Il Garigliano, i ponti, Etica e Economia. In ricordo di Luciano Barca

Nel 1990 Luciano Barca fece nascere Etica e Economia e poco dopo iniziarono le pubblicazioni, naturalmente cartacee, del Menabò. Maurizio Franzini, che a Etica e Economia arrivò nel 1996, cerca di dipanare la matassa dei ricordi del suo rapporto con Luciano nei 15 anni in cui hanno collaborato nell’Associazione. I libri, i convegni, i cicli di lezione, gli incontri a porte chiuse e i giovani. E il suo sempre giovane tentativo di costruire ponti.

Non so spiegare bene il perché, ma uno dei primi ricordi che affiora alla mia mente pensando a Luciano Barca sono le due righe che chiudevano una sua mail di aprile del 2008: ‘il Garigliano è diventato troppo lontano per me a piedi e troppo vicino per venire in taxi. Ne cercherò un altro’. Sentirgli dire che il Garigliano era diventato troppo lontano per raggiungerlo a piedi deve avermi fatto rendere conto, improvvisamente, dell’età di Luciano. Quasi 88 anni, allora.

Il Garigliano, naturalmente, non era il fiume ma il ristorante dove ci incontravamo con cadenza piuttosto regolare a pranzo da diversi anni, direi dal 2002, quando la sede di Etica e Economia da Campo de’ fiori si spostò in zona stazione Termini, in un appartamento che mi è piuttosto familiare perché è quello dove sono nato.

Mai avevo considerato Luciano una persona di quella età e mai lui mi aveva dato occasione per farlo, malgrado qualche precedente ‘acciacco’. Quelle due righe, poi, chiudevano un lucidissimo messaggio in cui, correggendo un articolo comparso qualche giorno prima su La Repubblica, mi diceva, con tanto di puntualissimo elenco di nomi, come era andato effettivamente il suo incontro a Milano, nel 1974 o 75, da responsabile della Commissione economica del PCI, con i Dirigenti democratici – la questione di cui si occupava quell’articolo.

Luciano, se mi è consentito dirlo, è stato il giovane più longevo che io abbia conosciuto. Era instancabile nel suo impegno per Etica e Economia; era sempre munito di motivazioni per un nuovo progetto e dava (o si sforzava di dare) l’impressione che nella sua vita il futuro contasse per lui ancora molto di più del passato. Ho pensato, talvolta, che avesse in qualche modo preso le giuste misure con il suo straordinario passato grazie a quel potente ‘equilibratore’ che può essere un diario, un diario tenuto come lo ha tenuto lui, e che ora costituisce una lettura preziosa per chiunque voglia farla.

Non mi viene facile ammetterlo, ma nei circa 15 anni in cui ci siamo regolarmente frequentati abbiamo parlato molto poco del suo passato. Ci eravamo incontrati nel 1993 in occasione di un convegno sulla corruzione e dal 1996 avevo iniziato, su sua richiesta, il mio impegno a Etica e Economia. In tutti quegli anni non mi sono certo mancate le curiosità e a lui di tanto in tanto è sfuggito qualche ricordo, magari un po’ urticante, e qualche giudizio, non sempre elogiativo. Ma il fatto è che lui mi portava sistematicamente altrove: alle mille cose che aveva in mente per Etica e Economia, a come coinvolgere i giovani, alla discussione sui temi dell’oggi che più lo interessavano e che regolarmente intrecciava con l’attività dell’Associazione. I nostri scambi di mail sono stati dominati da frasi del tipo ‘Dobbiamo vederci perché devo parlarti di un progetto’… ‘Scusami ma non riesco prima della prossima settimana’.. ‘va bene, intanto ti anticipo di cosa si tratta’… E non sto a fare l’elenco delle cose fatte e pensate e di quanto, alcune di esse, fossero impegnative. Ma mai abbastanza da scoraggiarlo o preoccuparlo. Credo che in tutto questo c’entrino qualcosa il sommergibile Ambra dei suoi venti anni e l’esperienza di partito.

Non posso però tralasciare di ricordare alcune di quelle molte cose, iniziando dai due libri che abbiamo curato assieme. Il primo, pubblicato da Il Ponte editore nel 2001, si chiama La cittadinanza difficile. Diritti e welfare. Naturalmente il titolo lo scelse lui e volle che ciascun capitolo trattasse un diritto che per lui era di cittadinanza: alla salute, all’ambiente, all’alimentazione sana, al lavoro, all’assistenza, all’istruzione, all’informazione, alla giustizia. A quel libro – per il quale aveva trovato i necessari finanziamenti – hanno collaborato 15 studiosi che Luciano ha saputo coordinare anche attraverso l’organizzazione di momenti pubblici di discussione.

