Il concordato preventivo biennale, Cpb, è una telenovela dalle infinite puntate. Il principale, per quanto non ultimo, colpo di scena si è avuto però allo scadere del termine del 31 ottobre, entro cui i contribuenti dovevano decidere la propria adesione.
Lo strumento si propone di portare, progressivamente, seguendo un approccio di persuasione, piuttosto che di repressione, al recupero dell’evasione di lavoratori autonomi e piccole imprese (con riferimento sia a chi rientra nel regime forfetario, noto come flat tax degli autonomi, sia a chi è incluso nel regime degli Isa – Indicatori di affidabilità fiscale – che riguarda contribuenti con fatturato fino a 5 milioni).
Ebbene, subito dopo la scadenza di ottobre, il viceministro Leo, che del Cpb è l’ideatore, ha fornito i primi dati relativi alle adesioni e al gettito per il 2024 e il 2025.
Quanto alle adesioni: poco più di 500 mila contribuenti, di cui 400 mila Isa (il 15% di 2,8 milioni) e 100 mila forfetari (il 5,9% di 1,7 milioni). Quanto al gettito: l’“emersione” di circa 8,5 miliardi di base imponibile delle imposte dirette (Irpef e Ires) e 6,3 miliardi dell’Irap avrebbe fruttato un gettito cumulativo di circa 1,3 miliardi: 425 milioni per il 2024 e 865 per il 2025.
Non un risultato esaltante se si pensa che, stando alle risultanze della Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva. Anno 2024, presentata dal Mef nel settembre scorso, al gettito potenzialmente dovuto da questi contribuenti mancano più di 30 miliardi all’anno.
Ma il problema vero è che il viceministro Leo omette di fornire le informazioni essenziali su cosa sono questi 1,3 miliardi: semplice gettito incrementale rispetto all’anno di riferimento, il 2023, o recupero – e come calcolato – dell’evasione?
Assieme ai deputati Pagano e Merola, ho interrogato il 13 novembre scorso il ministro Giorgetti a questo proposito nel Question Time in aula alla Camera: la risposta non è arrivata.
La cosa non sorprende: i dati forniti dal viceministro non hanno e non possono avere nessun crisma di ufficialità, dal momento che, come anche il ministro Giorgetti ha dovuto ammettere, per stabilire se il Cpb ha prodotto un qualche recupero di evasione sarà necessario che il Mef verifichi “che sussista una effettiva maggiorazione rispetto alle risorse scontate nei tendenziali”.
In altri termini: parte del gettito dichiarato in più, rispetto al 2023, sarebbe stata incassata anche in assenza di concordato, e non può quindi essere considerata recupero dell’evasione.
Il dubbio ancora più radicale è però che l’operazione, anziché determinare un incremento delle entrate pubbliche, si sia tradotta, per molteplici ragioni, in una perdita secca per l’erario.
Infatti, alle prime avvisaglie di una forte resistenza da parte dei contribuenti ad aderire al Cpb, sollecitato dalla sua stessa maggioranza, e seguendo i suggerimenti dei commercialisti che guidano e consigliano i loro assistiti verso la scelta per loro più conveniente, il governo ha via via cercato di renderlo sempre più appetibile. Così facendo, ha però gravemente compromesso la possibilità di farne uno strumento di recupero dell’evasione.
Vediamo, in dettaglio, i più importanti passaggi.
1. La possibilità di adesione, inizialmente riservata a contribuenti con un voto Isa elevato (almeno pari ad 8), è stata riconosciuta anche a quelli con voti molto bassi, considerati quindi dal fisco gravemente inaffidabili. È però difficile costruire una proposta di imponibile da concordare per questi contribuenti, coerente con un voto di piena affidabilità, pari a 10, e che, al tempo stesso, non sia tanto più alto di quello che hanno sempre dichiarato da scoraggiarne l’adesione. L’allargamento della platea potrebbe avere invece attirato quei soggetti Isa (171.000 secondo i dati del 2021) che già oggi, per evitare accertamenti, cercano di migliorare il loro voto basso con adeguamenti in dichiarazione dei redditi. Lo fanno per ammontari significativi: 2,2 miliardi di base imponibile nel 2021. Con il Cpb potrebbero avere trovato un modo più conveniente per mettersi al sicuro.
2. Che possa essere un modo più conveniente è ancora più probabile se si ricorda che, per il 2024, l’incremento di imponibile proposto al contribuente rispetto a quello da lui dichiarato nel 2023, è pari al solo 50% di quello stimato dal fisco come necessario per portarlo alla piena affidabilità.
3. Al contribuente è stata riconosciuta la possibilità di applicare al reddito incrementale (pari alla differenza fra il reddito concordato e quello dichiarato nel 2023) un’imposta sostitutiva molto bassa, con aliquote comprese fra l’8 e il 12% per i contribuenti Isa, in relazione al loro grado di affidabilità fiscale, e pari al 3 o al 10% per i forfetari, a seconda che la loro aliquota nella flat tax sia del 5 o del 15%. Ciò comporta una perdita secca di gettito su tutta la parte di reddito incrementale che sarebbe comunque stata dichiarata dai contribuenti e tassata ad aliquote anche sensibilmente più alte.
