I primi 100 numeri del Menabò

Questo editoriale richiama i principali contributi che, a parere della Redazione, il Menabò ha offerto nei suoi primi 100 numeri in termini di analisi di questioni pubbliche rilevanti; di sviluppo di un metodo di discussione attento alla giustificazione pubblica delle diverse posizioni; di elaborazione di proposte di cambiamento. Inoltre, delinea la direzione di marcia per il futuro: l’attenzione continuerà ad andare alla disuguaglianza, al funzionamento dei mercati, delle istituzioni e della democrazia, alla giustizia sociale; ma più spazio sarà dato alle evoluzioni della tecnologia, al ruolo della ‘voice’ e ai possibili contributi provenienti dal basso, da comunità “virtuose” e organizzazioni di cittadinanza.

L’11 maggio del 2014 sono riprese le pubblicazioni, in forma digitale, del Menabò di Etica ed Economia, creato inizialmente da Luciano Barca e per lungo tempo luogo di dibattito informato e dialettico su tematiche economiche e sociali di grande importanza per l’Italia e l’Europa. Da quell’11 maggio di 5 anni fa abbiamo pubblicato 100 numeri del Menabò, un traguardo per noi importante, che celebriamo con un numero, interamente curato dalla Redazione, nel quale la disuguaglianza (uno dei temi distintivi del Menabò) viene accostata a questioni e problemi oggi cruciali.

Sui primi 100 numeri, naturalmente spetta ai nostri lettori esprimere una valutazione. Tuttavia, a noi sembra che il Menabò si sia distinto per almeno tre contributi.

Vi è innanzitutto un contributo di merito, di documentazione, che ha riguardato una pluralità di questioni concernenti il rapporto fra etica e economia ed in particolare i seguenti temi:

  1. l’andamento della disuguaglianza, sia essa nei redditi complessivi, nelle retribuzioni (al riguardo, è da sottolineare la crescente contrapposizione, che abbiamo documentato, fra working rich e working poor), nella ricchezza, nelle opportunità inter-generazionali, nell’accesso ai servizi e alle capacità fondamentali, nella distribuzione funzionale, ossia, nella ripartizione del valore aggiunto fra lavoro e capitale, e sia essa fra “autoctoni” e migranti e fra aree territoriali diverse;
  2. le mutazioni del capitalismo contemporaneo, con particolare attenzione alle trasformazioni tecnologiche, e il rapporto fra tali mutazioni e l’andamento delle disuguaglianze economiche e sociali, da un lato, ed il funzionamento della democrazia, dall’altro;
  3. i rimedi redistributivi, mediante politiche di trasferimento e di tassazione – numerosi contributi si sono concentrati, ad esempio, sulle misure di reddito minimo e di cittadinanza e sulle possibili riforme della tassazione del reddito e dei patrimoni;
  4. i rimedi pre-distributivi, ossia le possibili politiche di prevenzione ex ante delle disuguaglianze attraverso un diverso disegno delle regole di funzionamento dei mercati, siano essi i mercati dei beni e dei servizi oppure del lavoro – al riguardo, un’attenzione particolare è andata alle potenzialità e ai limiti di politiche di estensione della concorrenza;
  5. i rapporti fra politiche di riduzione della disuguaglianza, crescita economica e assetto della democrazia, e
  6. quelli tra dinamiche istituzionali, regole dell’economia e garanzia dei diritti fondamentali, anch’essi rilevanti per una possibile riqualificazione della democrazia.

Le analisi succedutesi lungo i 100 numeri del Menabò che stiamo qui ricordando si sono concentrate in modo particolare sull’Italia, senza però trascurare esercizi comparativi tesi a confrontare quest’ultima con le economie europee e quelle OCSE. Qualche incursione è pure stata fatta nella dimensione globale.

