ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 190/2023

3 Aprile 2023

Il bisogno (disperato?) di politica per la gente comune

Marcello Basili e Maurizio Franzini raccontano di un dialogo con un loro amico reduce da un’esperienza in ospedale nel corso della quale ha avuto occasione di porsi varie domande sul funzionamento di alcuni servizi essenziali. A sollecitarlo è stato il colloquio con un’infermiera, madre di tre figli, che gli ha illustrato con grande precisione alcuni problemi, che la gente comune come lei incontra nella sanità, nella scuola e per la casa. Partendo da questo colloquio Basili e Franzini sostengono che vi è un gran bisogno di politica per la gente comune.

Giacomo, un nostro amico, alcune settimane fa si è dovuto sottoporre a un intervento chirurgico in un policlinico universitario. Un intervento sofisticato eseguito, ci ha detto, da un medico con qualità e competenze eccezionali che gli ha permesso di risolvere il suo problema in pochissimi giorni. Nel dirlo Giacomo tradiva un certo orgoglio per essere cittadino di un paese che sa offrire una sanità pubblica di eccellenza. Ci diceva di tempi di attesa fisiologici, di una struttura efficiente, di personale disponibile e attento. Ma solo alla fine ci ha rivelato che lui aveva seguito il percorso dei solventi, cioè di quei cittadini in genere assistiti da una assicurazione, costosa e spesso molto costosa, che possono ricorrere a un canale parallelo a quello del Sistema Sanitario Nazionale. Sapendo dei nostri interessi di ricerca Giacomo ci chiedeva: ma perché di quelle eccellenti capacità sanitarie e organizzative non devono poter usufruire tutti? Prima che potessimo dirgli di quanto miserevoli siano le possibili risposte a quella domanda, Giacomo ci ha incalzati: “ma voglio dirvi cosa ho appreso della vita della gente comune in quel mio, posso dirlo?, breve e straordinario soggiorno in ospedale”. 

E ha iniziato a raccontarci del suo incontro con Ana, un’infermiera nata in un paese del Sud dell’Unione che per amore si è trasferita in Italia. Con il marito, italiano, condivide la professione di paramedico nello stesso nosocomio. Ana ha raccontato a Giacomo delle condizioni in cui operano le nostre eccellenze mediche: turni di lavoro massacranti, che si protraggono fin oltre le 12 ore, personale ridotto al minimo che corre incessantemente da un paziente all’altro che arriva stremato a fine giornata, specializzandi e strutturati con turni pesanti e senza prospettive certe di carriera. Mentre Giacomo raccontava, pensavamo all’università italiana dei ranking e degli impact factor ma anche dei contratti a tempo determinato e a progetto; alla sanità che annaspa tra la riduzione del valore reale dei finanziamenti e l’incapacità di offrire prospettive ai medici, condannandoli a scegliere tra restare in questo paese – senza nessuna certezza sui tempi delle carriere, con stipendi inaccettabili e turni incompatibili con una qualsiasi forma di vita normale – o abbandonare ed emigrare. E quale sia, sempre più di frequente la scelta, lo dimostra inequivocabilmente il numero e l’età media dei professori ordinari nei reparti e a cascata di tutte le altre figure del nostro sistema sanitario e formativo. 

Ma, tornando ad Ana, è inevitabile che la sua attenzione fosse rivolta soprattutto al personale paramedico. In modo forse non disinteressato ma certamente realistico, Ana ha descritto a Giacomo quel mondo come popolato di persone gentili e pazienti, nonostante turni pesanti e stipendi da fame, con un grande senso della solidarietà e una strabordante empatia verso i malati. ‘ Perché deve essere così?’ ci e si chiedeva Giacomo e prima di ogni possibile risposta riprendeva a parlare con le parole di Ana. Che, significativamente, si spostavano dalla sanità alla casa. 

