La disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza e i confronti internazionali: alcune avvertenze

Francesco Bloise richiama l’attenzione sui numerosi problemi che sorgono quando si effettuano comparazioni internazionali sui dati relativi alla distribuzione della ricchezza. In particolare, Bloise ricorda che non tutte le componenti della ricchezza vengono contabilizzate e si sofferma, documentandone la rilevanza, sull’influenza che possono avere le caratteristiche dei sistemi previdenziali per il diverso effetto che esercitano sulla propensione ad accumulare ricchezza pensionistica privata.

In questa scheda si presentano alcuni dati sulla distribuzione della ricchezza nei principali paesi sviluppati e si discutono le difficoltà che le differenti strutture istituzionali pongono alla loro comparazione.

Tutte le analisi empiriche sono concordi nel mostrare che la distribuzione della ricchezza – solitamente rappresentata dal valore delle attività patrimoniali (mobiliari e immobiliari) al netto di eventuali debiti – è storicamente (e sensibilmente) più diseguale della distribuzione di altre variabili economiche, come il reddito o le retribuzioni da lavoro (si ricordi che redditi e retribuzioni sono grandezze-flusso – indicano, cioè, quanto si percepisce in un dato intervallo di tempo, solitamente l’anno – mentre la ricchezza è uno stock e si riferisce al patrimonio accumulato).

Nei paesi OCSE l’indice di concentrazione di Gini riferito ai redditi familiari disponibili equivalenti oscilla, infatti, tra 0,30 e 0,50 mentre quello relativo alla ricchezza è compreso tra 0,50 e 0,80. Inoltre, la ricchezza è ancora più concentrata dei redditi nella parte alta della distribuzione: il 10% più ricco detiene, infatti, tra il 39 e il 76% della ricchezza totale.

Più in dettaglio, J. Davies ( in un saggio pubblicato sull’Oxford Handbook of Economic Inequality nel 2009) ha esaminato gli indici di concentrazione della ricchezza in 17 paesi sviluppati, ricavati dalle indagini campionarie del WIDER/UNU o del Luxembourg Wealth Study, le due banche dati che consentono di effettuare comparazioni internazionali sulla distribuzione della ricchezza (tabella 1). Tali dati mettono in luce, in particolare, come la concentrazione della ricchezza, pur essendo ovunque molto elevata, raggiunga livelli molto diversi nei vari paesi.

Nei casi in cui sono disponibili i risultati di entrambe le indagini è possibile classificare i vari paesi, sulla base dell’indice di Gini, in tre gruppi: paesi molto diseguali, mediamente diseguali e paesi a diseguaglianza relativamente bassa. Del primo gruppo fanno parte la Svezia e gli Stati Uniti; del secondo Germania, Canada e Regno Unito; al terzo appartengono Italia e Finlandia.

Per una corretta valutazione di questi dati è, però, necessario tenere presenti i problemi che si pongono nella misurazione della distribuzione della ricchezza in diversi paesi e, soprattutto in un contesto di comparazione internazionale. Tali problemi scaturiscono soprattutto dalle diversità istituzionali che incidono sulla propensione (e anche sulla necessità) dei singoli ad accumulare ricchezza.

Tab 1 - La concentrazione della ricchezza in alcuni paesi OCSE

In primo luogo va sottolineato che misurare la ricchezza è più difficile che misurare i redditi. Le indagini più comunemente utilizzate concentrano la propria attenzione sulla cosiddetta ricchezza marketable, cioè su tutti quelle attività patrimoniali in grado di essere negoziabili sul mercato. Tali attività dovrebbero idealmente includere i contanti, i depositi e altre attività liquide, titoli azionari, obbligazionari e altre attività finanziarie, business equity, alloggi e altre attività immobiliari e, infine, i beni di consumo durevoli, inclusi gli oggetti d’antiquariato, le opere d’arte e gioielli. Nello stock di ricchezza dovrebbe, inoltre, essere inclusa la ricchezza pensionistica accumulata, ovvero i diritti alle future prestazioni attesi da lavoratori e pensionati. In molti casi, soprattutto laddove esista un ampio sistema previdenziale pubblico, questa è la principale fonte di ricchezza per individui e famiglie.

Nella realtà non tutte le informazioni sulle varie fonti di ricchezza sono disponili in ogni paese. Solitamente, sono esclusi dalle indagini i diritti connessi alle pensioni di anzianità o vecchiaia, pubbliche o private, dal momento che non rappresentano attività negoziabili e (pur non senza differenze tra i diversi paesi) i beni di consumo durevoli diversi dai veicoli. Per formarsi un’idea di come l’inclusione o meno delle pensioni possa modificare il quadro delle comparazioni internazionali, si pensi a quale dovrebbe essere l’ammontare del risparmio privato accumulato dai lavoratori per una vecchiaia sicura in paesi privi di estesi sistemi previdenziali; al contrario, in presenza di sistemi previdenziali generosi l’accumulazione di ricchezza privata per la vecchiaia è poco rilevante e, probabilmente, viene effettuata soltanto dai più abbienti. Una così rilevante differenza istituzionale agisce, dunque, sulle motivazioni ad accumulare ricchezza e, dunque, sulla distribuzione di questa.

