Sono molte le fasi del corso di vita in cui i divari di genere si manifestano a sfavore delle donne. Le donne, infatti, ricevono in media salari più bassi a parità di titolo di studio e intensità lavorativa (gender pay gap), e quando hanno un figlio lo svantaggio salariale aumenta ulteriormente non solo rispetto agli uomini ma anche rispetto alle donne senza figli (motherhood penalty) a seconda dell’età a cui diventano madri. La partecipazione al mercato del lavoro donne (soprattutto di quelle poco istruite) è caratterizzata da tassi di disoccupazione e inattività più alti degli uomini, da maggiori difficoltà nella transizione scuola-lavoro e da carriere lavorative più frammentate. Fanno eccezione il rischio di abbandono scolastico e la probabilità di conseguimento di un titolo di studio terziario, rispetto ai quali i ragazzi risultano svantaggiati rispetto alle coetanee: questo “vantaggio” per le donne è, però, solo apparente quando consideriamo cosa accade successivamente nel mercato del lavoro.
A causa del cumularsi di questi svantaggi lungo il percorso lavorativo – poiché l’accesso al trattamento pensionistico e la sua generosità sono legati ai contributi versati e alla lunghezza del periodo contributivo – lo studio delle disuguaglianze di genere nei redditi da pensione (il cosiddetto Gender Pension Gap – GPG) rappresenta un tassello importante per la comprensione delle conseguenze dell’accumulazione di svantaggi lungo il corso di vita.
Il GPG è la differenza percentuale nel reddito pensionistico medio tra uomini e donne al netto di caratteristiche individuali come età e titolo di studio. Tuttavia, per molto tempo la ricerca sulle disuguaglianze pensionistiche ha riguardato soltanto i lavoratori uomini, concentrandosi, ad esempio, sulle differenze tra lavoratori più o meno istruiti. Negli ultimi decenni, però, sempre più donne – entrate nel mercato del lavoro nella seconda metà del ‘900 – hanno raggiunto l’età pensionabile, ed è dunque possibile, nonché necessario, analizzare come le disuguaglianze sul mercato del lavoro si traducono in disuguaglianze economiche dopo l’età pensionabile.
La domanda a cui intendiamo dare risposta in questo contributo è: il GPG è davvero spiegato unicamente dal fatto che uomini e donne sperimentano percorsi lavorativi differenti? La risposta breve è “non solo”. Proveremo a sviluppare la risposta lunga di seguito.
Prendere sul serio il corso di vita per studiare le disuguaglianze di genere. L’approccio del corso di vita suggerisce che per condurre un’analisi genuinamente gender-sensitive, come quella cui dovremmo tendere studiando il GPG, sia necessario considerare l’interazione delle traiettorie lavorative e quelle familiari lungo tutto il corso di vita, proprio in virtù del persistente squilibrio di genere nei compiti di cura. Questo squilibrio ha delle conseguenze sull’effettiva possibilità per le donne di partecipare al mercato del lavoro costruendo traiettorie lavorative che non solo le rendano autonome quando sono attive, ma diano anche accesso a trattamenti pensionistici dignitosi.
In una ricerca comparativa su Italia e Germania, abbiamo analizzato in che misura l’interazione tra traiettorie familiari e lavorative lungo tutto il corso di vita contribuisce al divario di genere nel trattamento pensionistico. Germania e Italia si differenziano in molti domini di politiche di welfare e, tuttavia, sono accomunate da un GPG tra i più alti d’Europa: 48.8% e 46.9% rispettivamente. Sebbene i sistemi pensionistici differiscano per molteplici aspetti (quali regole di calcolo e requisiti di accesso alla pensione), entrambi sono descritti come modelli particolarmente svantaggiosi per le donne per via dello stretto legame tra salari e contributi accumulati, che si trasformano poi in più o meno generosi benefici pensionistici in base alle regole di calcolo applicate nei due paesi. In entrambi i contesti, infatti, una quota ingente di donne esce dal mercato del lavoro dopo la nascita del primo figlio e fa fatica a rientrare in posizioni full-time soprattutto a causa della scarsità di servizi per l’infanzia.
Per stimare il GPG in funzione delle traiettorie familiari e lavorative abbiamo ricostruito i percorsi familiari (basandoci sullo stato civile e la presenza di uno o più figli) e quelli lavorativi (in base alla posizione dentro e fuori dal mercato del lavoro, distinguendo, ad esempio, tra lavoro part-time e full-time e l’occupazione nel settore pubblico) dai 18 ai 65 anni per un campione di intervistati dell’indagine SHARE-Survey on Health, Aging, and Retirement in Europe, che segue gli stessi individui nel tempo e raccoglie informazioni sul loro passato.