Ana, con suo marito, cercava casa e la cercava nei pressi del luogo di lavoro, costretta dalla turnazione non coordinata su 24 ore, dal fatto che lei e suo marito lavorano in reparti diversi e, soprattutto, sono genitori di tre bambini in età scolare. Non avendo la possibilità di acquistare una casa si è rivolta al mercato delle locazioni imbattendosi in due problemi: il costo degli affitti e l’assenza nelle nuove costruzioni di abitazioni per famiglie numerose, cioè con un numero di vani sufficienti a ospitare famiglie di 5 persone, che erano la norma negli anni ’60. Ana ha raccontato di come di fronte all’obiezione sulla metratura insufficiente delle nuove abitazioni, piccole, con soffitti alti il minimo consentito, senza corridoi e con camere minuscole e a scatola cinese, si sia sentita rispondere dall’agente immobiliare: “ne affitti due”. Mentre Giacomo raccontava tutto questo riflettevamo sul fatto che il tema del costo dell’affitto è completamente assente dall’agenda politica italiana. Se si eccettua qualche episodica enunciazione di principio sulla necessità dell’ housing sociale, forse per salvarsi l’anima, nessuno si è posto il problema di cosa avrebbero comportato la crisi e l’inflazione per quella quota di popolazione italiana che vive in affitto. E, tornando a casa, siamo andati a riguardarci alcuni dati: a dicembre 2022 i canoni locativi per abitazioni, in forza dell’adeguamento ISTAT, sono cresciuti dell’11%, per quelle a canone libero, e dell’8% per quelle a canone concordato (che sono il 29% del totale delle locazioni private). Va ricordato che questi aumenti non si applicano alla PPAA, in forza di clausole contrattuali. 

Abbiamo cercato parziale consolazione al disagio che ci ha provocato la consapevolezza di quanto penoso possa essere questo disagio nella tesi, ripetuta di frequente, che in Italia siamo tutti o quasi proprietari di casa. Ma da un’audizione dell’Istat al Ministero del Lavoro nel 2021 circa il sovraffollamento delle case italiane, emerge che “18,2 milioni di famiglie, pari al 70,8% del totale sono risultate proprietarie dell’abitazione in cui vivono, mentre 5,2 milioni (20,5%) vivono in affitto. Le famiglie proprietarie di un’abitazione e che pagano un mutuo rappresentano, invece, il 12,8% del totale (circa 3,3 milioni)”. Inoltre, secondo i dati Eurostat (2020) la percentuale di individui che vivono in affitto o a titolo gratuito, è pari in Italia al 24,9%. L’affitto è più diffuso tra le famiglie meno abbienti. Nel quinto di famiglie più povero (quelle cioè con un reddito equivalente inferiore al primo quintile), la percentuale di quelle in affitto è pari al 31,8%; tale valore scende al 24,5% nel secondo quinto, rimanendo al di sopra della media nazionale. La percentuale si riduce all’11,3% tra le famiglie più benestanti (quelle che appartengono all’ultimo quinto di reddito equivalente).

Inoltre a vivere in affitto sono le famiglie di più recente costituzione, il 47,8% delle persone sole con meno di 35 anni e il 39,9% delle giovani coppie senza figli (quando la donna ha meno di 35 anni di età). Percentuali elevate si osservano anche tra le persone sole di 35-64 anni (33,2%), tra le famiglie monogenitoriali con figli minori (30,8%) e tra quelle con almeno tre minori (33,7%). Vive, infine, in questa condizione il 35,5% delle famiglie in cui il principale percettore di reddito è disoccupato e il 68,5% delle famiglie con stranieri (quota che sale al 73,8% per le famiglie composte da soli stranieri, dove poco più di una famiglia su 10 vive in una casa di proprietà). Insomma, non abbiamo trovato consolazione.

