ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 184/2022

18 Dicembre 2022

La guerra ai tempi delle piattaforme digitali

Andrea Coveri, Claudio Cozza e Dario Guarascio analizzano il ruolo che le grandi piattaforme digitali svolgono in tempi di guerra e, in particolare, forniscono evidenze della sempre crescente integrazione tra piattaforme digitali, da un lato, e comparto militare, dall’altro. Coveri, Cozza e Guarascio richiamano l’attenzione sulla “mutua dipendenza” che si è venuta sviluppando tra Stati e piattaforme e indicano i gravi rischi che possono nascere da tale dipendenza.

Lo scorso ottobre, l’improvviso arresto dell’infrastruttura satellitare Starlink  – il sistema di proprietà della Space-X che garantisce la connessione Internet ai civili e, soprattutto, ai militari ucraini operanti nelle zone di più aperto conflitto – ha rischiato di compromettere un’operazione militare decisiva condotta dall’esercito nella regione orientale del paese. Pochi giorni dopo, il fondatore e CEO di Space-X, Elon Musk, ha avviato una contrattazione con il governo degli Stati Uniti al fine di ottenere il finanziamento dell’infrastruttura che, sino a quel momento, aveva lasciato intendere di aver “donato” al governo ucraino. Circa un mese più tardi, lo stesso Musk ha perfezionato l’acquisto della piattaforma ove si forma (ed è possibile manipolare) l’opinione pubblica globale –Twitter – e sostenuto di poter discutere direttamente con Putin i termini di una trattativa per il cessate il fuoco. Nel mese di giugno, quando la guerra russo-ucraina era già in corso da più di tre mesi, Amazon Web Services (AWS), la divisione di Amazon che gestisce i servizi cloud, ha reso noto come già il 24 di febbraio il suo personale tecnico era ‘sul territorio ucraino per garantire il più rapido passaggio di tutti i dati e le infrastrutture informative pubbliche rilevanti al cloud gestito da AWS’. Oggi, AWS gestisce la totalità dei dati del governo, delle amministrazioni pubbliche rimaste attive e delle principali banche commerciali ucraine. 

Di cosa ci parlano questi eventi? È in atto una ‘privatizzazione’ della guerra? Si tratta di un’ipotesi plausibile, ma solo in parte. Da un lato, i mortiferi protagonisti di questo conflitto sono gli stessi di sempre: gli Stati nazionali con i loro eserciti regolari, i mercenari, i servizi segreti e i media in grado di distorcere la realtà. Dall’altro, il ruolo determinante svolto all’interno del conflitto da una manciata di grandi piattaforme digitali segna una discontinuità importante rispetto al passato e costituisce un fenomeno di rilievo che va ben al di là della guerra in corso. Si tratta del manifestarsi di quella che, in questa sede, definiremo la mutua dipendenza che lega Stati e imprese transnazionali digitali, quest’ultime rappresentate in special modo da piattaforme quali Amazon, Alphabet (Google), Meta (Facebook) e Microsoft.

In ambito militare, la crescente integrazione tra Stato e piattaforme può essere rilevata anche sul piano empirico. Le evidenze che seguono anticipano alcuni dei risultati contenuti in un lavoro di prossima pubblicazione – Coveri, A., Cozza, C. e Guarascio D. (2023) Digital platforms, imperialism and war – con riferimento agli Stati Uniti. La Figura 1 mostra come, dal 2008 al 2021, il valore monetario delle commesse pubbliche ottenute dalle quattro principali piattaforme digitali e stipulate con il Dipartimento della Difesa (DoD) e altre agenzie federali legate ai comparti difesa e sicurezza sia cresciuto in modo costante. La Tabella 1, invece, riporta i dettagli (valore monetario delle commesse e attività svolta) relativi ad una selezione di contratti pluriennali di particolare rilevanza tecnologica ottenuti dalle stesse piattaforme in ambito militare e sicurezza interna. 

