ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 183/2022

30 Novembre 2022

La detassazione dei fringe benefits: un favore a chi ne ha meno bisogno?

Michele Raitano ragiona sull’equità dell’innalzamento fino a 3000 euro della soglia di deducibilità dei fringe benefit recentemente introdotto dal Decreto Aiuti quater. Facendo uso dei dati dell’indagine EU-SILC, Raitano mostra che i percettori dei fringe benefit e delle varie forme di compensazione non monetaria sono in Italia relativamente pochi e concentrati fra i dipendenti a più alto salario. Questa misura presenta, dunque, chiari tratti di regressività e finirà per accentuare le disparità fra lavoratori.

Come misura di sostegno ai salari reali erosi dalla crescita dell’inflazione, il Decreto Aiuti quater ha recentemente innalzato da 600 a 3000 euro il limite annuo di deducibilità dei cosiddetti fringe benefits e, più in generale, delle forme di compensazione non monetarie erogate dalle imprese ai dipendenti (ad esempio, buoni acquisto, buoni benzina, vouchers per spese di assistenza, rimborso di abbonamenti al trasporto pubblico o a reti streaming).

Così come i vari interventi di riduzione del cuneo fiscale e gli sgravi fiscali a favore del welfare occupazionale, la detassazione dei fringe benefits – che dovrebbe valere per il solo 2022, e al cui interno il Decreto Aiuti ha incluso anche possibili rimborsi da parte del datore delle spese sostenute per le utenze domestiche – rientra nel filone di quelle misure che intendono agire per via fiscale per incrementare i generalmente bassi e stagnanti salari italiani. 

Al di là del costo per la finanza pubblica e dei possibili effetti distorsivi sugli equilibri di contrattazione indotti da queste misure, su cui qui non ci soffermiamo, ogni forma di sgravio fiscale andrebbe valutata in base al profilo dell’equità, in relazione, quindi, alle caratteristiche dei lavoratori che ne beneficiano maggiormente. L’obiettivo di questo contributo è, dunque, ragionare, sulla base dei dati a disposizione, su chi finirà per avvantaggiarsi della detassazione dei fringe benefits.

Informazioni su importi e beneficiari di forme di compensazione non monetaria sono raramente disponibili. Fa eccezione l’indagine EU-SILC (European Union Statistics on Income and Living Conditions) che, rilevando i redditi da diversa fonte di un campione rappresentativo dei residenti nei vari paesi dell’Unione Europea, fornisce informazioni anche sull’importo annuo ricevuto da ogni lavoratore sotto forma di ‘non-cash employee income’ (ovvero di fringe benefit). E’, pertanto, possibile individuare i diversi benefit detassati dal nostro legislatore. Misurare il valore monetario delle varie forme di vouchers e benefit in natura non è facile e, dunque, possono esservi errori di misurazione nelle variabili relative a tali forme di reddito in EU-SILC. Con questo caveat esaminiamo i dati dell’indagine 2019 (l’ultima disponibile per l’Italia) che si riferiscono al valore lordo dei fringe benefits ricevuti nel 2018.

Il primo dato che emerge dalla nostra esplorazione è che soltanto una piccola minoranza di lavoratori dipendenti, il 19,2%, beneficia di questa ulteriore forma di compensazione. Ne discende che, calcolato sul totale dei dipendenti, il valore medio dei fringe benefits è esiguo: 383 euro annui. Il valore sale però a 1992 euro annui se la media si riferisce unicamente alla minoranza dei beneficiari. Inoltre, solo il 2,5% dei lavoratori riceve fringe benefits di valore superiore alla soglia di 3.000 euro indicata nel Decreto Aiuti quater.

È altresì interessante osservare che il valore dei fringe benefits si distribuisce in modo molto diseguale: l’indice di Gini calcolato sul totale dei dipendenti è addirittura pari a 0,89 e si riduce a 0,43 – un valore, comunque, molto alto – se si considera unicamente il sottogruppo dei percettori di queste erogazioni. 

Il vantaggio fiscale che questa nuova forma di detassazione dovrebbe comportare è, dunque, concentrato in una limitata quota di individui. Ma chi sono questi beneficiari? Sono effettivamente le persone che hanno prioritariamente bisogno di un sostegno ai loro redditi a fronte della recente impennata dell’inflazione?

I dati a nostra disposizione fanno fortemente propendere per il no. In primo luogo, salari lordi e valore dei fringe benefit sono correlati positivamente (+0,28) a segnale che, in media, chi è pagato meglio riceve anche maggiori compensazioni non monetarie. Segnali ancora più chiari emergono se andiamo a verificare le caratteristiche di quel 19,2% di dipendenti la cui retribuzione viene arricchita da tali forme di compensazione.

