La disuguaglianza è una scelta politica

Alessandra Cataldi e Eleonora Romano sintetizzano la lezione che il premio Nobel Joseph Stiglitz ha tenuto in occasione della prima lezione Tarantelli sul tema “Disuguaglianze e rendite”. Dopo aver presentato alcuni dati relativi alla crescita imperiosa delle disuguaglianze negli Stati Uniti e in Europa, Stiglitz ha ragionato sulle cause di questa crescita, sottolineando come essa non sia dipesa da “leggi economiche naturali”, ma, piuttosto, da deliberate scelte di politica economica che hanno favorito l’accumularsi di rendite ingiustificate.

Il 3 maggio si è tenuta presso la facoltà di Economia dell’Università La Sapienza la prima “lezione Ezio Tarantelli”, dedicata alla memoria dell’economista tragicamente ucciso dalle brigate rosse il 27 marzo 1985. L’incontro, organizzato dal Centro Interuniversitario di Ricerca Ezio Tarantelli (CIRET), con il sostegno della Banca d’Italia e dell’Istat, ha ospitato la lezione del premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz sul tema “Inequality and Rents”. La questione affrontata nella lezione è se le crescenti disuguaglianze dei redditi che si osservano negli Stati Uniti e in Europa (anche se in modo meno accentuato) siano il frutto di “leggi economiche naturali” o, piuttosto, di deliberate scelte di politica economica che hanno favorito l’accumularsi di rendite ingiustificate. Come vedremo, la risposta di Stiglitz è che le crescenti disuguaglianze originano dal modo in cui sono state definite le regole del gioco e la struttura dei mercati. La questione va affrontata sia per i suoi risvolti sociali e morali, sia perché le disuguaglianze comportano performance economiche peggiori.

Gli Stati Uniti sono il Paese avanzato con le disuguaglianze più accentuate. Il problema, che emerge a partire dalla seconda metà del secolo scorso, si è aggravato in modo particolare durante la crisi economica. Tuttavia, anche nell’attuale fase di ripresa, la crescita del PIL rischia di mascherare meccanismi distributivi profondamente iniqui.

In particolare, come emerge dalla Figura 1, dagli anni ’70 del secolo scorso negli Stati Uniti la dinamica dei redditi del 90% meno ricco della popolazione è rimasta sostanzialmente stagnante, mentre i redditi dell’1% più ricco della popolazione sono cresciuti di oltre quattro volte. Stiglitz sottolinea che tale andamento non ha giustificazioni economiche (legate, ad esempio, ad aumenti di produttività), ma riflette posizioni di potere che hanno dato luogo a rendite immotivate. Un caso emblematico è rappresentato dall’esorbitante crescita dei redditi degli amministratori delegati di banche e società americane che sono poi risultate sull’orlo del fallimento.

Figura 1. Andamento del reddito medio del 1% più ricco e dal 90% meno ricco della popolazione in U.S.A.

Schermata 05-2457889 alle 22.39.13

Fonte: World Wealth and Income Database

Anche in Europa, nello stesso periodo, si assiste ad una dinamica analoga, sebbene emergano significative differenze tra Paesi. Ad esempio, l’aumento del divario tra i redditi dell’1% più ricco e del 90% meno ricco della popolazione è particolarmente accentuato nel Regno Unito, mentre in Italia, Francia e Spagna il fenomeno è più contenuto (Figure 2 e 3).

Figura 2. Andamento del reddito medio del 1% più ricco e dal 90% meno ricco della popolazione in Europa

Schermata 05-2457889 alle 22.39.34

Fonte: World Wealth and Income Database

Figura 3. Andamento del reddito medio del 1% più ricco e dal 90% meno ricco della popolazione in Italia

Schermata 05-2457889 alle 22.39.48

Fonte: World Wealth and Income Database

La dinamica della disuguaglianza è ancora più eclatante se si considera la quota di reddito complessivo appropriata dall’1% più ricco della popolazione. Come emerge dalla Figura 4, a partire dagli anni ’70 nella maggior parte dei Paesi avanzati si rileva un progressivo aumento della quota di reddito dell’1% più ricco della popolazione. Nel 2015, negli Stati Uniti il top 1% si appropria di circa il 18% del reddito complessivo, mentre tale quota è pari a circa il 13% in Regno Unito, Germania e Canada e a circa il 10% in Italia, Francia e Giappone.