Figura 1: Valore complessivo (in milioni di dollari) dei contratti e delle commesse stipulati da Amazon, Google, Facebook e Microsoft con il Dipartimento della Difesa e le altre agenzie federali del governo statunitense (2008-2021)

Fonte: elaborazione degli autori su dati USAspending.gov

Tabella 1: Selezione di contratti militari e per la sicurezza, di carattere pluriennale, ottenuti dalle principali piattaforme digitali statunitensi

Anno e Dipartimento/AgenziaContractorAmmontare ($)Natura del servizioFinalità dichiarata
2013 – CIAAmazon600 milioniCloudGestione dati finalizzata a prevenire attacchi terroristici
2019 – DoDAmazon e Microsoft50 milioniDroniDifesa
2020 – CIAAlphabet, Amazon, Microsoft, OracleNDCloudCommercial Cloud Enterprise (C2E) – servizi cloud centralizzati per 17 agenzie di intelligence
2021 – DoDMicrosoft21.9 miliardiVisori a realtà aumentata ‘HoloLensaugmented reality headset’ per attività militari in contesti ad elevata complessità 
2022 – NSAAmazon10 miliardiCloudInfrastruttura cloud della NSA
2022 – DoDAmazonNDStart-up acceleratorRuolo di coordinamento attività innovative e promozione start-up di rilievo militare
2022 – DoDMicrosoftNDStryker armoured vehiclesApparati digitali da incorporare nei veicoli armati dell’esercito
2022 – DoDAlphabet (Google public sector division)NDGoogle workspaceFornitura di Workspace Google a 250.000 dipendenti della Difesa
2022 – DoDAlphabet, Amazon, Microsoft, Oracle10 miliardiCloudInfrastruttura cloud per la difesa “Joint Warfighting CloudCapability”

Fonte: elaborazione degli autori su fonti di stampo pubblicistico. CIA sta per Central Intelligence Agency, NSA per National Security Agency, DoD per Department of Defense. “ND” sta per “not defined”.

In questo quadro, il vasto potere economico di cui le piattaforme già godono, grazie al controllo della sfera digitale dell’economia, si arricchisce di un nuovo elemento in grado di alimentarlo ulteriormente. Si tratta di quella mutua dipendenza che può rendere gli interessi degli Stati a tratti indistinguibili da quelli delle grandi imprese digitali che dominano le infrastrutture, le tecnologie e le conoscenze necessarie alla sopravvivenza economica, politica e militare delle società contemporanee. Pur non essendo prive di contraddizioni ed entrando spesso in conflitto tra loro, le strategie espansive degli Stati nazionali e delle piattaforme digitali si intrecciano, si supportano vicendevolmente, si alimentano nella continua ricerca di nuove opportunità di accumulazione, nuovo valore da estrarre, nuove risorse, dati e tecnologie da controllare al fine di accrescere la propria egemonia politica e militare.

Come sempre, tuttavia, la storia conta. Analizzare la mutua dipendenza tra Stati e piattaforme impone di volgere lo sguardo verso uno dei (o su entrambi i) poli che attualmente si contendono l’egemonia globale: Stati Uniti e Cina. È lì, infatti, che risiedono le piattaforme in competizione per il dominio dell’economia digitale. Ciò è messo in evidenza dalla Figura 2, che riporta fatturato e nazionalità delle 25 maggiori imprese digitali e che vede nelle prime cinque posizioni tre piattaforme statunitensi (Amazon, Alphabet e Microsoft) e due cinesi (JD.com e Alibaba). In questo contesto, la relazione di mutua dipendenza che tali piattaforme intrattengono con i loro rispettivi governi può aiutare a comprendere la forma e la direzione dei conflitti economici e militari in corso (e di quelli che verranno).

