La classe media in Italia: cosa sappiamo?

Francesco Bloise, Maurizio Franzini, Michele Raitano e Francesca Subioli presentano i principali risultati di una loro ricerca su estensione e caratteristiche, in anni recenti, della classe media in Italia e in alcuni paesi europei. Dopo aver chiarito la definizione di classe media adottata gli autori mostrano come sono variate la sua consistenza e la sua distanza dalla classe alta e da quella bassa e quale sia stata la mobilità in entrata e in uscita dalla classe media, della quale sottolineano l’importanza.

*Questo articolo è stato scritto da: Francesco Bloise, Maurizio Franzini, Michele Raitano e Francesca Subioli

Nell’analisi delle tendenze della distribuzione dei redditi la letteratura economica si è concentrata prevalentemente sullo studio dell’intera distribuzione – mediante indicatori sintetici di disuguaglianza, come l’indice di Gini – o di quanto accade ai suoi estremi (i poveri e i molto ricchi).

Un’attenzione relativamente minore, anche a causa della difficoltà di identificazione del fenomeno, è stata dedicata alla classe media, intesa, in prima approssimazione, come l’insieme di individui e le famiglie che si situano nella parte centrale della distribuzione. Si tratta di una grave mancanza. La letteratura economica e sociologica considera la classe media preziosa per la sua capacità di sostenere democrazia, coesione sociale e crescita economica. Una classe media ampia e in ‘buona salute’ sarebbe un essenziale cuscinetto tra i molto ricchi e i molto poveri. L’OCSE (Under Pressure: The Squeezed Middle Class, 2019) la definisce la “roccia” delle nostre democrazie per la sua propensione a consumare, a investire in istruzione, salute e acquisto di immobili, e per il contributo che i membri della classe media danno ai sistemi di protezione sociale tramite le imposte e i contributi sul reddito da lavoro.

Dall’inizio degli anni 2000 si è diffusa nel mondo occidentale, e in particolare negli Stati Uniti, la percezione di un progressivo declino della classe media, in termini sia di ampiezza (come peso sulla popolazione totale) sia di rilevanza economica. Anche nel nostro paese si parla spesso di contrazione, o addirittura scomparsa, della classe media. La domanda cruciale è: su quali dati e quale evidenza empirica si basa questa tesi? In una recente ricerca, abbiamo esaminato la situazione italiana, anche in confronto con i principali paesi europei.

Facendo uso di molteplici fonti di dati (relative a retribuzioni, redditi familiari e ricchezza) e riferendoci a diverse unità di analisi (l’individuo o il nucleo familiare) abbiamo cercato di rispondere a due domande: i) come è mutata in Italia, dall’inizio del XXI secolo, la rilevanza della classe media in termini di quota di popolazione e di quota di reddito/ricchezza da essa posseduta?; ii) lo status di “membro della classe media” tende a persistere nel tempo o prevalgono fenomeni di mobilità ascendente e discendente?.

Prima di mostrare i principali risultati è bene fornire una definizione di classe media, un compito che raramente viene assolto da chi ne proclama la tendenziale sparizione.

I sociologi prendono come riferimento lo status occupazionale, sulla base dell’assunzione che esso permetta di individuare gruppi omogenei in diverse dimensioni, anche non economiche e che il reddito sia solo una delle caratteristiche che contraddistinguono una classe sociale. Questo approccio, seppur valido e molto utilizzato, pone problemi nel caso di analisi di lungo periodo per l’impatto che i cambiamenti strutturali nella società e nei mercati del lavoro – in particolar modo l’accresciuta diffusione dell’istruzione superiore e il più esteso ricorso a forme contrattuali atipiche o precarie – hanno avuto su caratteristiche essenziali delle diverse occupazioni: l’altezza delle retribuzioni, la sicurezza del posto di lavoro, il prestigio sociale ad esso associato. Le conseguenze per la possibilità di esaminare l’evoluzione delle classi sociali in base agli status occupazionali sono rilevanti: se questi ultimi non vengono rivisti si rischia di considerare parte della stessa classe soggetti che accedono a condizioni di lavoro, di vita e sociali molto diverse.