Figura 4. Quota di reddito complessivo appropriato dall’1% più ricco della popolazione

Schermata 05-2457889 alle 22.40.04

Stiglitz evidenzia che la disuguaglianza dei redditi non implica solo ingiustificate sperequazioni di reddito, ma si traduce anche in disuguaglianze di opportunità. Contrariamente al mito del sogno americano, gli Stati Uniti sono il Paese avanzato in cui le prospettive di vita individuali sono maggiormente condizionate dal reddito dei genitori. Inoltre, le disuguaglianze nei redditi sono correlate ad inique condizioni di accesso a beni fondamentali, quali, ad esempio, la Giustizia e la Sanità. In particolare, tra gli americani appartenenti alle classi meno abbienti si sta osservando un preoccupante aumento della mortalità e una quota crescente di decessi è dovuta a suicidi eabuso di alcool e droghe.

La domanda che Stiglitz si pone è se le contenute disuguaglianze sperimentate nel secondo dopoguerra non corrispondano in realtà ad un’anomalia dovuta alla forte coesione sociale che caratterizzava quel periodo, come reazione alle fratture che la guerra aveva causato. Secondo questa ipotesi, la crescente disuguaglianza registrata a partire dagli anni ’70 e ‘80 del secolo scorso deriverebbe dall’esaurirsi di tale reazione e dal ritorno allo “stato naturale del capitalismo”. L’ipotesi alternativa è che l’alto livello di disuguaglianza che oggi osserviamo nella maggior parte dei Paesi avanzati sia il risultato non delle forze inesorabili che regolano l’economia ma delle politiche adottate dai governi e, quindi, di come sono stati strutturati i mercati.

Nella ricerca di modelli economici in grado di spiegare la disuguaglianza, Stiglitz segnala, innanzitutto, che la cosiddetta “trickle down economics”, secondo la quale avvantaggiare le classi più abbienti avrebbe di per sé effetti positivi su tutta la società, non appare dimostrata. Al contrario, le economie che presentano livelli di disuguaglianza più contenuti hanno migliori perfomance. Inoltre, anche la legge di Kuznets, secondo cui nello stadio iniziale di sviluppo di un’economia si verifica un aumento delle disuguaglianze e successivamente, dopo aver raggiunto un certo sviluppo, le disuguaglianze si riducono, sembra smentita.

Con riferimento al modello concorrenziale, Stiglitz ricorda che la disuguaglianza può prodursi a causa di un’iniqua distribuzione di risorse quali il capitale umano e finanziario, derivante dalla trasmissione intergenerazionale di vantaggi attraverso le dinamiche del risparmio o l’accesso a network privilegiati. Alle disuguaglianze direttamente prodotte dall’evoluzione dei mercati si dovrebbero poi aggiungere quelle derivanti dalle modifiche degli schemi di tassazione e trasferimento.

Stiglitz menziona anche la spiegazione delle disuguaglianze fornita dall’economista francese Thomas Piketty nel suo “Il capitale nel XXI secolo” e fondata sulla tendenza del tasso di rendimento del capitale ad essere maggiore del tasso di crescita del reddito nel lungo periodo. A detta di Stiglitz, l’interpretazione di Piketty non è sufficiente a spiegare la “disconnessione” tra evoluzione dei salari medi ed evoluzione della produttività che si verifica a partire dalla metà degli anni ’70 del secolo scorso.

Ancora, Stiglitz osserva che, secondo la teoria della produttività marginale, i premi privati corrisponderebbero ai benefici sociali, costituirebbero cioè “giusti” compensi per la ricchezza creata. Tuttavia, benefici sociali e compensi privati possono non coincidere quando vi sono fallimenti di mercato: informazioni imperfette e asimmetriche, esternalità, monopolio, discriminazione. I fallimenti del mercato portano alla creazione di rendite, che diventano fonte di disuguaglianze.