Nell’Introduzione condensammo alcune delle conclusioni a cui eravamo giunti discutendo di un tema che era molto caro a entrambi: quello dei costi e dei benefici del Welfare come sistema di tutela dei diritti. Il comune punto di partenza era il disagio a veder trattato, in modo sempre più frequente, il Welfare come una fonte di soli costi. Quello che chiamavamo l’approccio finanziario al Welfare. E nell’Introduzione scrivemmo qualcosa che a me pare – ma non sono certo il più adatto per dirlo – di rilievo anche in questi nostri tormentatissimi giorni: “Molto spesso i benefici del Welfare non sono visibili, almeno nell’immediato. E’ questo, in generale, il caso della protezione contro i rischi: ex ante, si fatica a individuare l’utilità dei costi sostenuti perché si tende a sottovalutare la probabilità degli eventi negativi; ex post, se l’evento negativo si manifesta, l’utilità dei costi si manifesta nella sua pienezza. Al di là di ciò, deve essere tenuto presente che la riduzione del rischio (intesa come creazione di un ambiente in cui molti individui percepiscono una maggiore protezione rispetto ad eventi negativi futuri, tra i quali rientrano le malattie, la disoccupazione e i disastri ambientali) può modificare di per se stessa i comportamenti in senso più favorevole anche all’ottenimento di migliori risultati economici.”

Il secondo libro, pubblicato da Il Mulino nel 2005, si chiama Legittimare l’Europa. Diritti sociali e crescita economica, e raccoglie i contributi di oltre 20 autori. Anche in questo caso un faticosissimo lavoro di ricerca dei finanziamenti, di progettazione e coordinamento, che Luciano condusse con il suo giovanile entusiasmo. E anche questo tema era di quelli centrali nelle sue, e nelle nostre, riflessioni. Come disegnare un’Europa capace di conciliare diritti sociali e crescita economica? La domanda ci suscitava qualche preoccupazione, che purtroppo ha resistito al tempo trascorso da allora : ‘spesso si ha la sensazione che per molti il sogno europeo sia soltanto il mercato unico…(ma) l’accesso a una vita dignitosa non passa soltanto per il mercato’.

E poi i convegni, i cicli di lezioni, le discussioni a porte chiuse. Tra queste ultime vorrei ricordare, per il suo evidente significato, quella del giugno1997 presentata da Luciano come una riunione privata tra amici per discutere il seguente tema: “Un partito per la sinistra”. E nella mail di invito scriveva: “Su richiesta si precisa che non si discuterà di coalizioni pur necessarie, di alleanze e di Ulivo, ma della necessità di ricostruire un partito italiano della sinistra che si collochi in Europa nell’area socialdemocratica”.

Tra i cicli di lezioni vorrei menzionare l’ultimo, tenuto tra il 2008 e il 2009, sul tema della crisi allora in atto e di come porvi rimedio. Mi fa piacere ricordare soprattutto che il primo relatore fu Marcello de Cecco.

E non posso tacere gli ultimi contributi di Luciano al Menabò, che si possono consultare sul sito del Menabò e che documentano quali fossero le questioni che più lo occupavano anche nel periodo finale della sua vita. In particolare vorrei citare l’ultimo, di fine settembre 2012 quindi poco più di un mese prima della sua morte. Si chiama Come svegliare gli animal spirits e muove dalla contestazione dell’idea che dalla crisi ancora in atto si potesse uscire con dosi aggiuntive di liberismo. Ma in linea con un pensiero che ebbe modo di consolidare negli anni non ritiene che la soluzione consista esclusivamente in un generico statalismo. Il richiamo storico è all’impatto innovativo, anche sul piano istituzionale, delle lotte dei braccianti e dei mezzadri nell’Italia del secondo dopoguerra. Della necessità di liberare il potenziale di progresso delle forze sociali Luciano è sempre stato convinto e gli ultimi scritti lo confermano, anche quelli che riguardano il ruolo del sindacato. Per uno come lui convinto dell’assoluta necessità di costruire ponti, individuare le sponde giuste era cruciale e una di queste era certamente il sindacato, ma non qualsiasi sindacato.

Quella del costruttore di ponti è una bellissima metafora. Rimanda al dialogo, al rispetto, alla curiosità e forse anche alla capacità di parlare lingue diverse ma non per dire cose diverse sulle due sponde del fiume. Trovo delizioso come Luciano abbia difeso l’uso di chiamarsi compagni tra socialisti e comunisti dal tentativo di vietarlo:  ‘una cosa è la libertà di usare le parole che ci piacciono e quando ci piacciono (non tutti erano “compagni di scuola”, alcuni erano “uno che sta in classe con me”) e altra cosa è imporre o proibire. Io sono onorato di essere stato chiamato “compagno” da Togliatti o Pietro Nenni o Ho Chi Minh, ma sono altrettanto onorato di essere stato chiamato “amico” da Aldo Moro. E non mi sognerei mai di rinunciare all’una o all’altra parola’. Appunto, di qua e di là del ponte.

E a proposito di ponti, avverto un forte rammarico. Quello di non avergli rivolto due semplici domande: ma perché è così difficile costruire ponti? Perché in alcune importanti occasioni non sei potuto andare oltre i primi piloni? Qualche ipotesi su cosa mi avrebbe risposto riesco a farla e sono ipotesi che mi fanno apparire ancora più straordinario che egli non abbia smesso fino all’ultimo di interpretare il ruolo del giovane costruttore di ponti. Magari non su fiumi maestosi, ma dove era possibile farlo. E Etica e economia era uno di quei luoghi. Siamo onorati di essere sul ponte che Luciano ha iniziato a costruire.

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