Si è così diffuso, tra gli economisti, il convincimento che debba farsi riferimento anche alle variabili economiche – soprattutto, ma non solo, il reddito – per individuare la classe media. Seguendo questo approccio si rischia di andare incontro ad un’altra difficoltà, quella di indebolire il concetto di classe sociale e di limitarsi a identificare la quota di popolazione che si colloca nella parte centrale della distribuzione dei redditi, che può essere trattata come un’unica entità sulla base dell’assunzione che la ‘vicinanza’ del redditi si accompagni a altre similitudini di rilevanza sociale. Sarebbe forse più corretto parlare di individui (o famiglie) della parte centrale della distribuzione, ma la prassi è di utilizzare il termine classe media.

Una volta accettato questo approccio il problema diviene quello di delimitare i confini della classe media. La scelta prevalente è di assumere come termine di riferimento il reddito mediano (seguendo, dunque, un approccio “relativo” all’individuazione dei gruppi sociali) e considerare inclusi nella classe media tutti coloro che hanno un reddito compreso tra il 75% e il 150% della mediana. È questo l’approccio che abbiamo adottato nella nostra ricerca che fa uso di dati su retribuzioni individuali, redditi familiari (equivalenti) disponibili e ricchezza. Per ragioni di spazio ci concentriamo in queste note sulle principali evidenze relative alla classe media definita in termini di redditi familiari, come rilevati nell’indagine annuale europea EU-SILC.

Il primo risultato che emerge è che la quota di popolazione che rientra in questi confini di reddito risulta abbastanza stabile nel tempo in Italia – con un valore di poco inferiore al 50% –, mentre sembra assottigliarsi in Spagna e Svezia (Figura 1).

Figura 1: Quota di popolazione appartenente alla classe media

Fonte: elaborazioni su dati EU-SILC

In Italia è stabile anche il rapporto fra il reddito medio che affluisce alla classe media e a quella ricca (gli individui con reddito disponibile equivalente almeno doppio della mediana; Figura 2), mentre, contrariamente alle attese, si è ampliato il divario fra la classe media e chi ha un reddito equivalente inferiore al 60% della mediana (ovvero chi risulta a rischio di povertà relativa in base all’indicatore Eurostat; Figura 3).

Figura 2: Reddito medio della classe media, rispetto al reddito medio della “classe ricca”

Fonte: elaborazioni su dati EU-SILC

Figura 3: Rapporto fra il reddito medio della classe media e quella “povera”

Fonte: elaborazioni su dati EU-SILC

Dunque, i dati non danno sostegno alla tesi di un chiaro restringimento della classe media e ciò vale anche se si guarda non al reddito ma alla ricchezza (sulla base dell’indagine SHIW della Banca d’Italia). La quota di popolazione definibile come classe media in base alla ricchezza risulta, infatti, sostanzialmente stabile, così come la quota di ricchezza complessiva da essa detenuta. Tuttavia, va notato che quest’ultima quota è abbastanza limitata (circa il 15%, e quasi esclusivamente sotto forma di case) a causa della ben nota elevata disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza. E’, però, di interesse il fatto che la ricchezza della classe media provenga sempre più da eredità che potrebbe essere interpretato come un segnale di indebolimento della sua capacità di accumulare ricchezza attraverso il proprio risparmio a sua volta dovuta alla stagnazione dei redditi da lavoro in termini reali che perdura da diversi decenni.

Questi dati forniscono una fotografia della classe media in diversi punti del tempo e non permettono di conoscere se lo status di membro della classe media sia temporaneo o persistente nel corso del tempo. Per cercare di acquisire questa conoscenza si sono osservate le dinamiche di transizione, dei residenti nei 6 paesi considerati, da e verso la classe media in un arco temporale di quattro anni. Specificamente, per esaminare le dinamiche della mobilità fra classi prima, durante e dopo la Grande Recessione, ci si è riferiti a tutti i nuclei familiari intervistati consecutivamente per quattro anni all’interno di tre diverse finestre temporali – 2003-2006, 2009-2012 e 2014-2017.

La Figura 4 mostra chiaramente che nei vari paesi europei è poco persistente lo status di membro della classe media. Infatti, escludendo la Svezia, le famiglie che in tutti gli anni di ogni quadriennio considerato hanno un reddito compreso fra il 75 e il 150% della mediana sono sempre meno della metà delle famiglie che, complessivamente, trascorrono tra 1 e 3 anni in classe media. In Italia, ad esempio, nel quadriennio più recente il 28.0% dei nuclei è sempre in classe media, mentre il 38,6% vi trascorre fra 1 e 3 anni. Va, però, sottolineato che In Italia è cresciuta, e in misura rilevante, anche la persistenza nelle classi di origine: coloro che hanno sempre un reddito compreso nei confini della classe media sono passati dal 24,0% del 2003-2006 al 28,0% del 2014-2017 e coloro che, all’opposto, non sono mai rientrati in quei confini sono cresciuti dal 31,3% del 2003-2006 al 33,4% del 2014-2017.

