ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 175/2022

4 Luglio 2022

Istruzione terziaria e finanziamenti pubblici: un’opportunità di crescita?

Luca Bonacini, Giuseppe Pignataro e Cristina Specchi in relazione alle politiche universitarie, centrali anche per il PNRR, sottolineano l’importanza di un loro orientamento ad accrescere l’attrattività dell’università e, in questa prospettiva, della riduzione del divario tra Nord e Sud, tra centro e periferia.

A partire dal 2020, l’istruzione universitaria si è configurata nel dibattito come determinante per la crescita strutturale e la ripresa del Paese. Nel 2021 si è raggiunto il massimo storico del finanziamento pubblico all’istruzione universitaria, con uno stanziamento di circa 15 miliardi nel complesso, per la maggior parte (pari al 55%) destinati al Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO). Contestualmente, nel 2021 l’università resta fanalino di coda dei Paesi OCSE. L’investimento pubblico nell’Università è lo 0,9% del PIL, una quota nettamente inferiore rispetto alla media OCSE, dell’1,5%. Non ci sorprende che la quota di laureati tra i 25 e i 34 anni – registrata in quell’anno al 27,7% (Almalaurea, XXIII Indagine. Profilo dei Laureati 2020, 2021) – sia quasi 20 punti percentuali minore alla media OCSE.

Il Ministro dell’Università e della Ricerca (MUR) ha dichiarato che i 15 miliardi stanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per l’università e la ricerca hanno offerto al Paese “l’opportunità di recuperare ritardi e superare divari che rallentano la crescita e aumentano la marginalizzazione” e si sono configurati come “l’occasione per avere […] un Paese più innovativo, internazionale, oltre che un Paese anche per giovani e donne”. Pur all’interno di un contesto emergenziale si è voluta dare una risposta concreta e – si auspica – di lungo periodo agli effetti negativi connessi alla crisi pandemica e al suo potenziale impatto sul sistema universitario. Non a caso, una delle principali ragioni dell’incremento di risorse è connessa al timore di un calo di iscrizioni.

Attraverso un’analisi a effetti fissi abbiamo analizzato la correlazione tra l’evoluzione del riparto del logaritmo del FFO con alcuni indicatori sullo stato di salute dell’università forniti da Istat a livello regionale. I risultati mostrano un’evidente correlazione positiva con il tasso di iscrizione all’università (12,03 – s.e. 1,62), il tasso di conseguimento del primo titolo universitario (17,81 – s.e. 2,36) e in particolare con la percentuale di diplomati che si sono immatricolati all’università in quell’anno (50,09 – s.e. 5,60). Questi risultati suggeriscono quindi l’esistenza di una relazione diretta tra il finanziamento attraverso FFO e capacità attrattiva delle università.

Nell’anno accademico in corso il calo di iscritti rispetto l’anno precedente si attesta a circa 10.000 unità (-3%). Implementate per contenere gli effetti della pandemia sulla componente studentesca, le misure attuate per il rifinanziamento del FFO hanno permesso di raggiungere il livello di risorse di dieci anni prima (in termini nominali, non reali); gli stanziamenti hanno avuto il ruolo di non peggiorare la situazione preesistente e non si possono ritenere bastevoli per un miglioramento, obiettivo posto all’interno del Next Generation EU (NGEU). Per conseguire tale scopo e affinché l’Università abbia un ruolo per la crescita del Paese anche in ottica post-pandemica, è fondamentale che una serie di misure che sono state attuate in modo contingenziale, e in larga parte grazie alla disponibilità di fondi europei, diventino sistemiche. È altresì impellente apporre alcuni correttivi al sistema vigente.

