La “grand challenge” della Pubblica Amministrazione italiana, tra ripresa e resilienza

Achille Paliotta esamina le recenti iniziative governative nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza riferite alla Pubblica Amministrazione (PA). Dopo aver sottolineato l’importanza della PA sull’asse della digitalizzazione e della modernizzazione del Paese, Paliotta illustra gli snodi organizzativi che tale processo potrebbe innescare. La conclusione è che non deve perdersi l’occasione di attuare un vasto movimento riformatore della PA che, alla luce degli infruttuosi recenti tentativi di riforma, può essere considerato una grand challenge.

«A causa delle dimensioni e della stabilità di organizzazione e funzionamento, le amministrazioni pubbliche cambiano ad una velocità inferiore a quella del contesto politico, economico e sociale in cui si trovano ad operare»

(Cassese, L’età delle riforme amministrative, 2001:80)

 

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) – Next Generation UE approvato dal Consiglio dei ministri il 12 gennaio scorso contiene importanti interventi per la Pubblica Amministrazione (PA) sull’asse digitalizzazione e modernizzazione. Gli ambiti settoriali vanno dalla sanità alla scuola, dalla giustizia alla cultura, dal fisco alla ricerca.

Complessivamente i fondi a disposizione ammontano a 11,45 miliardi (fonte: Ministero per la Pubblica Amministrazione). Le tre voci principali riguardano:

1) 7,95 miliardi per la Digitalizzazione, suddivisi in 5,57 miliardi per la Cittadinanza Digitale, Servizi e Piattaforme Abilitanti; 1,25 miliardi per le Infrastrutture digitali e cyber security; 1,13 miliardi per i Dati e l’interoperabilità;

2) 1,5 miliardi per la Modernizzazione, suddivisi in 720 milioni per la PA Competente: rafforzamento e valorizzazione del capitale umano; 480 milioni per la PA Semplice e connessa: semplificazione delle procedure e digitalizzazione dei processi; 210 milioni per la PA Capace: reclutamento di capitale umano; 100 milioni per la PA Smart: creazione di poli territoriali per il reclutamento, la formazione, il co-working e lo smart-working;

3) 2 miliardi per l’Innovazione organizzativa della Giustizia.

Al di là dei possibili, sicuramente modesti, cambiamenti nelle cifre finali la somma in gioco è rilevantissima, sia per l’intero Paese sia per la Pubblica Amministrazione italiana. Si tratta di uno sforzo di investimento, da realizzare in tempi brevi, che lo fa avvicinare a una sorta di odierno piano Marshall per alimentare la ripresa, la digitalizzazione e la modernizzazione, in un’ottica di lunga durata e da qui l’enfasi sulla resilienza e sul debito “buono”. L’urgenza dettata dai tempi strettissimi, già fissati a livello comunitario, e la magnitudine della crisi attuale pone l’Italia, nonché l’Europa tutta, di fronte a una sfida senza precedenti per la quale non ci saranno soluzioni di facile portata. Si tratta insomma, tipicamente, di una grand challenge soprattutto per la Pubblica amministrazione italiana- di fatto lo specchio del Paese – di come non se ne vedevano da tempo.

Una grand challenge è tipicamente uno sforzo considerevole messo in atto al fine di affrontare e risolvere un problema di elevato impatto societario, di esperire le diverse possibilità ed opzioni che sono date, di valutare i rischi connessi nonché di cercare di avanzare velocemente su una determinata materia. Alla sua risoluzione dedicano attenzione accademici, scienziati, politici, giornalisti, funzionari e l’opinione pubblica in generale.

È bene sottolineare perché si tratta di una sfida così importante per il Paese: la PA è un acronimo sotto cui si celano i molteplici “volti della Repubblica” (cit. Mattarella) i quali si presentano al cittadino sotto forma di servizi che fanno la differenza nella vita di milioni di italiani (sicurezza, salute, istruzione, ricerca, giustizia, ecc..). In questo senso, la PA è il nucleo fondante dello Stato, è ciò che trasforma le norme e le procedure del vivere comune in servizi concreti e rende agibile o meno lo stesso esercizio della cittadinanza di un Paese.

Il Ministro della Funzione pubblica, il 9 marzo, in un’audizione alle Commissioni riunite di Camera e Senato, ha presentato le proprie linee programmatiche enfatizzando le opportunità che il PNRR concede quali l’improrogabilità dei tempi, la portata della sfida e la condivisione degli sforzi da mettere in essere tra Esecutivo, Parlamento e società intera. Per ragioni di spazio farò menzione soltanto di alcune delle proposte (l’elenco completo è accessibile a questo link): l’introduzione di nuove risorse professionali; la realizzazione di un “Portale unico” per le procedure di reclutamento e assunzione; la semplificazione delle procedure amministrative, l’ingegnerizzare dei processi e delle procedure prima della trasformazione digitale; l’implementazione di sistemi di monitoraggio e valutazione degli effetti delle politiche adottate; lo sviluppo delle competenze e delle carriere; la razionalizzare dell’offerta e la programmazione della formazione esistente; l’utilizzo delle tecnologie avanzate (intelligenza artificiale, big data, ecc.).