Figura 4: Distribuzione della popolazione per numero di anni trascorsi nella classe media nel quadriennio

Fonte: elaborazioni su dati EU-SILC

Dall’esame specifico del rapporto tra quanti, nel corso di un quadriennio, escono dalla classe media e quanti, invece, vi rimangono (v. Figura 5, che si limita a considerare chi era in classe media nell’anno iniziale del quadriennio), emerge che la quota di persone che rimangono in classe media è sempre largamente maggioritaria, e in crescita fra periodi, con l’eccezione parziale della Svezia. In generale, le cadute verso redditi familiari inferiori al 75% della mediana sono più frequenti delle ascese verso redditi familiari superiori a 1,5 volte la mediana. Tuttavia, nel caso dell’Italia la frequenza della mobilità discendente si è ridotta in misura rilevante nel corso del tempo (dal 21,3% del primo quadriennio al 10,6% dell’ultimo) ed è invece aumentata la frequenza della mobilità ascendente (dall’11,4% al 12,9%, rispettivamente, nel primo e nell’ultimo quadriennio).

 

Figura 5: Distribuzione per stato finale di chi era in classe media all’anno iniziale del quadriennio

Fonte: elaborazioni su dati EU-SILC

Per valutare i movimenti da e verso la classe media, abbiamo esaminato i flussi tra questa classe e le altre. Nella Figura 6 sono rappresentate in verde le quote di coloro che potremmo definire “soddisfatti” perché entrano nella classe media dal basso o ne escono verso l’alto e in rosso le quote degli “insoddisfatti” cioè coloro che entrano in classe media dall’alto o ne escono verso il basso. Quando la parte verde delle varie barre supera il 50% della quota di individui mobili i “soddisfatti” superano gli “insoddisfatti”, e viceversa. In generale, si osserva una certa crescita della quota di “soddisfatti” nel periodo di osservazione in Spagna, Svezia e Italia. Nel nostro paese, in particolare, la quota di “soddisfatti” passa dal 40,8% del 2003-2006 al 55,7% del 2014-2017, e tale aumento è attribuibile a una crescita cospicua di ascese sia dalla classe bassa a quella media (dal 22,6% al 30,7%) sia dalla classe media a quella alta (dal 18,2% al 25,0%).

 

Figura 6: Mobilità direzionale da e verso la classe media

Fonte: elaborazioni su dati EU-SILC

L’assenza di significativi cambiamenti nell’ampiezza della classe media e le caratteristiche non peggiorative delle dinamiche di transizione da e verso quella classe implicano che non vi siano problemi originati dal restringimento della classe media ma questo non vuol dire che non ve ne possano essere altri. Un problema rilevante è certamente la combinazione di una maggiore concentrazione del reddito nella parte più alta della distribuzione – cioè tra i più ricchi tra i ricchi – accompagnata a un inspessimento della coda bassa della distribuzione dove vi sono coloro che ricadono nell’area della povertà o si collocano appena al di sopra di essa. Questi cambiamenti molto in alto e molto in basso sono, in realtà, compatibili con una sostanziale invarianza dell’estensione della classe media. È così perché allo scivolamento verso la classe media di qualcuno che eccedeva il suo confine superiore si può contrapporre lo scivolamento verso l’area della povertà e dintorni di qualcuno che precedentemente era nella classe media.

Dunque la classe media non si è ristretta ma potrebbe avere cambiato composizione. Alla verifica di questa ipotesi abbiamo iniziato a lavorare. Se essa risultasse confermata diventerebbe possibile conciliare le percezioni soggettive di peggioramento da parte di molti di coloro che erano parte della classe media con il dato oggettivo dell’invariata estensione di quest’ultima. Inoltre, e soprattutto, si chiarirebbe che forse ciò che più conta per un’economia e una democrazia ben funzionanti non è avere una classe media di ampie e tendenzialmente invarianti dimensioni quanto piuttosto una classe media che sia un crocevia di mobilità sociale, soprattutto verso l’alto.

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