all’ecosistema furono gravi e, dopo vari tentativi, si ricorse ai virus, che, fortunatamente, non crearono altri danni. Non si tratta di un unicum: è noto il caso dello scoiattolo grigio, e più di recente, del granchio blu.

1. L’invasione dei conigli. Verso la fine del XIX secolo l’Australia si trovò a fronteggiare, a cominciare dalla zona di Melbourne, una invasione di conigli (una specie autoctona europea). In molti habitat australiani la sopravvivenza di varie specie di fauna e flora fu messa a rischio. Secondo stime attendibili, nella prima metà del Novecento la popolazione di conigli raggiunse un picco vicino a 10 miliardi di animali; le autorità australiane organizzarono iniziative di vario tipo, per tenere sotto controllo la loro diffusione: dalla costruzione di lunghi recinti (ancora oggi esistenti) per confinarli in aree ristrette, all’introduzione di predatori, ed infine all’azione di virus.

Si vedrà più avanti l’esito di questi tentativi; per lungo tempo si è ritenuto che la colpa fosse genericamente di tutti i conigli che a più riprese, a cominciare dal 1788, erano stati portati in Australia; fin dalla prima volta, quando la Prima Flotta, con undici navi, arrivò per fondare nel continente una colonia penale. Pur essendo chiusi in recinti, l’idea è che alcuni conigli fossero fuggiti per diffondersi a macchia d’olio. Sicuramente a molti scienziati – in particolare matematici – australiani sarà venuto in mente la serie (o sequenza) di Fibonacci, dove a partire da una prima coppia di conigli in poco tempo si assiste ad una crescita esponenziale del numero delle coppie.

Leonardo Pisano, figlio di Bonaccio, è considerato a ragione colui che introdusse in Europa i numeri indo-arabi ed anche la geometria greca. Il Liber Abaci (1202) contiene numerosi problemi, di cui il più famoso è: Quot paria coniculorum in uno anno ex uno pario germinentur (Quante coppie di conigli discendono in un anno da una coppia, Scritti di Leonardo Pisano: mathematico del secolo decimoterzo, pubblicati da Baldassarre Boncompagni, Roma, 1857, pp. 283-284). Il problema è posto come segue: “Un tale mise una coppia di conigli in un luogo completamente circondato da un muro, per scoprire quante coppie di conigli discendessero da questa in un anno: per natura le coppie di conigli generano ogni mese un’altra coppia e cominciano a procreare a partire dal secondo mese dalla nascita”.

Le ipotesi di Fibonacci sono che i conigli divengano fertili dopo un mese dalla nascita, che la gestazione duri un mese, e che ogni coppia dia vita ad una (sola) altra coppia rimanendo in vita per (almeno) un anno. Solamente la seconda ipotesi è realistica, mentre le altre due non lo sono. Per divenire fertili i conigli impiegano circa un anno; ma le coniglie partoriscono dai 5 fino ai 12 esemplari. Il carattere prolifico della specie è tipico di un animale che, in natura, viene predato da volpi, lupi e uomini. 

 Si può notare come vi siano, nel problema posto da Fibonacci, due (ovvie) ipotesi implicite: la prima è che vi sia nutrimento sufficiente per tutti i conigli che nascono nell’anno, e la seconda che il muro che protegge i conigli sia tale da impedire a volpi e lupi di approfittarne. 

2. La colpa è di Mr. Thomas Austin. La svolta si è avuta con la pubblicazione, su una rivista scientifica dell’agosto 2022 (“A single introduction of wild rabbits triggered the biological invasion of Australia”, Proceedings of the National Academy of Sciences, Joel M. Alves +9), di un articolo in cui si dimostra che la disastrosa diffusione dei conigli in Australia non partì da un indistinto insieme di animali introdotti nel paese nel corso del tempo, bensì è riconducibile a dodici coppie di conigli selvatici che furono importati dall’Inghilterra a metà Ottocento. Nel 1859 infatti Thomas Austin, che si era trasferito in una tenuta vicino a Geelong, a ovest di Melbourne, liberò i 24 conigli selvatici che si era fatto mandare dal sud-ovest dell’Inghilterra per poter riprendere le sue abitudini di caccia. Che i conigli australiani discendessero dalle dodici coppie, emerse confrontando il loro DNA con quello dei conigli che attualmente vivono nell’area di Baltonsborough, nel sud-ovest dell’Inghilterra, l’area da cui proveniva Austin. Il quale inoltre era una persona meticolosa e nel suo diario registrava molti dati delle sue attività agricole e venatorie. Sappiamo così che, sette anni dopo aver liberato i conigli, uccise 14.253 conigli, e ciò nei dintorni della sua tenuta; una conferma dell’alta densità di animali in quella zona.

