ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 194/2023

31 Maggio 2023

Il lavoro da remoto e la settimana corta: soluzioni complementari

Emiliano Mandrone nota che ormai vi sono molte possibilità per organizzare il lavoro in modo da conciliare esigenze produttive e istanze individuali. Da un lato, con il lavoro da remoto, la settimana corta, il part-time, ecc. si può modulare l’impiego della forza lavoro in base alle caratteristiche dell’impresa e alla mansione svolte. Dall’altro, la tecnologia può favorire comunque la crescita della produttività. E’ però necessaria, sostiene Mandrone, la transizione verso ambienti lavorativi sensibili, innovativi, smart che richiede un’adeguata elaborazione culturale.

Il lavoro è il perno intorno al quale ruota la nostra esistenza e per questo il profondo cambiamento di cui è oggetto porta con sé molte domande. Le città, le famiglie, le relazioni, le imprese, i contratti stanno cambiando e ciò provoca ansia, insicurezza, timore. È comprensibile. Tuttavia, dobbiamo distinguere tra adattamento a cambiamenti improvvisi e transitori come la pandemia o la crisi e nuovi equilibri in seguito a una evoluzione significativa degli assetti sociali, produttivi e territoriali; un vero e proprio cambio di paradigma. 

La diffusione del lavoro da remoto ha comportato una nuova segmentazione nell’occupazione tra impieghi telelavorabili (impiegati, professionisti, tecnici, servizi avanzati) e non telelavorabili (operai, camerieri, artigiani, attività di cura). Per mitigare questa polarizzazione si è pensato di ibridare parte delle mansioni (redistribuire le attività telelavorabili) per rendere possibile a tutti i lavoratori di erogare da remoto parte della prestazione, ma le insidie (contrattuali, professionali, organizzative) di questo approccio sono spesso insormontabili. 

Servono soluzioni dedicate alle specializzazioni produttive, sia infra sia intra settoriali: se da un lato alcuni settori hanno produzioni più telelavorabili, dall’altro, all’interno di un settore ci sono fasi produttive con vincoli di presenza più o meno stringenti (ad es. l’amministrazione vs la produzione). 

Nella figura 1 si vede per settore economico e per dimensione di impresa l’incidenza del lavoro reso da remoto nel periodo pandemico (quando massimo è stato il suo utilizzo). Inoltre, si distingue tra white collar ovvero addetti a mansioni più legate alla componente dirigenziale e tecnico-gestionale della azienda e blue collar intesi come personale esecutivo e addetti alla produzione. Più del 50% del lavoro dei white collar è stato svolto da remoto, in tutti i settori e per tutte le dimensioni d’impresa. Invece, i blue collar in alcuni settori hanno lavorato da remoto per quote trascurabili e comunque, mediamente, si sono attestati su livelli nettamene inferiori. 

Figura 1: Media lavoro da remoto per settore e dimensione d’impresa (addetti) per white e blue collar e % white collar 

Elaborazione dell’autore su dati Inapp Plus 2021

Pertanto, quello che appare evidente è che il lavoro è binario, ovvero la stessa mansione può essere erogata sia in presenza sia da remoto, e l’intensità e la combinazione delle modalità di erogazione varia nel tempo e nello spazio in funzione della specializzazione produttiva, dell’innovazione organizzativa e tecnologica, del ciclo economico, dell’ambiente lavorativo, del territorio… Questa segmentazione può generare tensioni, insofferenze, aspettative di cambiamento da governare. 

Tuttavia, in molti casi la prestazione è da erogare necessariamente in presenza e ciò pone il problema di come conciliare le istanze legittime di tutti i lavoratori con le necessità produttive. Si può far ricorso in maniera sinergica e complementare a varie forme di organizzazione del lavoro; ad esempio, al lavoro da remoto (particolarmente adatto al mondo dei servizi avanzati) si può affiancare la settimana corta (idonea agli impieghi tradizionali), andando oltre le modulazioni già presenti nell’ordinamento (part-time, lavoro stagionale). Tutto ciò, in una impresa, può permettere di comporre funzioni ad alto e basso livello di telelavorabilità. Ne avevamo parlato qui. Il lavoro da remoto e la settimana corta sono come le energie alternative: ci sono territori in cui soffia il vento e altri in cui splende il sole … Così le imprese e i lavoratori devono usare le modalità organizzative più adatte alla specializzazione produttiva ed alle proprie esigenze personali. Non c’è una soluzione unica: si devono utilizzare in maniera sinergica le modalità di erogazione più opportune nelle varie fasi lavorative. 

Peraltro, questa soluzione potrebbe anche favorire la conciliazione vita-lavoro, infatti il lavoro da remoto e la settimana corta sembrano non avere una connotazione di genere – come il part- time o i congedi familiari – e quindi non alimentano differenziali retributivi che comportano selezioni avverse a danno del partner più debole sul mercato. Per questo motivo potrebbero svolgere una funzione implicita di conciliazione in maniera neutrale. Tuttavia, ogni opzione organizzativa non va intesa come una scelta unilaterale, serve disponibilità e reciprocità tra impegni lavorativi e vita privata.