4. Il contribuente che aderisce al Cpb paga solo sul reddito concordato, ma deve dichiarare anche il suo reddito effettivo, perché sulla base di questo verranno poi costruite le proposte di Cpb per gli anni successivi. Ma se nasconde al fisco fino al 30% di tale reddito non incorre in nessuna sanzione. Questo vale anche per il reddito dichiarato nel 2023. Ed è stato deciso quando i termini per la dichiarazione e il versamento dell’imposta di quell’anno erano ancora aperti. Ciò potrebbe avere avuto effetti negativi sulle imposte versate a saldo nel 2024.
5. All’adesione al concordato è stata associata la possibilità di aderire a un ravvedimento operoso, forfetario, che permette di sanare l’evasione fiscale dei cinque anni pregressi, dal 2018 al 2022. Questa operazione ha un costo per l’erario, valutato, cumulativamente, in quasi un miliardo di euro dal 2025 al 2029. Un costo di cui tenere conto, e che sarà solo in parte ridimensionato dalla bassa adesione al Cpb.
6. L’insieme di questi elementi ha sicuramente favorito calcoli di convenienza che potrebbero avere portato ad una adesione selettiva da parte dei contribuenti per i quali la proposta di concordato risultava con più probabilità vantaggiosa. Tanto più vantaggiosa per loro quanto più onerosa per lo Stato. La necessità di dovere scommettere sul proprio reddito per il 2025, in un periodo di forte incertezza, può avere comprensibilmente trattenuto dall’aderire un numero non indifferente di contribuenti. Non così i forfetari, tenuti a impegnarsi per il solo 2024, i quali, presumibilmente, al 31 ottobre 2024 sono stati in grado di effettuare un calcolo di convenienza molto preciso.
7. Con il d.l.167 del 14 novembre scorso è stata disposta una riapertura dei termini, che permetterà ai soli soggetti Isa che hanno presentato la dichiarazione dei redditi entro il 31 ottobre 2024 di aderire al Cpb, se non lo hanno già fatto, fino al 12 dicembre 2024. Una mossa quasi disperata, dettata dall’evidente flop dell’operazione messa in campo. Nonostante sia stata accompagnata dall’invio di ben 2,2 milioni di lettere dell’Agenzia delle entrate che illustrano a dolci note tutti i benefici che l’adesione potrebbe comportare (premialità Isa, imposta sostitutiva ad aliquote contenute, sanatoria per i redditi dichiarati dal 2018 al 2022), è poco probabile che questa riapertura dei termini cambi significativamente il quadro delle adesioni. È certo semmai che ridurrà l’alea della scommessa e spingerà quindi a maggior ragione all’adesione i soggetti che con più probabilità hanno da guadagnarci.
8. Oltre alle carote, si è cercato di utilizzare anche il bastone. La minaccia di un aumento dei controlli su chi non aderisce è stata rafforzata da ultimo con un inasprimento delle sanzioni accessorie (d.l. 113/2024). È stata poi lanciata una campagna di comunicazione centrata su uno spot, abbastanza stucchevole, in cui l’evasore fiscale, dipinto come un soggetto che mangia ostriche alle spalle dei contribuenti onesti, viene prelevato all’uscita del ristorante dalla Guardia di finanza. Minacce e spot che non sembrano avere sortito effetti. Non solo perché il viceministro Leo dichiarava in conferenza stampa che gli accertamenti non si riescono a fare. Non solo perché venivano nel frattempo approvati condoni di vario genere e una riforma della riscossione alquanto blanda nelle sue conseguenze, con possibilità di rateizzazioni, anche in assenza di comprovata difficoltà economica, che potranno arrivare fino a 10 anni. Ma anche perché, contemporaneamente, sia alla Camera che al Senato, venivano presentati emendamenti della maggioranza volti a estendere la rottamazione delle cartelle esattoriali a quelle emesse fino al 31 dicembre 2023. Segnali che rendono poco credibile la volontà di contrastare l’evasione fiscale.
Nonostante, sulla base delle vicende ricordate, sia improbabile ritenere che dall’operazione Cpb possano arrivare, anche dopo la riapertura dei termini, entrate per lo Stato come conseguenza di un recupero dell’evasione, è comunque utile ricordare brevemente come e quando queste entrate possano essere utilizzate.
Per quanto riguarda il come, il decreto legislativo n. 13 del 2024, istitutivo del Cpb, all’articolo 40 ne destina in via prioritaria il gettito alla riduzione delle aliquote Irpef.
Per quanto riguarda il quando: finalizzazioni permanenti, come una revisione delle aliquote Irpef, richiedono di valutare non solo, come si è detto, quanto delle entrate sia imputabile a recupero di evasione, ma anche se tale recupero possa considerarsi strutturale. La metodologia per effettuare questo tipo di valutazione, indicata nella l. 178 del 2020, è complessa e richiede un periodo di osservazione di tre anni. Gli esiti sono riportati annualmente nella citata Relazione sull’economia non osservata.
Il ministro Giorgetti ha confermato, nel Question time alla Camera, che questa resta la normativa di riferimento. Ne discende che le ansie di spartizione del bottino di molti membri di maggioranza dovrebbero sopirsi, a meno che non si intenda, ancora una volta, percorrere scorciatoie per ottenere consensi, riducendo le imposte senza adeguata copertura, creando così le premesse per ulteriori tagli su capitoli di spesa rilevanti quali sanità e istruzione, come avvenuto nella manovra di bilancio di quest’anno.