Gli altri conigli che erano stati importati in Australia in precedenza infatti erano addomesticati e rimasti rinchiusi in recinti; ed anche negli sporadici casi di fuoriuscita non erano riusciti a diffondersi. Invece i conigli importati nel 1859 avevano le caratteristiche tipiche degli animali selvatici; non attendevano il cibo dall’uomo ma dalla natura, e trovarono in Australia abbondanza di cibo e scarsità di predatori. Infatti i dingo, una specie di canide, anch’essi portati dall’uomo migliaia di anni prima, preferivano cacciare, in solitudine, uccelli o rettili. Non costituivano quindi un predatore in grado di creare un equilibrio (ciclico) alla Lotka-Volterra. 

Quindi le condizioni in cui si trovarono le dodici coppie provenienti dalla contea di Somerset furono piuttosto vicine alle due condizioni implicite del problema di Fibonacci. Si verificò quella che Joel Alves ha definito come la «colonizzazione più rapida mai osservata» di qualsiasi mammifero sia stato introdotto in un nuovo ambiente. Nel giro di una sessantina di anni i conigli si moltiplicarono malgrado il fatto che i locali ne cacciassero circa due milioni l’anno. Gli effetti sulla vegetazione e sulla biodiversità indigena furono profondi; anche se scientificamente i conigli non sono roditori, l’abitudine di mangiare le radici delle piante (si pensi al simpatico Bunny che addenta sempre una carota) determinò l’inaridirsi di vaste parti delle praterie australiane.

3. Recinti, volpi e virus. Furono effettuati molti tentativi per arginare la diffusione dei conigli; per tre volte si costruirono enormi recinti per circoscrivere aree di contenimento (ancora oggi visibili in alcune zone), ma questo metodo difensivo si dimostrò di scarsa efficacia. Si cercò di introdurre nell’habitat le volpi come predatori antagonisti, ma quest’ultime, come i dingo, preferirono cacciare la fauna locale più lenta. Così facendo il numero dei piccoli mammiferi si assottigliò ulteriormente e i predatori autoctoni si trovarono incapaci di competere con le volpi per la ricerca del cibo. Ad esempio, vittime della introduzione delle volpi furono in particolare i ratti canguri del deserto (Caloprymnus campestris), che si estinsero; quando un rimedio si dimostra peggiore del danno (almeno per il ratto canguro).

Nel 1950 si decise di passare alle armi batteriologiche; venne introdotto deliberatamente nell’ambiente un particolare virus, il “Virus del mixoma del coniglio”, in grado di causare una malattia letale per i conigli, la mixomatosi. In effetti inizialmente il calo della popolazione fu drastico (circa l’80%) ma poi si verificò un fenomeno analogo a quello che abbiamo sperimentato noi umani col Covid-19. Presto comparvero delle varianti del mixovirus, molto meno letali, e proprio per questo più capaci di diffondersi; il virus divenne endemico ma la maggior parte dei conigli erano divenuti resistenti al virus e pertanto ripresero a crescere.

Intorno al 1995 un gruppo di ricercatori del governo australiano iniziò a condurre alcuni esperimenti con il virus che causa una malattia emorragica virale (MEV) che in molti casi porta alla morte degli animali. La sperimentazione fu avviata sull’isola di Wardang, nell’Australia Meridionale, e diede risultati promettenti. Successe tuttavia che, a causa dei moscerini ematofagi (quelli che si nutrono di sangue), il virus fu trasportato dall’isola al resto dell’Australia continentale.

Per fortuna (non dei poveri conigli) si constatò che il virus non causava disturbi agli altri animali ma solo alla popolazione target, per cui le autorità australiane lasciarono che il virus si diffondesse; si stima che in tale modo la popolazione dei conigli si sia ridotta del 60%. 