Un primo esempio in questo senso fa riferimento all’istituzione mediante il D.L. n. 18/2020 (L. n. 27/2020) del Fondo per le Esigenze Emergenziali del Sistema dell’Università, delle Istituzioni di Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica e degli Enti di Ricerca. Il Fondo che confluisce nel FFO fu istituito per contenere il rischio di abbandoni dal sistema universitario in seguito alla crisi pandemica. Manca un elemento di prospettiva: se da un lato è giusto contenere gli abbandoni universitari dovuti alla pandemia, dall’altro lato sarebbe inaccettabile non operare al fine di contenere – e ridurre – il tasso di abbandoni “ordinario”. Nel Fondo sono stati stanziati complessivamente 84.5 milioni di euro svincolati insieme a 140.5 milioni di euro vincolati all’accesso da remoto a banche dati, piattaforme digitali, risorse bibliografiche, all’acquisto di dispositivi digitali per la fruizione della didattica a distanza (DAD) e all’ammodernamento strutturale e tecnologico delle Università.

Sarebbe fondamentale l’istituzionalizzazione del Fondo oltre l’emergenza e la sua resa strutturale. Al termine della fase emergenziale bisognerà curarsi del sostegno della componente studentesca e dell’Università anche sotto il punto di vista tecnologico. Si potrebbe fare confluire le risorse nel Fondo Integrativo Statale (FIS) che concerne il diritto allo studio. L’Università è frequentata dalle generazioni cosiddette “native digitali” che fanno uso di dispositivi elettronici nella loro quotidianità anche per quanto riguarda lo studio. Avere accesso, anche economico, a strumenti di questo tipo deve essere un bisogno a cui le istituzioni pubbliche rispondono. I Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), definiti dal D.lgs. n. 68/2012, fanno rientrare al loro interno il materiale didattico ma escludono la “spesa per l’acquisto di personal computer ed altri strumenti od attrezzature tecniche o informatiche” (Art. 7, co.2, lett. a). È doveroso riformare questo aspetto e non normalizzare l’esistenza di un digital divide tra la componente studentesca.

Un secondo tema da riconsiderare è l’estensione della no-tax area. Il D.L. n. 18/2020 (L. n. 27/2020), ha incrementato il FFO di 165 milioni di euro per estendere l’accesso all’esonero del contributo onnicomprensivo annuale. La misura fu fondamentale per distribuire risorse agli atenei necessarie ad assorbire la maggiore quota di esoneri (da ISEE fino 13 mila euro a ISEE fino 20 mila euro (D.M. 234/2020)). La Legge Finanziaria del 2021 (D.M. 30 dicembre 2020, L. n. 178/2020) ha previsto un ulteriore incremento di fondi, determinante per consentire un’ulteriore estensione a ISEE fino 22 mila euro (D.M. n. 1014/2021). Continuare a stanziare fondi aggiuntivi negli anni per giungere a una no-tax area nazionale superiore, di circa 30 mila euro (la soglia più generosa attualmente applicata), sarebbe una importante politica da perseguire. Infatti, va riconosciuto ed uniformato il modello per cui molte Università stabiliscono soglie di accesso superiori al minimo ministeriale. L’Università del Piemonte Orientale è uno degli Atenei che prevede la soglia di 30mila euro, mentre altre università (es. Palermo, del Salento, Bari, Trieste, Bologna) adottano un sistema di esonero totale compreso tra i 23 mila e i 26 mila euro.

Un altro elemento, introdotto tramite la Legge Finanziaria del 2021, fondamentale se applicato nel lungo periodo per colmare le sperequazioni tra Atenei del Nord e del Mezzogiorno, e tra atenei del centro e delle periferie, consiste nel finanziamento di ulteriori 3 milioni di euro alle Università statali con meno di 20 mila iscritti. La messa a punto di un simile finanziamento dimostra l’emergere di un interesse della classe politica verso gli atenei più svantaggiati. Lo svantaggio è riprodotto dai meccanismi di riparto del FFO, che favorisce gli atenei più ricchi e più numerosi (Viesti, La Laurea Negata, 2018).