Segregazione e discriminazione. Abbiamo approfondito il ruolo di due meccanismi che possono spiegare la relazione tra diversi corsi di vita familiare e lavorativa, da un lato, e il GPG, dall’altro, utilizzando l’analisi delle sequenze e tecniche di scomposizione.
Il primo meccanismo è legato alla segregazione delle donne in corsi di vita lavoro-famiglia che sono “ricompensati” in maniera diversa dai sistemi pensionistici: questo è il caso di contesti in cui il sistema pensionistico prevede un (alto) numero minimo di anni di contribuzione per accedere alla pensione e le donne sperimentano traiettorie discontinue, o escono dal mercato del lavoro (traiettoria lavorativa) dopo la nascita di un figlio (traiettoria familiare).
Il secondo meccanismo riguarda la potenziale discriminazione di un gruppo rispetto a un altro, anche quando donne e uomini hanno sperimentato corsi di vita familiare e lavorativa simili. Donne e uomini – in altre parole – ricevono “ricompense” diseguali nonostante abbiano maturato nel tempo la medesima esperienza sul mercato del lavoro e pur avendo compiuto le stesse scelte in ambito familiare.
I risultati mostrano che il divario di genere nelle pensioni è spiegato in larga parte dal primo meccanismo: il 32% del divario pensionistico di genere in Italia e il 27% in Germania è dunque dovuto dalla segregazione di genere dei corsi di vita lavoro-famiglia. In particolare, le donne hanno maggior probabilità di sperimentare traiettorie che combinano molti anni trascorsi svolgendo compiti di cura dovuti alla presenza di figli o parenti anziani e un conseguente scarso attaccamento al mercato del lavoro, che in molti casi impedisce loro di accedere alla pensione per mancanza di requisiti contributivi.
Rispetto all’effetto “segregazione”, l’effetto “discriminazione” ipotizzato dal secondo meccanismo è meno rilevante – seppure anch’esso fondamentale – nello spiegare il GPG. Solo – se così si può dire – il 5,8% del divario pensionistico di genere in Italia e il 4,2% in sono spiegati dal fatto che donne e uomini, pur avendo sperimentato i medesimi corsi di vita lavoro-famiglia, ricevono “ricompense” diverse, a svantaggio delle donne. In entrambi i paesi, ad esempio, l’interazione di una traiettoria familiare caratterizzata dall’essere in coppia per larga parte della vita adulta e aver avuto un figlio e una traiettoria lavorativa continuativa full-time nel settore privato è associata a un gap pensionistico (annuale) di 478 euro in Italia e di 518 euro in Germania.
Dunque, l’effetto “segregazione” e l’effetto “discriminazione” stimati nei nostri modelli spiegano, insieme, il 38% del GPG per l’Italia e il 30% del GPG per la Germania: la quota residua del divario di genere è dovuta a variabili e caratteristiche individuali che non riusciamo ad osservare con i nostri dati (come ad esempio il salario lungo il corso di vita o le preferenze individuali).
Più donne al lavoro o più uomini che si fanno carico dei compiti di cura? I risultati di questa ricerca suggeriscono che riformare il sistema pensionistico potrebbe risultare poco efficace per diminuire il divario pensionistico di genere in Italia e in Germania in assenza di politiche che agiscano sulle disuguaglianze di genere nell’ambito della conciliazione tra lavoro e famiglia. Le misure messe in atto finora nei due contesti per contrastare le disuguaglianze di genere nelle prestazioni pensionistiche – che in Italia aggiungono agli anni effettivamente versati in contributi dalle lavoratrici un massimo di 12 mesi in funzione del numero di figli che si hanno, per esempio – infatti sono residuali rispetto alla dimensione del GPG per quei corsi di vita caratterizzati da lunghi periodi trascorsi a svolgere lavoro di cura.
In altre parole, per agire sui meccanismi di segregazione e discriminazione che contribuiscono al GPG è necessario agire su diversi fronti, a livello macro e micro. A livello macro, è imprescindibile non soltanto abbattere le barriere che inibiscono l’accesso a corsi di vita lavoro-famiglia “ricompensati” dal sistema pensionistico (incrementando ad esempio gli asili nido), ma anche immaginare un sistema pensionistico che valorizzi il lavoro di cura in maniera sistematica. A livello micro, è urgente favorire una distribuzione delle responsabilità di cura più equilibrata tra uomini e donne, ad esempio istituendo un congedo parentale paritario e obbligatorio.
* Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata su NaspRead.