Il welfare locale: opportunità e rischi

Alberta Andreotti e Enzo Mingione si occupano di welfare locale. Dopo aver illustrato le difficoltà che varie trasformazioni hanno creato aisistemi di welfare standardizzati e centralizzati, sostengono che il welfare locale è intrappolato tra due forze opposte: la necessità di sviluppare protezioni per i nuovi rischi individualizzati ed eterogenei e l’imperativo di tagliare la spesa pubblica. Secondo gli autoriil rischio, in assenza di un quadro regolativo forte, è di amplificare le diseguaglianze sociali e territoriali.

Negli ultimi tre decenni il welfare state ha subito trasformazioni che lo hanno portato ad assumere un profilo più locale. La cause delle trasformazioni del welfare sono molteplici e non possono essere affrontate in un questo contributo. Ci limitiamo a indicare alcune aree di cambiamento: trasformazioni socio-demografiche, come l’allungamento della speranza di vita (con una conseguente crescita del bisogno di assistenza pensionistica e sanitaria), la riduzione della natalità, l’aumento dell’instabilità delle convivenze, l’aumento dei flussi migratori e delle difficoltà di inserimento di masse eterogenee di migranti; trasformazioni economiche e del mercato del lavoro, come la liberalizzazione dei mercati, la diminuzione dei posti fissi e una maggiore instabilità ed eterogeneità occupazionale; trasformazioni istituzionali che riflettono un indebolimento delle capacità regolative degli stati nazionali e favoriscono forme di decentramento territoriale, sostenute dalla Commissione Europea attraverso le direttive di sussidiarietà (Y. Kazepov, La dimensione territoriale delle politiche sociali in Europa, Carocci, 2008). Questi cambiamenti rendono il welfare tradizionale – centralizzato e standardizzato – sempre meno capace di rispondere con modalità efficaci a una domanda sociale che è in misura crescente eterogenea e individualizzata. Dal punto di vista politico, vi è poi una crisi di legittimazione del welfare, per cui fasce crescenti del ceto medio sono poco propense a giustificare la spesa sociale (pur essendone tra i maggiori beneficiari). Infine una grave crisi fiscale ha interessato tutti i paesi industrializzati, ma soprattutto quelli dell’Europa meridionale, e si è tradotta in austerità e nel taglio della spesa di welfare. In queste condizioni, si parla di un nuovo welfare che è più locale, ma anche orientato a responsabilizzare i soggetti che hanno bisogno di sostegno, di welfare attivo che mobilita il terzo settore, ma anche il settore privato for profit. Un welfare orientato a investimenti e innovazioni e che, allo stesso tempo, favorisce forme di privatizzazione.

Il welfare locale è al centro di due diverse forze intrecciate e contrapposte: 1) l’imperativo di trovare risposte efficaci a bisogni di sostegno sociale sempre più individualizzati, frammentati ed eterogenei,esito delle trasformazioni di cui sopra, e quindi di espandere servizi sociali e politiche attive; 2) la necessità di far fronte alla scarsità delle risorse a disposizione degli enti pubblici e alle crescenti difficoltà di legittimazione della spesa pubblica. Queste due forze sono portatrici di strategie di riforma del welfare non sempre conciliabili: promuovere una copertura più articolata ed efficace dei nuovi rischi; tagliare la spesa pubblica (A. Andreotti – E. Mingione, “Local welfare systems in Europe and the economic crisis”, European Urban and Regional Studies, 2014).

La crescita del welfare locale risponde,con difficoltà ed effetti non voluti, a queste opposte strategie. L’ambito locale è considerato più efficace nel rispondere ai bisogni sociali eterogenei dei cittadini perché permette di identificarli  meglio e rende più facile mobilitare risorse utili al loro soddisfacimento. Inoltre l’intervento locale può essere più partecipativo. Al tempo stesso, il welfare locale è considerato meno costoso perché più capace di attivare risorse degli utenti e delle imprese.