Figura 1: Ammontare del fondo di FFO ripartito per aree geografiche (migliaia di euro)Fonte: ANVUR, Sistema Informativo sulle Operazioni degli Enti Pubblici (SIOPE)

Se si osserva lo storico del riparto del FFO (figura 1) per area geografica del Paese dal 2011 al 2021, emerge che gli atenei del Mezzogiorno hanno subìto una riduzione nelle entrate da riparto di FFO rispetto al decennio precedente, mentre gli atenei del Nord hanno vissuto un incremento. La riduzione di risorse è stata del 2,97% per il Centro, del 4,87% il Sud e del 14,20% per le Isole. L’incremento è stato del 7,58% per il Nord-Est, del 3,90% per il Nord-Ovest. Soffermandosi all’ultimo triennio emerge una diminuzione di risorse limitatamente al Sud (3,93%) e un incremento di risorse per il Nord-Est (10,72%), il Nord-Ovest (1,76%), il Centro (5,86%) le Isole (1,34%). Di fronte a queste percentuali è evidente come 3 milioni di euro stanziati una tantum non siano in grado di risolvere la “questione meridionale” nel comparto universitario. Anche in questo caso, la resa strutturale dentro il FFO l’aggiunta di risorse specifiche per gli atenei più piccoli e situati nel Mezzogiorno, è una misura che non va messa da parte terminata l’emergenza.

La legge di bilancio del 2022 ha destinato 2 milioni di euro nel FFO al sostegno delle spese sanitarie degli studenti fuori sede e fuori regione con ISEE inferiore a 20 mila euro. La misura costituisce un interessante avanzamento nella messa a sistema dei LEP riferiti all’assistenza sanitaria. Si auspica una continuità nel futuro, soprattutto considerando che nel D.Lgs. n. 68/2012 è prevista la garanzia di accesso al medico di base nella sede dell’Università anche per gli studenti residenti altrove. Tuttavia, nonostante i LEP abbiano trovato la loro definizione nel suddetto decreto legislativo, allo stato attuale non è stato prodotto il decreto interministeriale attuativo. Rimarchiamo l’esigenza di una revisione e “rivoluzione” nel sistema dei LEP, capace di comprendere i reali bisogni degli studenti e di risponderne, e sottolineiamo l’urgenza della loro implementazione.

Infine, vogliamo richiamare le più recenti misure previste per l’A.A. 2022/23. Il capitolo 1694 dello stato di previsione di spesa del MUR stanzia 8,656 milioni di euro nel FFO, con un incremento di 272 milioni di euro rispetto il 2021. Tuttavia, si riscontra un rallentamento della crescita del FFO rispetto l’anno precedente, con un incremento del 3,25% a fronte dell’incremento del 7,2% del 2021. Il rallentamento nella crescita dei fondi rischia di configurarsi come non bastevole per conseguire gli obiettivi prefissati nel PNRR. Si registra un decremento netto di 105 milioni di euro rispetto al 2021 dei fondi destinati agli interventi a favore degli studenti. In questo quadro emerge però un elemento di positività: la stabilizzazione delle risorse destinate agli atenei per la copertura degli esoneri no-tax area.

Da una situazione fortemente negativa, come la crisi pandemica, l’Università è stata in grado di colmare la preesistente carenza di risorse e di implementare misure necessarie per aiutare gli studenti nell’accesso al sistema e a non uscirne precocemente. È necessario che l’incremento di fondi vissuto nell’ultimo biennio (sessennio considerando il leggero aumento nel periodo 2016-2018) possa essere continuativo nel futuro, anche qualora non si rinnovino gli stanziamenti percepiti tramite il PNRR. È fondamentale anche che questo aumento sia pensato per raggiungere specifici obiettivi in risposta ai bisogni, vecchi e nuovi degli studenti (accesso alla salute, colmare il digital divide, estensione della no-tax area, ecc.), e alla più generale necessità di incrementare il numero di laureati. Solo così possiamo pensare di rimettere in moto l’ascensore sociale e di trasformare le conoscenze e le competenze dei giovani laureati in esternalità positive per il Paese.

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