ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 185/2023

14 Gennaio 2023

La disuguaglianza di reddito a livello globale: tempo di rivedere l’elefante*

Branko Milanovic sostiene che tra il 2008 e il 2018 si sono verificati cambiamenti nella disuguaglianza a livello globale che hanno modificato il noto grafico dell’elefante da lui introdotto per rappresentare le tendenze nel ventennio precedente. I principali fattori di cambiamento sono indicati nel rallentamento della crescita dei redditi dei più ricchi in USA e nella forte crescita della Cina, che è stata la principale causa della riduzione della disuguaglianza globale ma che anche se continuasse non potrà più avere questo effetto in futuro.

La distribuzione dei redditi a livello globale è cambiata senza che ce ne accorgessimo. Il periodo di “alta globalizzazione”, che va dalla fine del comunismo alla fine degli anni ’80 fino a quella che è diventata nota come la crisi finanziaria globale del 2008, è stato forse meglio descritto dal cosiddetto grafico dell’elefante (la curva blu nella figura sottostante), prodotto da Christoph Lakner e da me. Il grafico mostra che in questi due decenni si è avuto un aumento molto marcato dei redditi nella parte centrale della distribuzione globale, il punto A (possiamo chiamarlo “effetto Cina”), una crescita moltomodesta o prossima allo zero nell’80° percentile della distribuzione, il punto B (dove si trovano le classi medio-basse dei Paesi ricchi), e un forte aumento della quota di reddito appropriata dall’1 percento più ricco a livello globale, il punto C.

La popolarità del “grafico dell’elefante” si deve al fatto che forniva una conferma empirica di ciò che molti  pensavano. Il rapido aumento dei redditi asiatici coincideva con il declino delle classi medie occidentali e con l’ascesa dell’1% globale,e forse ne era la causa.

Questo modello di crescita del reddito non è tuttavia rimasto invariato nel decennio 2008-18, che si è concluso poco prima della pandemia. I dati recenti mostrano, al tempo stesso, continuità e cambiamento (la linea arancione nel grafico). La continuità è rappresentata da una crescita elevata, se non addirittura accelerata, dei redditi reali in Asia; il cambiamento è rappresentato, invece, da un significativo rallentamento della crescita nella parte alta della distribuzione.

Rallentamento occidentale. Per capire entrambi questi andamenti, dobbiamo tornare agli effetti della crisi del 2008. In realtà si è trattato di una crisi nord-atlantica. Mentre la crescita dei Paesi ricchi dell’Europa e del Nord America ha subito un   rallentamento o è addirittura diventata negativa (per i membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico nel suo complesso è stata negativa sia nel 2008 che nel 2009), la crescita in Asia, e in particolare in Cina, è rimasta praticamente inalterata.

Il rallentamento occidentale, dovuto alla natura finanziaria della crisi, ha colpito il reddito       dei più ricchi. Quello che è successo negli Stati Uniti è particolarmente istruttivo, oltre che molto importante, perché i cittadini statunitensirappresentano quasi la metà dell’1% più ricco a livello globale. 

Secondo le indagini sul reddito degli Stati Uniti (ulteriormente armonizzate dal Luxemburg Income Study), il 5% della popolazione statunitense ha perso circa il 10% in termini reali tra il 2008 e il 2010, e l’1% più ricco ha visto il proprio reddito ridursi di quasi un quinto. Negli anni successivi si è avuta una ripresa, ma il livello del 2007 è stato raggiunto solo nel 2015. Per i più ricchi statunitensi, e per estensione per i ricchi di tutto il mondo, è andato “perso” quasi un intero decennio. Questo spiega perché la proboscide dell'”elefante” (che rappresenta la crescita del reddito dei ricchi globali) si è abbassata rispetto al periodo di alta globalizzazione.