Un welfare locale che utilizza di più le risorse del terzo settore edel privato for profit pone però problemi in termini di diseguaglianze e di esigibilità dei diritti sociali di cittadinanza, soprattutto là dove vi sia una generalizzata riduzione di risorse e/o un ritiro del welfare pubblico. Si aprono aree di deficit di protezione dove le innovazioni locali, l’empowerment e l’attivazione, la mobilitazione di alcuni gruppi specifici di cittadini non sono in grado di compensare il ridimensionamento dell’impegno pubblico a favore dei diritti sociali di cittadinanza. Si pone inoltre la questione della disuguaglianza territoriale, con aree dove le iniziative innovative si diffondono di più ed aree in cui queste stentano a decollare.

Di seguito indichiamo brevemente tre questioni critiche per il welfare locale e per il rischio di un peggioramento delle disuguaglianze sociali e territoriali a seguito del cambiamento: il disegno istituzionale delle responsabilità per la programmazione e realizzazione del welfare; la dimensione del “locale”; e le risorse finanziarie connesse a questa dimensione.

All’interno del processo di ristrutturazione delle competenze tra i diversi livelli istituzionali in ambito di politiche sociali, la città è un attore centrale. In tutti i sistemi amministrativi, vi sono livelli intermedi tra lo stato e le città (regioni, land, comunità autonome, cantoni, prefetture), ma questi sono raramente responsabili per la progettazione, l’implementazione e la gestione dei servizi. Più spesso le controversie si giocano tra livello nazionale e municipalità.Un sistema in cui le responsabilità istituzionali sono ben delineate e in cui lo Stato centrale trasferisce risorse certe, all’interno di un quadro regolatore uniforme, è uno dei presupposti di un welfare locale efficace.

Il funzionamento del welfare locale è poi connesso alla dimensione del “locale” e alle risorse finanziarie disponibili. Le grandi città hanno il vantaggio di poter contare su economie di scala accettabili, mentre i piccoli comuni incontrano difficoltà sia in termini finanziari che di professionalità del personale. Una strategia utile per rafforzare il potenziale di welfare locale può essere quella di aggregare più comuni, ma questa manovra è spesso costosa e osteggiata dalla popolazione che teme una perdita delle proprie tradizioni e identità. In Europa, i paesi Scandinavi hanno iniziato un processo di aggregazione in un periodo economicamente favorevole, mentre altri paesi (come l’Italia) hanno perso questa finestra temporale(G. Bonoli, “Time Matters: Postindustrialization, New Social Risks, and Welfare State Adaptation in Advanced Industrial Democracies”, Comparative PoliticalStudies, 2007).

La questione della disponibilità di risorse finanziarie e professionali è centrale per tutti gli enti locali a cui sono delegati servizi di sostegno sociale perché la promozione di un welfare attivo è costosa. Ad esempio i programmi di inclusione lavorativa (che sono al centro delle strategie di flex security) prevedono corsi di formazione e programmi di accompagnamento al lavoro, oltre al mantenimento delle misure passive come i sussidi di disoccupazione. Le politiche attive, infatti, hanno senso solo se sono integrative di quelle passive. Quindi, lo stato centrale dovrebbe trasferire le risorse finanziarie necessarie e/o permettere alle autorità locali di aumentare il prelievo fiscale per finanziare il welfare locale. In entrambi i casi vi è una potenziale tensione in relazione al livello di spesa pubblica e di come questa dovrebbe essere tenuta sotto controllo.

Il coinvolgimento del volontariato e delle aziende è utile per sostenere il welfare locale, anche perché può contribuire a renderlo più innovativo, in particolare attraverso lo sviluppo di nuove forme di solidarietà e condivisione. Tuttavia, spesso le nuove esperienze locali che coinvolgono il settore privato hanno un impatto limitato e temporaneo, e, soprattutto, hanno una diseguale capacità di intervento che si riflette in nuove disuguaglianze (Bifulco, Lavinia Il welfare locale, Roma, Carocci, 2015). L’assunto che il volontariato e le aziende possono generare risorse che compensano i tagli al welfare nazionale è controverso. Innanzitutto, l’intervento privato non è senza costi per il pubblico, perché quasi sempre le aziende chiedono incentivi, soprattutto fiscali, per mettere in campo risorse aggiuntive. Secondo, aziende e terzo settore non hanno una vocazione universalistica, possono indirizzarsi a specifiche aree di bisogno o a popolazioni particolari (per esempio i bambini) e tralasciarne altre (per esempio i Rom o alcuni tipi di migranti che sono poi politicamente sotto rappresentati). Terzo, attivare risorse e stabilire sinergie tra istituzioni pubbliche e iniziative private costringe gli operatori locali a sviluppare capacità professionali specifiche. La formazione di queste capacità ha tempi lunghi e costi economici elevati che non sempre sono a disposizione del welfare locale.

