Il potere delle grandi piattaforme digitali e il caso Amazon

Andrea Coveri, Claudio Cozza e Dario Guarascio analizzano le determinanti del potere economico delle grandi piattaforme digitali, che non va inteso soltanto come potere di mercato, concentrandosi sul ‘caso Amazon’. Gli autori, basandosi su un loro più ampio lavoro, sostengono la tesi che la fonte primaria di quel potere vada individuata nella combinazione di quattro elementi: diversificazione settoriale, dominio di tecnologie chiave, frammentazione del lavoro e condizionamento dei governi.

Le grandi piattaforme digitali – i.e. le cosiddette MAMAA dall’acronimo recentemente coniato per identificare le principali piattaforme americane: Meta (Facebook), Amazon, Microsoft, Alphabet (Google) e Apple – hanno accumulato una mole di potere economico che non ha precedenti nella storia del capitalismo (un potere analogo caratterizza le grandi piattaforme digitali cinesi, tra le quali Alibaba, Baidu e Tencent). Amazon, con la sua ubiquità geografica (Cina esclusa), settoriale, digitale e fisica ne è l’emblema. Un potere che è visualizzabile da diverse angolature. Primo, la capitalizzazione: con un valore di 1.74 miliardi di dollari Amazon ha raggiunto una dimensione maggiore di economie quali la Spagna e si appresta a superare il Pil italiano (la Figura 1 illustra l’evoluzione del valore delle azioni di Amazon).

 

Figura 1. Evoluzione del valore azionario di Amazon, 2012-2020 (Fonte: Macrotrends)

 

Secondo, la ricchezza accumulata da chi è al comando: con un patrimonio netto pari a 197 miliardi di dollari, Jeff Bezos (fondatore e già CEO di Amazon) è terzo nella classifica globale dei miliardari stilata da Forbes in compagnia, tra i primi dieci, di altri otto fondatori, CEO e top manager di grandi piattaforme (Microsoft, Alphabet, Facebook). Terzo, i continui (e spesso fallimentari) tentativi di governi e autorità antitrust di contenere tale potere tentando, tra le altre cose, di sanzionare pratiche lesive della concorrenza (si veda Franzini e Guarascio in questo numero del Menabò) o di accrescere l’imposizione fiscale che grava su Amazon e sulle altre piattaforme. Quarto, il proliferare di conflitti politici e sindacali che vedono le piattaforme costantemente sotto accusa per i livelli di sfruttamento del lavoro, le discriminazioni e le politiche antisindacali (Amazon e Alphabet); la distorsione del dibattito pubblico e dei processi elettorali (Facebook e Twitter); l’impatto ambientale delle loro attività digitali.

Cosa spiega un potere così ampio e pervasivo? In realtà, la concentrazione di potere attorno alle grandi imprese innovative è un tratto caratteristico del capitalismo, sin dalle sue origini. Autori come Marx, Schumpeter e Hilferding riconoscono nei grandi oligopoli tecnologici e nei cartelli transnazionali che gli stessi tendono a costituire il motore fondamentale delle trasformazioni economiche, sociali e tecnologiche nonché la causa primaria di diseguaglianza, instabilità politica e guerre. In una certa misura, quindi, le piattaforme digitali costituiscono una evoluzione, tecnologicamente e organizzativamente peculiare, delle grandi concentrazioni capitalistiche che, dalla seconda metà dell’800 in poi, hanno attirato l’attenzione degli economisti. Nulla di nuovo, dunque? Non proprio. Alcune importanti discontinuità consentono alle odierne piattaforme di controllare e condizionare a proprio vantaggio le azioni di lavoratori, consumatori, fornitori, competitori, governi in modo significativamente più intenso rispetto a quanto riuscivano a fare le grandi imprese multinazionali del secolo passato (si veda Ietto-Gillies in questo numero del Menabò).

Per cogliere tali discontinuità, tuttavia, è necessario andare al di là di una concezione del potere economico ristretta al solo potere di mercato. Le analisi che spiegano la concentrazione nei mercati digitali e il potere di mercato delle piattaforme come risultato di esternalità dal lato della domanda (i.e. l’utilità che i consumatori traggono e dunque la disponibilità a pagare cresce al crescere del numero di utenti che acquistano lo stesso bene/servizio) ed effetti rete a-più-lati (i.e. l’utilità tratta dagli agenti che sono da un lato del mercato, ad esempio i consumatori che si rivolgono al marketplace di Amazon, cresce all’aumentare del numero di agenti presenti dall’altro lato, ad esempio le aziende che utilizzano il marketplace di Amazon per commercializzare i loro prodotti, e viceversa) offrono spunti molto utili. Questi meccanismi sono indubbiamente rilevanti per spiegare il successo e la rapidità di espansione delle maggiori piattaforme. Si tratta però di meccanismi che caratterizzano molte altre attività economiche (ad esempio, settori quali l’hardware, il software o le carte di credito) e che, in quanto tali, non sono sufficienti per comprendere appieno il potere di cui godono oggi le grandi piattaforme.