Il secondo contributo è di metodo. La pubblica discussione troppo spesso oggi assomiglia a un match in cui non solo la forza dell’urlo decide il vincitore, ma neppure è sentita la necessità di sostenere le proprie posizioni utilizzando argomentazioni basate sulle migliori evidenze empiriche disponibili e su modalità argomentative tese a dare ragione delle proprie posizioni. Al contrario, le opinioni personali sono sbandierate come gusti imperscrutabili che ambiscono ad avere la stessa valenza di qualsiasi altro giudizio. Questo comportamento è il contrario di quanto richiede una politica democratica. La politica democratica riguarda il “noi” del popolo che deve prendere le decisioni e il “noi” non è la somma dei punti di vista idiosincratici di ciascuno. Il “noi” è il punto di vista dell’altro o dell’altra che potremmo essere. L’altra/l’altro devono essere presi in considerazione pena la violazione dell’uguaglianza morale di tutti. Detto in altri termini, rivendicare la soddisfazione dei singoli gusti, solo perché qualcuno li detiene, senza alcun obbligo di giustificazione pubblica, comporta costi inaccettabili per soggetti che dovrebbero rapportarsi gli uni agli altri come uguali.

Ebbene, il Menabò ha cercato con ostinazione di distinguersi da questo atteggiamento dominante. Abbiamo cercato sempre di presentare informazioni e ragioni, mantenendo un linguaggio rispettoso delle posizioni altrui. Perseguendo questo obiettivo, abbiamo unito all’impegno nel Menabò, la realizzazione di una serie di dialoghi su temi di attualità tesi a “sperimentare una modalità di discussione nella quale ciascun relatore prende sul serio gli argomenti dell’altro e a verificare se il confronto acceso, informato e ragionevole fa cambiare opinione a chi vi assiste e quali fattori determinino l’eventuale cambiamento”. A tal fine, abbiamo chiesto ai dialoganti (uno per il sì verso una determinata proposta/posizione e l’altro per il no) di condividere la domanda che dava il titolo all’incontro, e di intraprendere una discussione ragionata e basata sulle medesime regole. Al pubblico è stato poi chiesto, al termine dell’incontro, se la discussione avesse portato a modificare le proprie posizioni iniziali o quanto meno avesse apportato informazioni utili, prima sconosciute.

Ricercare discussioni basate su argomentazioni e evidenze empiriche non implica in alcun modo rifuggire dalla passione per la politica e da convincimenti forti circa le ingiustizie esistenti. Sotto questo profilo, la redazione del Menabò è sempre stata netta. Contro chi pensa che contrastare le disuguaglianze sia sbagliato perché tutto ciò che conta è, al massimo, contrastare la povertà e garantire una maggiore mobilità sociale, noi pensiamo che la disuguaglianza sia oggi il primo problema. Ridurla serve, peraltro, anche per contrastare la povertà e favorire la mobilità. Neppure, però, pensiamo che tutte le disuguaglianze economiche siano in sé inaccettabili. Alcune lo sono, altre no. Il che implica che le disuguaglianze devono essere giustificate. Per noi sono inaccettabili le disuguaglianze che producono conseguenze negative: i) sulle capacità di realizzare politiche capaci di contrastare i diversi svantaggi sociali; ii) sulla crescita economica (danneggiando i futuri redditi di tutti); iii) sul benessere complessivo e sulla democrazia. Sono altresì inaccettabili disuguaglianze che si sono formate attraverso processi in cui una parte ha il potere di appropriarsi di quote di valore aggiunto per il quale non può vantare alcun titolo di merito, prescindendo dallo sforzo individuale.

Il terzo contributo, infine, verte sulle proposte. Contro l’idea, anch’essa diffusa, che i destini della disuguaglianza siano largamente segnati dal cambiamento tecnologico e dalla globalizzazione, dal primo numero al numero che oggi presentiamo, abbiamo sempre cercato di fare vedere che “qualcosa” di serio si può fare. Globalizzazione e tecnologia non sono un dato naturale. Le configurazioni che esse hanno assunto sono state create da decisioni politiche che avrebbero potuto e possono essere ben diverse. Come non si stanca di ripetere D. Rodrik, ad esempio, le regole della globalizzazione sarebbero state diverse se ai tavoli del WTO o di altre organizzazioni internazionali avessero potuto sedersi anche altri soggetti, in primis, i rappresentanti dei lavoratori. In ogni caso, anche quanto fa la natura può, almeno in parte, essere modificato e le politiche possono occuparsi dei relativi effetti.