A distanza di una ventina di anni, una ricerca sulla rivista Conservation Biology esamina gli effetti della drastica diminuzione dei conigli su alcuni piccoli roditori come il topo saltatore scuro e il topo australiano delle pianure (Reece D. Pedler+5, Rabbit biocontrol and landscape-scale recovery of threatened desert mammals, febbraio 2016); si tratta di specie che erano quasi sparite durante il periodo di dominazione dei conigli, e che, pur essendo queste specie ancora considerate a rischio dall’Unione internazionale per la conservazione della natura, hanno visto un incremento di popolazione. Anche per il mulgara dalla coda crestata, un marsupiale carnivoro, che era considerato in via di estinzione, la ricerca di Pedler segnala una crescita di popolazione, come dimostrano gli avvistamenti che sono cresciuti nei venti anni intercorsi.

Queste popolazioni autoctone hanno anche beneficiato dalla ripresa della vegetazione che era stata duramente colpita dalla voracità dei conigli, come accennato in precedenza. Più piante, e tipiche dell’Australia, significano maggiori possibilità di trovare cibo per i piccoli mammiferi dei deserti, che usano anche i cespugli come nascondigli per sfuggire ai predatori. 

4. Conclusione. L’estinzione ai tempi dell’Antropocene (la fase più recente dell’Olocene) è un tema sul quale da tempo gli studiosi richiamano l’attenzione dell’opinione pubblica e dei politici. Le estinzioni riguardano numerosi gruppi di piante ed animali, portando ad una riduzione della biodiversità che viene definita come la sesta grande estinzione di massa. Limitandosi ai mammiferi, l’elenco attuale delle specie a rischio ne individua un centinaio, da Ailuropoda melanoleuca(Panda gigante) a Zaglossus brujini (Echidna dal becco lungo). Ma estinzioni ad opera esclusiva di homo sapiens sono avvenute in un ristretto arco di tempo anche in passato; in un lavoro di giugno 2020 si è documentata la fine di grossi mammiferi (dai 40-45 kg in su) nel nord-America verso la fine del Pleistocene (Frederik V. Seersholm +15, Rapid range shifts and megafaunal extinctions associated with late Pleistocene climate changeNature Communications). Che sia solo opera “nostra” è facile affermarlo, poiché nessun altro homo era arrivato in nord-America. A differenza del continente euro-asiatico dove hanno operato anche Neanderthal e Denisova. 

Il caso dei conigli australiani non è l’unico caso di una specie invasiva portata dall’uomo in un habitat; vi è caso dello scoiattolo grigio (Sciurus carolinensis), una specie di origine nord-americana, che, nelle zone dove si sta diffondendo, determina la scomparsa dello scoiattolo comune (Sciurus vulgaris), di colore bruno-rossastro; fenomeno già in stato avanzato nel Regno Unito e in Irlanda, e che ora sta interessando il nord-ovest italiano (Piano di gestione nazionale dello Scoiattolo grigio (Sciurus carolinensis), S. Bertolino, V. La Morgia, P. Genovesi, Ministero dell’Ambiente, ISPRA Novembre 2020.). In questo caso la partita concerne solo le due specie di scoiattoli, anche se sembra che il grigio danneggi pure alberi e cespugli, ed è comunque giusto cercare di salvaguardare il nostro scoiattolo locale. Ben più grave è il caso recente del granchio blu (Callinectes sapidus), la cui popolazione è esplosa negli ultimi anni lungo tutta la costa adriatica. Dei due fattori che hanno permesso al granchio blu di diffondersi uno è lo stesso del caso dei conigli australiani: l’assenza di predatori, presenti invece sulle coste nord-americane, da dove è arrivato con le navi cargo

L’altro fattore invece dipende dal cambiamento climatico, che eleva la temperatura dei mari; le larve necessitano di una temperatura di almeno 15° per svilupparsi regolarmente, e una femmina può depositare fino a 2 milioni di uova all’anno. Questi due fattori insieme hanno determinato la proliferazione del granchio, con la scomparsa di intere colonie di cozze, vongole, ostriche e altri molluschi; anche gli avannotti, ovvero i pesci appena nati, sono tra le prede preferite del granchio blu. Le perdite economiche sono state stimate in un centinaio di milioni. Certo i granchi possono essere mangiati (del resto è detto sapidus), ma probabilmente il fatto che finiscano sui nostri piatti non è sufficiente, come non lo fu nel caso dei conigli australiani. Per tornare a questi ultimi, l’incoscienza fortunata degli australiani nell’uso dei virus ha ottenuto alla fine il risultato, ma, dopo il Covid-19 e quello che abbiamo imparato sui salti di specie, si spera che l’esperienza, di usare virus per ridurre una popolazione animale, rimanga un unicum.

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