Figura 2: Fatturato delle 25 maggiori imprese transnazionali digitali

Fonte: Mediobanca, Report WebSoft 2022

In quel che segue, tenteremo di identificare i canali che alimentano la mutua dipendenza nel settore militare che è quello in cui essa si manifesta in modo più acuto e peculiare. Per farlo, svilupperemo l’approccio che abbiamo proposto in un recente lavoro integrando due distinte, ancorché connesse, prospettive teoriche: quella relativa all’analisi dell’imperialismo, a partire dall’opera di Hobson pubblicata nel 1902 e rielaborata successivamente da Hilferding, Lenin e Luxemburg; e quella del capitale monopolistico, sviluppata a partire dai contributi di Baran, Sweezy, Cowling, Sugden e Ietto-Gillies. Tra i principali obiettivi degli autori che hanno introdotto il concetto d’imperialismo vi era la volontà di portare alla luce le ‘radici economiche’ dei conflitti e, con esse, la convergenza tra interessi capitalistici di classe e iniziative militari (e coloniali) degli Stati nazionali. In tal modo, viene reso esplicito il ruolo di questi ultimi quale forza ‘interna e strumentale’ ai processi di esportazione ed accumulazione del capitale. La prospettiva teorica del capitale monopolistico propone invece una visione dell’impresa che va al di là del puro potere di mercato. Essa metta in luce come la natura e la crescita dell’impresa capitalistica vada ricercata nel suo potere di pianificare e, dunque, di controllarel’ambiente economico circostante e le azioni degli agenti che vi operano: lavoratori, consumatori, altre imprese e, soprattutto, governi. Nei confronti di quest’ultimi, sia le teorie dell’imperialismo sia quelle del capitale monopolistico già mostravano come la natura transnazionale delle grandi imprese oligopolistiche conferisse loro un “potere di ricatto”, da esercitarsi soprattutto nei confronti di governi intenzionati ad introdurre misure considerate dannose (ad es., alta imposizione fiscale, tutela dei diritti di lavoratori e lavoratrici dipendenti, espansione del welfare, stringente regolamentazione ambientale). Con l’avvento delle piattaforme digitali tale potere di ricatto si acuisce e cambia forma, assumendo quella della mutua dipendenza.

Quali sono quindi i canali che rendono governi e piattaforme mutuamente dipendenti? In primo luogo, vi è un vincolo originario. Quest’ultimo ha a che fare con i programmi di ricerca e gli investimenti pubblici che sono alla base di Internet e di tutte le tecnologie digitali più rilevanti. Il potere economico delle piattaforme digitali contemporanee trova infatti origine nell’appropriazione di conoscenze e tecnologie sviluppate in ambito pubblico e trasferite ‘a costo zero’ dagli stessi apparati governativi che hanno contribuito a svilupparle. A ‘trasferimento tecnologico’ avvenuto, le maggiori imprese digitali diventano il motore dell’innovazione e lo Stato accresce la sua dipendenza nei loro confronti. D’altra parte, la dipendenza si muove anche nell’altra direzione: il sistema pubblico (università e centri di ricerca pubblici) continua a rappresentare una risorsa insostituibile per lo sviluppo dei progetti innovativi delle piattaforme.

In secondo luogo, vi è una dipendenza economica. Da un lato, il valore economico delle piattaforme costituisce una quota consistente dell’intera ricchezza nazionale. Solo due esempi: la capitalizzazione di borsa delle imprese transnazionali digitali quotate negli USA corrisponde a circa il 30% del valore complessivo del NASDAQ, mentre la somma dei ricavi delle prime 25 vale circa il 90% del Pil italiano – Fonte: Mediobanca, Report 2021. Cosa non meno rilevante, una porzione crescente delle altre imprese ha bisogno dei servizi delle piattaforme per sopravvivere. Dall’altro lato, la domanda pubblica e, in particolare, quella legata al settore militare e della sicurezza costituisce una fonte di accumulazione essenziale, soprattutto nelle fasi di contrazione della domanda privata; e uno strumento fondamentale per finanziare progetti innovativi a elevata incertezza (si veda la Tabella 1).