Per inciso, e andando oltre i limiti temporali della nostra analisi (2008-18), gli anni più recenti mostrano una continuazione di questa tendenza negli Stati Uniti. L’ampio programma di sostegno previsto dalla legge CARES (Coronavirus Aid, Relief and Economic Security), promulgata nel 2020, ha portato a una sostanziale diminuzione della disuguaglianza di reddito post-trasferimenti e post-tasse. Il coefficiente di Gini – che assume valore 0 in caso di completa uguaglianza e 100 se la disuguaglianza è infinita – per gli Stati Uniti è diminuito di oltre un punto, il calo maggiore inmezzo secolo. Ed è ironico che questo grande calo si sia verificato durante l’ultimo anno della presidenza di DonaldTrump.

Crescita continua in Asia. Tornando a quanto è accaduto tra il 2008 e il 2018, si nota la prosecuzione della rapida crescita cinese e indiana. In termini di prodotto interno lordo pro capite, la Cina è cresciuta del 7,5% all’anno, l’India del 6%. Questa crescita emerge anche dalle indagini sulle famiglie. Ad esempio, per la Cina urbana e rurale le indagini indicano una crescita media annua pro capite di circa il 10%, per l’India urbana dell’8% e per l’India rurale di pocoinferiore al 5%.

La crescita continua in Asia ha trasformato radicalmente la distribuzione del reddito globale in due modi. Ha aumentato le dimensioni della classe “mediana” globale e ha prodotto un rimescolamento delle posizioni nella distribuzione del reddito globale. Il primo effetto implica uno “spessore” maggiore della parte media della distribuzione globale. Il secondo che, con la crescita dei loro redditi, molti asiatici hanno superato nella classifica globale un buon numero di coloro che percepiscono redditi bassi nei paesi più ricchi. 

Questo effetto è illustrato molto bene dall’Italia, che non è cresciuta per oltre due decenni. Nel 1988, il decile più povero degli italiani si collocava al 73° percentile della distribuzione globale; 20 anni dopo, a seguito della crescita dei redditi asiatici e del fatto che i redditi di molti italiani sono stati superati da quelli di un ampio insieme di cinesi residenti in aree urbane, gli italiani a basso reddito sono scivolati in basso nella classifica globale, fino al 56° percentile. Un movimento simile verso il basso, ma meno drammatico, ha interessato il terzo più povero della popolazione tedesca e americana.

Questo movimento verso il basso è “posizionale”: non implica necessariamente una diminuzione dei redditi    reali e, infatti, in molti casi i redditi reali non sono diminuiti. Esso implica, invece, un rallentamento della crescita del reddito per coloro che, nei paesi ricchi, si collocano nei decili che ricadono “all’interno del campo” di aumento dei redditi cinesi.

Nuova dinamica globale. L’attuale rimescolamento è, probabilmente, il più grande dai tempi della rivoluzione industriale. Esso introduce una dinamica globale completamente nuova, perché negli ultimi due secoli le personeprovenienti dai Paesi occidentali e dal Giappone avevano “il controllo” quasi completo del quintile superiore a livello globale (naturalmente, anche molte persone provenienti da altri Paesi si trovavano nel quintile superiore, ma non erano milioni). Questo “controllo” si era già indebolito con l’ingresso della Cina in questo ‘circolo’ e, se i differenziali nei tassi di crescita tra l’Asia “emergente” e l’Occidente continueranno, si indebolirà ulteriormente.

Il rimescolamento delle posizioni non implica di per sé una riduzione della disuguaglianza globale. Da quando è iniziata l’attuale era della globalizzazione, la disuguaglianza si è ridotta quasi interamente grazie alla rapida crescita cinese. Maora che la Cina è un Paese a reddito medio-alto, matematicamente la sua ulteriore crescita non riduce più la disuguaglianza globale. Anzi, potrebbe iniziare a contribuire all’aumenta della disuguaglianza globale, dato che la distanza di reddito tra la Cina e i popolosi Paesi africani aumenta.

Così, mentre possiamo attenderci che nella prossima fase della globalizzazione si rafforzi ulteriormente la “classe media” globale, ciò che accadrà alla disuguaglianza globale dipenderà in modo cruciale dalla crescita dell’India e dei popolosi Paesi africani: Nigeria, Egitto, Etiopia, Tanzania, Congo. La nostra attenzione dovrà essere rivolta all’Africa.


* Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Social Europe IPS-Journal.

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