Senza approfondire le linee programmatiche – che discendono sostanzialmente dalla Commissione europea e che paiono oltremodo condivisibili – cercherò di mettere in evidenza come la grand challenge della PA potrà essere portata a termine con successo solo se toccherà in profondità molteplici aspetti del settore pubblico. L’attuazione del PNRR porterà alla luce, difatti, alcuni nodi organizzativi, da lungo tempo trascurati, tra i quali ricordo i seguenti:

ri-centralizzazione delle politiche pubbliche; se nel recente passato si erano avuti spostamenti, più o meno vistosi, di competenze e materie tra il centro e la periferia la pandemia, e la situazione economico-sociale venutasi a creare, fa registrare una tendenza di segno opposto;

– l’affiorare di un vincolo esogeno; il processo riformatore della PA, qualora si riuscisse ad avviarlo concretamente, sarà stato originato, come spesso è accaduto anche in passato, da una “domanda” esterna al sistema stesso, determinato da specifiche esigenze di funzionalità connesse all’economia e alla politica, in questo caso dalle risorse del PNRR. Per la stessa strutturazione delle amministrazioni pubbliche e per la loro dipendenza dalla politica il principale motore della riforma è sempre stato di origine esterna. In questo caso, si tratterebbe di un esplicito processo di europeizzazione basato sull’incentivazione finanziaria, al fine di favorire il processo di convergenza comunitario;

creazione di valore pubblico; qualsiasi innovazione nella PA, compresa quella abilitata dalle tecnologie digitali, dovrebbe avere come obiettivo finale la creazione di un valore pubblico. Ma cosa significa ciò nella PA? Essa non è direttamente soggetta a processi e metriche tipiche del mercato ma potrebbe essere inquadrata benissimo, all’inverso, nella tripartizione elaborata da Hirschman (exit, voice, loyalty);

nuove forme organizzative e nuovi poteri decisionali; si dovrebbero sperimentare nuove forme organizzative “agili” capaci di interconnettere in maniera feconda, orientata al risultato, i vari soggetti presenti nel reticolo istituzionale del PNRR. Ne è un sintomo la governance complessiva del Piano, la quale farà capo al MEF ma che si avvarrà anche del coinvolgimento del Ministero per l’innovazione tecnologica e la transizione, del Ministero della transizione ecologica e del Ministero per il Sud e la coesione territoriale. La responsabilità primaria sui progetti (investimenti e riforme) rimane, comunque, dei singoli ministeri, i quali dovranno lavorare congiuntamente laddove la trasversalità degli obiettivi e degli interventi previsti lo richieda;

– possibile tensione tra legittimazione politica e competenza tecnica-amministrativa; i rapporti tra la funzione di indirizzo politico e quella di gestione dell’amministrazione avevano trovato una loro sistemazione nelle riforme degli anni Novanta del secolo scorso, superata poi dalla legge sullo spoil system. Oggigiorno, è facile prevedere che qualora gli ingranaggi della macchina, messa in moto dal PNRR, dovessero incepparsi si addiverrebbe, inevitabilmente, alla messa in discussione di questo mai facile equilibrio;

– necessità di forme di semplificazione dell’azione amministrativa; senza un esteso processo di delegificazione dei controlli attuali, i cosiddetti “colli di bottiglia” dei processi decisionali, sarà quasi impossibile raggiungere gli obiettivi prefissati dal PNRR;

diffusione dell’informatica e delle nuove tecnologie; l’effetto è stato quasi nullo nella situazione pre-pandemica riguardo alla de-burocratizzazione dei processi amministrativi e all’avvento di forme via via più “agili”, le quali, tuttavia, nella situazione odierna hanno mostrato tutta la loro rilevanza organizzativa. Bisognerebbe adeguare, tuttavia, le procedure burocratiche ai dettami del codice informatico (Lessig, Code is Law, 1999) e non viceversa, come pure era stato fatto nel recente passato;

– necessità di adottare un framework organizzativo che qui viene compendiato come Job Skill Governance (JSG), di cui si era già trattato in precedenza, in quanto la cultura dell’innovazione e le correlate competenze sono divenute una delle risorse più importanti per tutte le organizzazioni, anche quelle pubbliche, a prescindere dalla loro dimensione economica e operativa. In questo senso, la JSG può essere intesa come la declinazione, in un ambiente organizzativo, perlopiù strutturato e regolamentato, di un meccanismo creato al fine di assicurare il giusto bilanciamento tra domanda e offerta di competenze al fine di assicurare all’ente pubblico il consolidamento e l’ulteriore sviluppo. A questo riguardo, il reclutamento di nuove competenze tecnico-specialistiche è uno dei punti di forza del PNRR, anche mediante soluzioni concorsuali in uso presso le imprese private quali il proctoring, vale a dire una supervisione digitale delle prove di esame.

In definitiva, l’adozione del PNRR dovrebbe favorire – al netto delle resistenze al cambiamento, sempre presenti in un’amministrazione così variegata – un deciso mutamento di paradigma organizzativo e culturale, superando così uno degli ostacoli che hanno finora impedito alle migliori intenzioni riformatrici della PA di concretizzarsi. Resta inteso che la digitalizzazione dei processi/servizi offerti e la qualità del personale costituiranno gli elementi decisivi per affrontare la grand challenge della PA non solo con un efficace assetto organizzativo ma anche, e soprattutto, con un’idonea visione complessiva. L’attuale situazione obbliga, dunque, a promuovere fortemente, nella PA, un ambiente organizzativo in cui l’innovazione possa rappresentare la pratica corrente e la sua valorizzazione, a tutti i livelli organizzativi, una delle priorità dei decisori politici.

*Le opinioni espresse in questo articolo impegnano la responsabilità dell’autore e non necessariamente riflettono la posizione dell’Ente di appartenenza.

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