In Italia tutte queste condizioni sono problematiche e la disuguaglianza territoriale, già molto forte, rischia di diventare esplosiva. La capacità regolativa dello Stato centrale è notoriamente debole e caratterizzata da risorse insufficienti. L’attivazione del livello locale si sta realizzando con dotazioni di risorse finanziarie e professionali carenti e quindi con risultati modesti ed effetti diseguali. Nel Mezzogiorno i tassi elevati di disoccupazione e povertà uniti ai bassi tassi di occupazione aumentano la domanda di protezione in contesti con risorse limitate e comprimono la domanda di servizi e di innovazione. In assenza di trasferimenti centrali e di politiche socio-economiche adeguate questa situazione contribuisce a riprodurre un circolo perverso. Le iniziative innovative di welfare locale, indirizzate soprattutto alla lotta contro la criminalità e al percorso educativo dei bambini, finiscono qui per essere sporadiche e non riescono a rompere il circolo vizioso di un crescente deficit di diritti di cittadinanza. Al Nord le esperienze innovative sono più frequenti soprattutto in alcuni ambiti considerati strategici: politiche per la conciliazione famiglia-lavoro, disoccupazione e, con più fatica, immigrazione. Ma qui il welfare locale rischia di aumentare le tensioni e le discriminazione nei confronti di soggetti svantaggiati politicamente poco rappresentati, come immigrati e minoranze.  Inoltre in tutti i contesti dei paesi dell’Europa meridionale, soprattutto in questo periodo di crisi, il welfare locale e attivo con poche risorse si combina in modalità perverse con la tradizionale importanza della protezione famigliare. Le vecchie diseguaglianze generate dal familismo, richiamato in causa dalla crisi economica, si sommano a quelle nuove dello slittamento verso le responsabilità locale in un circuito perverso di forte indebolimento dei diritti di cittadinanza.

La crisi economica iniziata nel 2007 inasprisce le tensioni perché rende le innovazioni nel welfare locale più importanti e, al tempo stesso, favorisce politiche di austerità che riducono le risorse disponibili per le innovazioni stesse. In diversi paesi europei si assiste oggi a una tendenza alla ricentralizzazione per contrastare l’aumento della spesa che si è verificato a livello locale. Il welfare standardizzato e centralizzato tuttavia è un sistema sempre meno efficace in un contesto in cui prevalgono l’eterogeneità e l’individualizzazione dei bisogni. Il welfare tradizionale non riesce, per esempio, a garantire una protezione sociale adeguata ai giovani, intrappolati in carriere occupazionali frammentate, instabili e temporanee, spesso a basso salario. Nel caso dei migranti e dei rifugiati, i servizi di welfare sono in difficoltà a causa delle differenze culturali tra i migranti, della varietà dei bisogni, del deficit di rappresentanza politico-sociale dei beneficiari e della opposizione delle opinioni politiche alle misure di integrazione e di protezione degli stranieri.

La transizione verso un “nuovo welfare” centrato sul livello locale, sull’attivazione, l’investimento sociale, la partecipazione, la condivisione e nuove forme di solidarietà può essere un esito della trasformazione in corso. Le caratteristiche di questo nuovo welfare dipendono molto dalla mobilitazione dei cittadini a favore di nuove forme di partecipazione e solidarietà a livello locale ma anche, allo stesso tempo, dalla capacità degli attori pubblici di integrare le esperienze locali innovative in un quadro di diritti sociali universalistici orientati a contrastare diseguaglianze e discriminazioni.

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