In un lavoro di recente pubblicazione, abbiamo tentato di identificare le cause del potere delle grandi piattaforme facendo riferimento a un particolare filone di analisi, i.e. la teoria del Capitale Monopolistico (tra gli autori principali, si ricordano Baran, Cowling, Sweezy e Sugden), che pone l’accento non sulle relazioni di mercato per come esse sono concepite dalla teoria microeconomica standard bensì sulla capacità dell’impresa di controllare lo spazio economico e di esercitare influenza e potere gerarchico al di fuori del suo perimetro formale (fisico, legale e di mercato).

L’analisi si concentra su Amazon e identifica quattro elementi in grado di spiegare il potere delle piattaforme: i) crescita e diversificazione settoriale ii) R&S e monopolio di tecnologie chiave iii) frammentazione e controllo del lavoro iv) condizionamento dei governi e ‘potere di ricatto’. Ciò che tiene insieme questi elementi è la capacità di controllare tutte le informazioni che vengono prodotte all’interno della sfera di influenza della piattaforma (i.e. segmenti di Internet e relative controparti fisiche) subordinando, di fatto, le azioni degli altri attori alle strategie della stessa piattaforma. Qualcosa di simile a quello che Shoshana Zuboff chiama il ‘capitalismo della sorveglianza’. In questo contesto, però, il controllo capillare delle informazioni (digitali) non è posto al centro della scena in quanto strumento di mercificazione della privacy. Piuttosto, tale controllo assume rilevanza poiché accresce enormemente la capacità di condizionamento delle azioni altrui e, dunque, di estrazione del valore da parte della piattaforma, consentendo a questa di espandere le dimensioni della propria sfera di influenza a costi significativamente più bassi e ad un ritmo ben più serrato rispetto a quanto succedeva alle imprese multinazionali studiate da Baran, Sweezy, Cowling e successori.

Nel caso Amazon, crescita esponenziale e diversificazione discendono dal controllo di servizi strategici (ad esempio: cloud, logistica, pubblicità e profilazione online) – strumentali (complementari) per produrre, distribuire e vendere qualsiasi altro bene – e dal sistematico ricorso a imitazione e ‘prezzi predatori’ per colonizzare i segmenti di prodotto caratterizzati dalle maggiori prospettive di crescita (Figura 2).

 

Figura 2. Ricavi Amazon derivanti da tariffe pagate da terze parti (arancio) e servizi di rete (blu)

(Fonte: Mitchell et al. 2020)

Per quanto riguarda il dominio delle tecnologie chiave, Amazon compete con le altre grandi piattaforme nel tentativo di monopolizzare tecnologie quali Big Data, Cloud computing, Intelligenza Artificiale, Machine Learning. Queste sono fondamentali per mantenere un controllo ferreo della rete (digitale e fisica) e, soprattutto, delle informazioni che fluiscono al suo interno. Gli strumenti utilizzati per garantirsi il dominio sono: le competenze attratte dalle maggiori università, la R&S, i brevetti (Figura 3) e le acquisizioni di start-up innovative (su questo, si vedano Durand e Rikap in questo numero del Menabò).

Figura 3. Brevetti Amazon per dominio tecnologico (Fonte: Columbus)

Il potere delle piattaforme e in particolare di Amazon è connesso al controllo e allo sfruttamento di una enorme ed eterogenea massa di lavoratori. Si tratta sia della forza lavoro operante nella componente fisica della rete (logistica) – i.e. una forza lavoro oggetto di elevati livelli di sfruttamento in ragione del ricorso a esternalizzazioni e all’uso delle tecnologie più avanzate per quel che riguarda il controllo e la massimizzazione dell’efficienza di processo – sia di quella digitale – i.e. le miriadi di individui sparsi per il mondo e pagati pochi centesimi per la realizzazione delle mansioni necessarie a garantire il funzionamento delle rete e degli algoritmi su cui questa poggia (si veda Sabato Massimo in questo numero del Menabò). Infine, il potere di Amazon riflette la capacità della piattaforma di condizionare governi e controparti pubbliche resistendo all’introduzione di regolamentazioni ostili in ambito fiscale, della concorrenza, della privacy e dei diritti sindacali. Tale capacità è strettamente connessa al controllo di un bene politicamente vitale come l’informazione nonché alla alleanza con una base di consenso, ormai pressoché coincidente con l’intera popolazione occidentale, che difficilmente voterebbe un partito dal programma ostile ai servizi Amazon. Ciò, assieme alla rilevanza occupazionale nel ‘mondo fisico’ che la rende differente dalle altre grandi piattaforme, consegna ad Amazon un potere di ricatto nei confronti dei governi di gran lunga superiore a quello di cui potevano godere le multinazionali ‘pre-Internet’.

Se il potere di cui oggi Amazon dispone è il risultato di un atto di accumulazione originaria esercitato su uno spazio incontaminato – i.e. la ‘commercializzazione di Internet’, resa possibile dalle scelte politiche poste in essere nei primi anni ’90 dai governi americani e da cui originano le odierne piattaforme – i recenti piani del suo fondatore sembrano alludere alla ricerca di nuove terre vergini da colonizzare. Volando a bordo del lanciatore suborbitale New Shepard prodotto dalla sua società Blue Origin, Bezos non ha solo coronato un sogno d’infanzia. Lo spazio rappresenta infatti la frontiera per quel che riguarda lo sviluppo tecnologico della rete e, dunque, dell’economia di domani. Per il fondatore di Amazon sembra essere chiaro chi dovrà mantenere saldo il controllo e il potere su entrambe.

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