Se si tenesse conto della ricchezza pensionistica gli indici di diseguaglianza tenderebbero a diminuire, e sarebbe così in misura maggiore nel caso dei sistemi con pensioni pubbliche, solitamente più redistributivi. Ad esempio, se si fosse aggiungendo ai dati sulla ricchezza il patrimonio pensionistico, l’indice di Gini della ricchezza nel Regno Unito sarebbe sceso, con riferimento al 1993, da 0.65 a 0.48 (Davies e Shorrocks, 2000). L’effetto redistributivo registrato in alcuni paesi è però tendenzialmente in diminuzione, a causa del passaggio a schemi pubblici a contributo definito (in cui le pensioni dipendono esattamente da quanto versato da giovani); analogamente, più contenuti sono gli effetti di riduzione della sperequazione della ricchezza nei sistemi pensionistici privati (a cui accedono sovente soprattutto gli individui più abbienti).

In generale, il livello di diseguaglianza della ricchezza non è in molti casi un indicatore preciso della diseguaglianza del benessere materiale dei residenti in un paese. Politiche pubbliche e di welfare possono, infatti, incrementare sensibilmente il benessere degli individui più poveri fornendo trasferimenti pubblici in maniera più o meno gratuita, riducendone però l’incentivo a risparmiare e, dunque, ad accumulare ricchezza (anche al fine di acquisto di proprietà immobiliari). Nella tabella 1 potrebbe apparire sorprendente il dato della Svezia, paese che viene presentato usualmente tra i più egualitari. La ragione di questa apparente contraddizione risiede nel fatto che se non è troppo elevata la quota di ricchezza detenuta dall’1 o dal 10% più ricco della popolazione, è, però, molto bassa la ricchezza posseduta da una grande porzione della popolazione. Secondo le statistiche ufficiali, la ricchezza del 30% degli svedesi è addirittura negativa. Questo risultato, che potrebbe riflettere anche qualche errore di misurazione, è dovuto alla notevole incidenza dell’indebitamento e alla bassa percentuale di individui che risiedono in alloggi di proprietà che, a loro volta, risentono delle politiche per l’housing che facilitano l’accesso a mutui oltre che del generoso sistema pensionistico pubblico svedese.

Analogamente, la diseguaglianza di ricchezza relativamente limitata che si osserva in Italia è legata all’ampio possesso delle proprietà immobiliari nel nostro paese che risente, anche, delle croniche criticità del mercato degli affitti e delle quasi inesistenti politiche di edilizia pubblica agevolata.

Un altro aspetto da non trascurare nelle comparazioni internazionali riguarda la scelta dell’unità di analisi, che può essere la famiglia intesa come insieme di persone che convivono a prescindere dalle relazioni di parentela, la famiglia intesa nel senso più comune o l’individuo adulto. Diversamente dalle analisi sui redditi, in cui l’attenzione primaria viene rivolta ai nuclei familiari, gli studi sulla ricchezza tendono a focalizzarsi sugli individui, dato che, in questo casi, il diritto di proprietà individuale risulta cruciale. E’ tuttavia evidente, anche dalla tabella 1, che la gran parte dei dati sulla concentrazione ricchezza di fonte campionaria si basa sulla famiglia (intesa nelle due possibili accezioni) e non sull’individuo (al quale, invece, si riferiscono i dati fiscali).

I dati estratti da indagini campionarie soffrono inoltre di numerosi errori di misurazione dovuti al campionamento e, in particolare, alla forma della distribuzione della ricchezza che, essendo molto asimmetrica, può condurre ad una sottostima della diseguaglianza e dell’incidenza della coda più ricca della popolazione. Tale problema può essere minimizzato sovra-campionando, attraverso tecniche sofisticate, la porzione più ricca della popolazione, quella soggetta a distorsione. Un’altra categoria di errori di misurazione non da campionamento è connessa all’assenza di risposta da parte di alcune unità (principalmente le più ricche) o alle risposte frammentarie che distorcono, solitamente verso il basso, l’ammontare misurato del patrimonio mobiliare o dell’indebitamento. Ad esempio, le indagini campionarie tendono a mostrare un valore dei titoli azionari e obbligazionari pari generalmente a circa il 70-80% del valore effettivo.

In conclusione, quando si decide di confrontare la diseguaglianza nella ricchezza tra i diversi paesi, è fondamentale essere consapevoli delle notevoli problematiche metodologiche connesse alla natura e alle fonti dei dati, alla misurazione delle diverse componenti della ricchezza, all’unità di riferimento presa in considerazione e ad una serie di altre questioni, riguardanti le caratteristiche istituzionali di un paese, in primis il sistema di welfare e il grado di sviluppo dei mercati finanziari, e la loro influenza sulle motivazioni ad accumulare ricchezza o a indebitarsi e, dunque, sulla diseguaglianza della distribuzione della ricchezza.

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