Ma torniamo al racconto di Giacomo. Ana lo ha portato dalla casa alla scuola. Gli ha raccontato di quanto incidano sul loro tenore di vita le spese per i libri di testo dei suoi tre figli, che, peraltro, nel suo paese di origine sono gratuiti. Ana diceva: ‘voi avete l’obbligo scolastico, ma lasciate sulle famiglie l’onere di sostenere i costi dell’istruzione’. Uno di noi due tirò fuori dalle sue reminiscenze una frase che aveva letto sul sistema francese: “voi portate la penna, al resto ci pensa lo Stato” e questo fino all’università. 

Da noi le famiglie ricevono aiuti sulla base dell’ISEE. Ora tutti sappiamo qual è il valore indicativo e descrittivo dell’ISEE e, sapendolo, dovremmo chiederci: perché non un provvedimento generale che garantisca un diritto universale? 

Ci siamo presi la briga di fare una semplice moltiplicazione e abbiamo scoperto quanto costerebbe dare i libri gratuiti almeno a tutti gli studenti delle scuole medie inferiori, che nel 2022 erano poco più di 1.612.000. La spesa media per i soli libri di testo calcolata per difetto è di meno di 200 euro annui per ciascun alunno cosicché garantire a tutti gli studenti libri gratuiti costerebbe poco più di 300 milioni di euro announa somma di certo alla portata del settimo paese più ricco al mondo. 

Ana ha raccontato di un altro suo piccolo, ma grande, problema. Nei mesi estivi, quando le scuole sono chiuse, si organizzano i cosiddetti “centri estivi” però in strutture prive di aria condizionata. Palestre fatiscenti e aree giochi spesso inagibili o impraticabili, locali che diventano forni perché, nonostante le promesse e i solenni impegni dei vari ministri che si sono succeduti a Viale Trastevere, anche dopo il Covid-19 nulla è cambiato. Ana e molti altri come lei devono quindi rivolgersi ai privati al costo di almeno un centinaio di euro a settimana a bambino. A questo punto, senza volerlo, ci siamo trovati di fronte a una domanda ‘spontanea’. 

 Abbiamo regalato 110 miliardi di euro per le facciate e ristrutturazioni attraverso i vari bonus edilizi, senza nessun criterio di selezione e favorendo, se mai ce ne fosse bisogno, i ceti più abbienti, basta infatti girare nelle città e scoprire dove si sono concentrati gli interventi di ristrutturazione. La motivazione alta di questo sciagurato provvedimento è stata quella di riavviare l’economia, attraverso il cosiddetto moltiplicatore keynesiano della spesa. Possibile che nei vari ministeri non ci sia nessuno che si sia ricordato di quanto è scritto nella Teoria Generale di Keynes e riportato in qualsiasi manuale, e cioè che il moltiplicatore avrebbe funzionato lo stesso se gli interventi si fossero diretti verso scuole e ospedali? Anzi alla fine avrebbe funzionato meglio: in forza delle leggi contro la corruzione e il riciclaggio, avremmo avuto più controlli, meno truffe, meno sprechi e minore speculazione, quella che ha triplicato il prezzo dei materiali edilizi. Soprattutto avremmo migliorato lo stato dell’edilizia scolastica e degli ospedali. E dato un segnale di quali siano le istituzioni che più contano. 

E qui è pertinente la domanda delle 100 pistole fattaci, in altra occasione, da un amico che lavora in una società di gestione immobiliare: perché la maggior parte delle persone coinvolte nelle ristrutturazioni ha preferito accedere allo sconto in fattura, con costi bancari e amministrativi superiori al 30% dell’importo, e non alle detrazioni fiscali complete? Ci verrebbe da dire: qualcuno ci aiuti a capire (ma non deve essere tanto difficile)! 

E ci aiuti anche a capire, perché, come diceva Giacomo, tutti (o quasi) i politici e tutti (o quasi) gli economisti sembrano vivere in un mondo che non contempla nessuna Ana, un mondo spopolato di gente comune. E. aggiungeva desolato, “forse non è così. In quel loro mondo Ana c’è….. ed è anche peggio.” 

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