Guardando a come la quota di percettori di fringe benefits si distribuisce fra i dipendenti ordinati in decili sulla base del loro salario annuo (Figura 1 dove la linea tratteggiata indica il valore medio nazionale), si osserva come tale quota cresca quasi linearmente all’aumentare del reddito da lavoro. Fra il 10% dei meno pagati (quelli con retribuzione lorda annua inferiore a 5.850 euro) solo il 6,1% riceve una qualche forma di compensazione non monetaria. La quota di percettori sale all’8,3% nel secondo decile (con retribuzione annua fra 5.850 e 10.800 euro) e rimane inferiore al dato medio nazionale fino al sesto decile (ovvero fra chi ha un salario lordo annuo inferiore a circa 26.000 euro). Al contrario, nel decile più ricco (quelli che guadagnano più di 43.000 euro annui) il 45,8% riceve un’integrazione non monetaria del proprio salario.

Figura 1: Quota di dipendenti percettori di fringe benefits, per decile della distribuzione dei salari lordi annui

Fonte: elaborazioni su dati EU-SILC 2019

Una così sperequata distribuzione dei beneficiari ha chiari riflessi sull’importo medio dei fringe benefits lungo la distribuzione dei salari monetari (Figura 2, dove la linea tratteggiata rappresenta il valore medio delle componenti non monetarie della retribuzione). Il valore medio delle forme di compensazione non monetarie è pari a 51 euro annui nel primo decile e 131 euro nel secondo. Resta poi costante intorno ai 270 euro fino al sesto decile e quindi cresce fino a 632 euro nel nono e a ben 1.209 euro nel decile più ricco. Nel complesso, i lavoratori del decile più ricco si appropriano del 31,5% del valore totale dei fringe benefits erogati dalle imprese, mentre alla metà meno ricca dei dipendenti è destinato solamente il 26,2% (Figura 3).

La conferma che le compensazioni non monetarie hanno un impatto sperequativo viene dal fatto che l’indice di Gini cresce da 0,374 a 0,376 se alle retribuzioni lorde annue da lavoro dipendente si aggiunge il valore di tali forme di compensazione. 

Figura 2: Importo medio dei fringe benefits, per decile della distribuzione dei salari lordi annui

Fonte: elaborazioni su dati EU-SILC 2019

Figura 3: Quota di fringe benefits appropriata dai lavoratori appartenenti ai diversi decili della distribuzione dei salari annui lordi

Fonte: elaborazioni su dati EU-SILC 2019

Se la distribuzione dei fringe benefits non venisse modificata dai nuovi incentivi introdotti nel Decreto Aiuti quater, lo sgravio fiscale finirebbe, quindi, per essere destinato quasi esclusivamente alla parte più ricca dei lavoratori dipendenti, i quali risultano già relativamente avvantaggiati dall’aver scelto una forma di sgravio (la deduzione dall’imponibile anziché la detrazione) che favorisce chi ha redditi più elevati ed è gravato da una più alta aliquota marginale. 

A conferma di una distribuzione dei fringe benefits a vantaggio dei lavoratori relativamente ‘più forti’ va segnalato come la quota di percettori aumenti al crescere della dimensione di impresa: è infatti pari al 15,7% nelle imprese con meno di 50 addetti e al 31,4% in quelle che superano questa soglia dimensionale.

I dati qui sintetizzati mostrano chiaramente come la detassazione dei fringe benefits dovrebbe comportare effetti contenuti sul tenore di vita dei lavoratori, essendo limitato sia il numero di beneficiari sia il valore delle forme di compensazione ricevute (e, dunque, della deduzione fiscale di cui si beneficerebbe). Similmente alle agevolazioni fiscali al welfare occupazionale di cui hanno trattato Jessoula e Pavolini sul Menabò, la misura presenta però chiari segnali di regressività, dato che avvantaggia quasi esclusivamente i dipendenti appartenenti alla parte alta della distribuzione dei salari.

I bassi (e diseguali) salari sono un enorme problema dell’economia italiana, come confermato dalla crescita della povertà lavorativa. E molte sono le possibili misure che si possono immaginare per contrastare tale problema. Tuttavia, qualsiasi strategia non emergenziale di incremento dei salari deve partire dall’assunto che essi dipendono prioritariamente dalle scelte di investimento delle imprese, a cui è legata la produttività, e dagli esiti della contrattazione fra sindacati e imprese, anche in relazione alle forme contrattuali da applicare. Al di là degli oneri per la finanza pubblica e degli effetti distributivi delle misure introdotte per coprire il costo delle agevolazioni fiscali, la via fiscale – di cui la detassazione dei fringe benefits rappresenta un limitato ma istruttivo esempio – non appare la strategia più equa ed efficiente per aumentare in modo strutturale i salari e sostenere i redditi dei meno abbienti.

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