Per raggiungere un equilibrio Pareto-efficiente (ovvero che siano tutti più soddisfatti) è necessario un sistema di contropartite per compensare i disallineamenti che si verranno a creare. L’equilibrio dovrebbe realizzarsi attraverso una compensazione a favore di chi garantisce le istanze produttive incomprimibili, attraverso un sistema di premialità (meno ore, più salario, ecc.).

Occorre anche tenere presente che l’approccio a soluzioni multiple rischia di incontrare un limite di non facile superamento nella dimensione dell’impresa: una organizzazione piccola, infatti, non ha i margini operativi per applicare un assetto variabile nella utilizzazione della forza lavoro.

Stiamo comunque assistendo ai primi passi di un percorso lungo e complesso. Siamo ancora lontanissimi dal potenziale che la tecnologia consentirebbe: la propagazione delle innovazioni non è uniforme, e ci vorrà tempo perché sia metabolizzata in ogni attività e il sistema diventi realmente smart. Intanto, in vari paesi, si sperimentano soluzioni che possono aiutare a individuare e implementare la migliore combinazione in ciascuna circostanza. 

In Gran Bretagna c’è stata una sperimentazione su larga scala della settimana corta, con molte luci e qualche ombra. Anche da noi le parti sociali sono favorevoli ad esperienze controllate per individuare i punti deboli e quelli forti delle varie soluzioni.

In Germania, il sindacato IG Metall rappresenta 2 milioni di metalmeccanici. È autorevole e fa spesso da apripista nella contrattazione. Nel 2023 ha ottenuto un incremento salariale dell’8,5% per compensare l’inflazione al 7% e oggi rivendica la settimana corta a 4 giorni, passando da 35 a 32 ore, senza penalizzazione salariale. 

La maggiore Banca italiana, Intesa San Paolo già propone su un mix di remote working/4dayweek: lavorare in modo agilefino a 120 giorni all’anno, senza limiti mensili, con un buono pasto di 4,5 euro per tener conto delle spese sostenute da casa, una postazione fisica in ufficio, il diritto alla disconnessione oltre l’orario d’uffico e, congiuntamente, propone la settimana corta di 4 giorni da 9 ore lavorative a parità di salario, volontaria, compatibilmente con le esigenze produttive. E’ stata avviata una sperimentazione in 200 filiali. 

In alcuni cantoni della Svizzera, dove c’è piena occupazione, la settimana corta o la possibilità di lavorare da remoto sono offerti come benefits per attrarre forza lavoro più qualificata. Si potrebbe dire che il tipo di organizzazione del lavoro entra nelle funzioni di produzione, come un qualsiasi fattore produttivo.

E sono già iniziate le schermaglie tra chi è pro e chi è contro l’innovazione organizzativa, utilizzando argomenti diversi. Ci sono analisi che evidenziano i benefici che un periodo di non lavoro di tre giorni continuativi produce sulla salute psichica e fisica, sulle relazioni sociali e l’attività fisica. Poi ci sono studi che mostrano un incremento delle dipendenze (alcool, droga, farmaci) da lavoro da remoto-correlato, soprattutto tra coloro che lo praticano al 100%. Molte altre analisi verranno prodotte ma è bene capire se sono effetti causali o spuri. In altri termini: se il cambiamento fosse prodotto da una crisi sanitaria o politica o familiare questi effetti si sarebbero verificati ugualmente? 

Le resistenze al cambiamento sono molte. L’innovazione, in termini economici, è spesso distruzione creatrice. Schumpeter poneva la rottura del vecchio equilibrio come condizione per un nuovo equilibrio, più avanzato. Le resistenze, evidentemente, a questa modifica di assetti consolidati sono molte. Inoltre, la propagazione della tecnologia è asimmetrica nei settori perché la permeabilità dei sistemi organizzativi è eterogenea, l’adattabilità delle persone diversa, la cultura degli imprenditori all’innovazione ondivaga. Non stupisce questa dialettica accesa. Ogni volta che si rompe l’ordine costituito si fronteggiano forzeconservatrici e riformatrici. C’è sempre una fase di apprendimento dell’innovazione: cambiano le relazioni, le voci nei contratti, servono nuove occasioni di confronto. E si può prevedere che nasceranno nuovi servizi, impareremo a fare meglio le riunioni e a sfruttare opportunamente le occasioni in presenza… i giovani saranno fondamentali per realizzare il “new normal”.

Parafrasando gli Jarabe de Palo, si può dire che da che punto si guarda la riorganizzazione del lavoro tutto dipende. Il lavoro da remoto e la settimana corta per alcuni sono una occasione per decongestionare le città, rilanciare le aree interne, ridurre l’inquinamento, favorire la conciliazione, moderare gli spostamenti, ridurre i costi, aumentare l’efficienza generale. Per altri spiazzano gli investimenti, modificano costumi consolidati, riducono il controllo, la produttività, la creatività. Occorre approfondire le ragioni degli uni e degli altri e decidere cosa conta di più e cosa meno. Ma intanto tornano alla mente le parole di Ennio Flaiano, il quale durante il boom economico degli anni ’60, affermava sornione “siamo in una fase di transizione, come sempre!”

 

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