Le esemplificazioni tematiche in precedenza offerte e quelle presenti in questo numero riflettono i nostri convincimenti in materia. Serve oggi sicuramente un sistema impositivo capace di tassare le società multinazionali che sempre più evadono e eludono il fisco; servono imposte sui patrimoni che contrastino la crescente concentrazione della ricchezza e serve una più incisiva imposizione sugli alti redditi, compresi quelli da lavoro. Politiche di questo tipo sono fattibili; esistono diverse proposte e gli effetti negativi sulla crescita non vanno ingigantiti. La maggiore tassazione delle imprese multinazionali, ad esempio, frenerebbe la concorrenza sleale a danno delle imprese che pagano i tributi, mentre le imposte sui redditi da lavoro elevati non solo inciderebbero in larga misura su rendite – dunque, non avrebbero effetti distorsivi – ma potrebbero anche avere l’effetto ulteriore di disincentivare la ricerca stessa di rendite – dato che queste ultime sarebbero maggiormente tassate. Serve altresì un serio sistema di sostegno al reddito e un rafforzamento dei servizi, al cui finanziamento potrebbero contribuire anche le misure auspicate di riforma fiscale.

Per quanto importanti, le misure di tassazione e trasferimento sono, tuttavia, insufficienti. Intervenire quando le disuguaglianze si sono già formate può, però, avere un’efficacia limitata, o essere perfino impossibile perché quelle misure saranno ostacolate da chi rischia di perdere il vantaggio che le disuguaglianze gli assicurano. Servono anche politiche pre-distributive che incidano sulle modalità di formazione dei redditi, dunque, sul funzionamento dei mercati e delle imprese nelle quali possono rientrare anche politiche macroeconomiche e industriali capaci di mitigare i processi di polarizzazione geografica – tra paesi e interna ai paesi – che interagiscono con le diseguaglianze e spesso le esacerbano. Il Menabò ha più volte insistito sull’importanza di simili politiche, sostenendo, ad esempio, la necessità di rafforzare la concorrenza contro le crescenti concentrazioni dei mercati e di prevedere nuovi schemi di governance delle imprese in grado di rafforzare il potere dei lavoratori. Un discorso specifico merita l’istruzione. Spesso l’istruzione – o, come si usa dire, il capitale umano – viene presentata come la soluzioni a molti se non tutti i problemi. In particolare sarebbe la soluzione al problema della disoccupazione – soprattutto di fronte agli sviluppi della tecnologia – e a quello della disuguaglianza.

Il Menabò è spesso intervenuto per definire i confini di validità di simili posizioni, richiamando l’attenzione sulla necessità di creare anche un’adeguata domanda di ‘capitale umano’ e sulla rilevanza di molti altri fattori nella spiegazione delle disuguaglianze nei redditi da lavoro. Riconoscendo l’assoluta importanza dell’istruzione come opportunità da cui dipendono i futuri profili di vita, il Menabò ha, dunque, messo in guardia contro il rischio di ritenere che l’istruzione sia l’unica opportunità rilevante e contro il pericolo di predicare l’eguaglianza delle opportunità mentre diventa sempre più difficile l’accesso all’istruzione per chi proviene da background svantaggiati. Soprattutto, il Menabò ha spesso insistito sulla necessità di rompere l’equazione ‘istruzione = capitale umano’. Con l’istruzione si dovrebbe permettere anche l’accumulazione di un altro capitale, il capitale indispensabile per esercitare al meglio il proprio ruolo di cittadini in una società democratica.

Il filo del nostro discorso che si dipanerà dal n. 101 in poi sarà saldamente legato a tutto questo, che rappresenta la nostra breve storia, una storia cui hanno contribuito i tanti autori, esterni alla redazione, che hanno scritto sul Menabò, la segreteria, i partecipanti ai nostri dialoghi e i nostri lettori e soci che vogliamo, tutti, ringraziare.

Continueremo a occuparci di disuguaglianza, istituzioni, democrazia e giustizia sociale. E presteremo attenzione crescente alle evoluzioni della tecnologia con tutti i suoi impatti, al ruolo della ‘voice’ nel favorire il miglior funzionamento della democrazia, alla possibilità di affiancare allo stato e al mercato comunità virtuose in grado di contribuire, integrando culture diverse e sperimentando forme nuove di partecipazione, alla formazione di una nuova cittadinanza e, soprattutto, di avvicinare sempre più i due termini che stanno un rigo sopra il nostro Menabò: etica e economia.

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