In terzo luogo, vi è una dipendenza tecnologica, ‘infrastrutturale’ e legata alle competenze idiosincratiche. Le piattaforme controllano le conoscenze, le tecnologie e le infrastrutture critiche che consentono alla rete Internet di operare e che sono dunque indispensabili per il funzionamento dei mercati, per produrre ed erogare beni pubblici e per condurre la gran parte delle attività militari e di sicurezza (Rikap e Lundvall, hanno mostrato come più dell’80% dei brevetti legati all’Intelligenza Artificiale sono detenuti da imprese transnazionali statunitensi e cinesi). Si pensi, ad esempio, ai servizi di cloud o, riguardo alle infrastrutture, ai cavi sottomarini attraverso cui passano tutte le informazioni che circolano sulla rete e che appartengono, per circa il 30% del totale, alle principali piattaforme statunitensi. Inoltre, la natura idiosincratica e cumulativa della conoscenza rilevante in ambito digitale conferisce alle piattaforme un significativo potere contrattuale, connesso alla loro pressoché esclusiva capacità di sviluppare tali conoscenze.

In quarto luogo, vi è una dipendenza geopolitica. Il monopolio delle tecnologie digitali e delle porzioni di conoscenza ad esse associate, assieme alla tendenza delle piattaforme ad espandersi senza limiti geografici o politici (salvo barriere erette ad arte come nel caso del ‘firewall’ cinese finalizzato ad impedire l’accesso in Cina alle piattaforme americane), rende quest’ultime delle naturali articolazioni dell’agenda geopolitica dello Stato. Controllando infrastrutture critiche (e informazioni) anche all’estero, le piattaforme si trasformano negli occhi, nelle orecchie e, all’occorrenza, nel braccio armato dei propri governi. Così facendo, consentono allo Stato di dispiegare in modo molto efficace quella che un recente filone di letteratura ha definito ‘weaponized interdependence’. Tuttavia, le strategie espansive delle piattaforme – ad esempio, l’intenzione di penetrare un grande mercato straniero – possono trovare ostacoli di natura politica che solo l’azione diplomatica può aggirare. In questi casi è la piattaforma a ‘dipendere’ dall’alleanza strategica con il governo.

Sul fronte interno, infine, è possibile identificare un quinto canale di dipendenza: la dipendenza politica. Questa si muove lungo tre direttrici: (i) controllo delle reti ove è possibile plasmare opinioni e preferenze politiche; (ii) legame diretto con milioni di utenti, a loro volta dipendenti dalle piattaforme, in grado di rappresentare una ‘base di consenso’ da mobilitare; (iii) impiego di ingenti risorse finanziarie per attività di lobbying volte a contrastare interventi legislativi ostili, in particolar modo quelli tesi a limitare l’accesso delle piattaforme ai dati personali.

La mutua dipendenza che lega Stati e piattaforme digitali è un fenomeno rilevante (e preoccupante) per diversi motivi. Primo, mette ulteriormente in discussione la tradizionale distinzione tra Stato e mercato; e, soprattutto, la connessa volontà (e capacità) del primo di controllare (e disciplinare) il secondo nell’interesse della collettività. Secondo, mostra come il controllo di tecnologie e infrastrutture critiche consenta alle piattaforme di essere, allo stesso tempo, dominanti nella sfera privata dell’economia e di giocare un ruolo chiave nell’ambito di attività pubbliche di natura strategica, comprese quelle militari e di sicurezza. Terzo, mette in luce il rischio di un condizionamento sistematico delle attività innovative e di produzione della conoscenza, che si trovano ad essere strutturalmente subordinate alle strategie espansive delle piattaforme e al loro inquietante intreccio con quelle militari dei rispettivi Stati.

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