La spiegazione proposta da Stiglitz delle crescenti disuguaglianze fa dunque capo al processo di “riscrittura delle regole del gioco”, iniziata tra gli anni ’70 e ’80, che ha consentito la creazione di rendite. In generale, abbiamo assistito ad una “finanziarizzazione dell’economia”, a una cattiva gestione della globalizzazione e a una riduzione della concorrenza. Conseguenze rilevanti si sono quindi avute in termini di instabilità finanziaria ed economica e maggiore concentrazione delle risorse economiche. Una delle forme più evidenti di rendita creatasi in questo processo ha riguardato le grandi corporations, nelle quali il top management ha sfruttato il proprio potere per accaparrarsi vantaggi, spesso in nome di retribuzioni incentivanti che hanno sottratto risorse agli investimenti. Al contempo, le modifiche dei sistemi fiscali e la deregolamentazione dei mercati hanno portato benefici soltanto ad una esigua minoranza, accrescendo le disuguaglianze e rallentando la crescita. In termini di coesione sociale, l’inasprirsi delle disuguaglianze ha condotto alla perdita di fiducia nelle istituzioni, nel sistema economico e politico.

Il messaggio conclusivo di Stiglitz appare però positivo. Da un lato, egli richiama l’opportunità di un’opera di innovazione istituzionale fondata su un rinnovato senso di fiducia e lealtà e su migliori sistemi di condivisione del rischio sociale. Dall’altro, sottolinea che soluzioni alternative, non ispirate al mero profitto individuale, hanno dato prova di funzionare: dai sistemi di micro-credito basati su modelli cooperativi ai sistemi di profit-sharing aziendale.

Nel corso della tavola rotonda che ha fatto seguito alla lezione sono emerse interessanti riflessioni. Il Presidente dell’INPS, Tito Boeri, ha insistito sulla necessità di riformare i sistemi di sicurezza sociale, in modo da favorire lo spostamento dei lavoratori fra settori produttivi. Il Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha ricordato che, a livello G20 e G7, obiettivo dichiarato è una crescita forte, sostenibile ed inclusiva e che per contrastare la disuguaglianza sono necessari sforzi congiunti a livello internazionale. Si è poi soffermato sulla dimensione “lavoro” nel dibattito sull’Unione monetaria europea, sottolineando la necessità di uno strumento comunitario contro il rischio di disoccupazione ed ha ricordato che l’Italia è stato il primo Paese a inserire gli indicatori di benessere equo e sostenibile all’interno della programmazione economica e di bilancio.

Elena Granaglia, docente di Scienza delle Finanze all’Università di Roma Tre, ha osservato che le attuali disuguaglianze appaiono ingiuste sia da un punto di vista procedurale che dei risultati e ha sollevato dubbi circa l’efficacia dei tradizionali strumenti di lotta alla disuguaglianza proposti dalla maggior parte degli economisti, suggerendo interventi più radicali che modifichino il sistema di mercato, dando maggiore spazio a elementi “più sociali”.

Infine, Andrea Brandolini, capo del Servizio Analisi Statistiche della Banca d’Italia, ha ricordato l’importante ruolo di redistribuzione svolto dallo Stato e la necessità di considerare non solo i redditi di mercato, ma i redditi disponibili una volta che la redistribuzione ha avuto luogo.

In conclusione, il messaggio della lezione di Stiglitz è che la disuguaglianza attuale è una scelta, volontariamente perseguita attraverso i sistemi politici ed economici. Di conseguenza, possiamo affrancarci da tale scelta soltanto ripensando le regole del gioco, considerando non solo politiche redistributive ma anche strategie di pre-distribution, fondate su interventi che prevengano ex ante il formarsi di disuguaglianze sui mercati, in una visione di insieme che concepisca il benessere oltre il PIL e consenta di innovare profondamente le istituzioni che regolano economia e società.

* I commenti espressi sono personali e non coinvolgono le istituzioni di appartenenza.

Schede e storico autori