La lotta all’evasione fiscale: la nuova road map dell’OCSE

Morales Sloop si occupa di evasione fiscale a livello internazionale esaminando il progetto Base erosion and profit shifting (BEPS) avviato dall’OCSE nel 2013. Morales Sloop illustra sinteticamente le 15 Actions, che compongono le proposte finali del progetto e che sono principalmente finalizzate a contrastare le imprese che attuano una sistematica erosione della base imponibile con conseguente trasferimento artificiale di utili verso quei paesi che offrono una fiscalità privilegiata o, nei casi più estremi, verso i paradisi fiscali.

Sosteneva J.M. Keynes che: “Sfuggire alle tasse è l’unica impresa che offra ancora un premio”. Pensando a questo aforisma o più probabilmente alla necessità di aumentare gli introiti fiscali, i governi appratenti al G20 (forum dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali composto da 20 paesi tra i più industrializzati al mondo) hanno dato mandato all’OCSE, nel 2013, di proporre una nuova strategia comune per combattere, su base mondiale, l’evasione/elusione fiscale. Più nel dettaglio, le nuove regole hanno l’obiettivo di contrastare l’erosione della base imponibile e il trasferimento artificiale di utili – arginando così le consistenti fuoriuscite di capitali – verso quei paesi che offrono una fiscalità privilegiata o, nei casi più estremi, verso i paradisi fiscali.

Sulla base di quest’input, a partire dal 2013, è stato avviato dall’OCSE il progetto Base erosion and profit shifting (BEPS) che si è concluso recentemente e le cui proposte finali sono state discusse dai ministri delle Finanze del G20 nella riunione l’8 ottobre, a Lima, Perù.

Approfondire tutte le linee guida pubblicate dall’OCSE – ben 15 linee di azione – richiederebbe uno spazio molto ampio; in questa scheda ci limiteremo a presentarne i tratti salienti. La nuova strategia proposta dall’OCSE si basa su tre pilastri fondamentali: maggiore coerenza nelle norme nazionali inerenti le attività transfrontaliere; rafforzamento dei requisiti sostanziali nella legislazione internazionale congiuntamente ad una maggiore trasparenza e, infine, l’adozione di misure dirette a rafforzare il rapporto fiduciario con le imprese che non adottano schemi di pianificazione fiscale aggressivi.

Prescindendo dai risultati che questa iniziativa sarà in grado di produrre, è opportuno sottolineare che, a nostro avviso, un primo aspetto positivo va individuato nel segnale inviato dai governi del G20 rispetto al fenomeno dell’evasione fiscale. Infatti, come hanno mostrato Raitano e Fantozzi sul Menabò atteggiamenti più o meno compiacenti da parte dei governi, nei confronti dell’evasione fiscale, hanno una ricaduta diretta sulla tax compliance dei contribuenti. Tenuto fermo questo primo aspetto cercheremo, ora, di ripercorrere le proposte emerse dal progetto BEPS.

La creazione di un coordinamento internazionale nasce, in primis, dalla necessità di garantire che i profitti delle società siano tassati nel paese in cui si svolgono le attività produttive e in cui si crea il valore aggiunto.

Le prime analisi effettuane dall’OCSE hanno messo in evidenza due aspetti fondamentali. Il primo è che l’evasione dipende non dalla singola norma o disposizione vigente nel paese, ma dal mancato coordinamento internazionale tra i diversi sistemi fiscali. Ad esempio nei primi documenti prodotti viene sottolineato come, in ragione dei sofisticati modelli di business adottati da determinati gruppi multinazionali (ad esempio, quelli operanti nel settore del commercio elettronico), la definizione di “organizzazione stabile” non sia più capace di garantire un adeguato criterio di collegamento con il territorio della casa madre. Questo, quindi, determina una discontinuità tra attività generatrici di reddito e paesi nei quali si localizzano gli utili prodotti.

Il secondo aspetto sottolinea, invece, la mancanza endemica e preoccupante, di dati e informazioni. Partendo proprio da questo secondo punto possiamo esaminare le diverse azioni intraprese.

Anzitutto si è cercato di acquisire informazioni sulle dimensioni del fenomeno. In passato, la letteratura economica (cfr. Schneider, F., Enste, D., 2000. “Shadow economies: size, causes, and consequences”.) aveva già tentato di quantificare l’ammontare dell’evasione nella sua accezione più ampia. Nel caso in esame, invece, l’OCSE ha concentrato la sua attenzione (Actions 11) solo sull’aspetto dell’erosione della base imponibile stimando, in modo prudenziale, una perdita di gettito compresa tra il 4% e il 10% delle entrate globali derivanti dalle imposte sui redditi delle società (corporate income tax), corrispondente a circa 100-240 miliardi di dollari all’anno.

Questa stima trova conferma, inoltre, dall’analisi dei profitti dichiarati dalle filiali delle multinazionali. È stato osservato, infatti, che le filiali delle multinazionali con sede nei paesi a fiscalità privilegiata dichiarano il doppio rispetto ai profitti medi dall’intero gruppo su base mondiale. Allo stesso tempo è stato stimato che le aliquote effettive pagate dalle grandi multinazionali sono inferiori di 4-8,5 punti percentuali rispetto ad imprese simili che hanno un’unica sede.

Congiuntamente alle stime del fenomeno, sono state individuate (Action 5) anche tutte le azioni utili – compresa una maggiore interazione tra Amministrazioni Fiscali – per accrescere la trasparenza, con lo scopo di far emergere la vera natura delle operazioni realizzate tra le imprese.

L’aspetto conoscitivo ha messo in evidenza, quindi, le dimensioni rilevanti di un fenomeno in continua crescita. Come già anticipato, però, l’OCSE non si è limitata alle stime ma ha affrontato, in numerose Actions, anche la necessità di un maggiore coordinamento internazionale tra i diversi sistemi fiscali.

Tra gli aspetti di maggior rilievo segnaliamo le azioni (Actions 8, 9, 10) dedicate alla revisione delle norme sui prezzi di trasferimento (transfer pricing). Le multinazionali, infatti, allocano i loro profitti in paesi diversi da quelli in cui l’attività economica ha avuto luogo. Questo meccanismo avviene mediante inappropriata allocazione di rischi, intangible (oggetto di particolare attenzione da parte dell’OCSE) e capitali. Conseguentemente (Actions 3 e 4) sono state prese in esame le controllate estere ed è stato previsto un rafforzamento della disciplina al fine di arginare le transazioni infragruppo limitando, così, l’eccessiva deducibilità di componenti negativi di reddito.

E’ stato anche messo a punto un nuovo schema finalizzato ad allocare esattamente i diritti di proprietà intellettuale (IP) tra i diversi paesi, in modo da rispettare il principio di tassare le attività nel paese in cui sono effettuate.

Per rendere più omogena ed efficace la disciplina sul trasferimento dei prezzi, l’Action 13, si è concentrata sull’esame della documentazione inerente il transfer pricing. In particolare è stato previsto che i contribuenti adottino una specifica pianificazione fiscale, rendendo trasparenti sia le regole di trasferimento dei prezzi utilizzate, sia le imposte pagate nei diversi paesi.

Altro aspetto rilevante, riguarda l’economia digitale (Action 1); in questo caso è emersa la necessità di individuare un’appropriata disciplina fiscale che sia in grado di razionalizzare la dicotomia, presente in questo settore economico, tra il luogo in cui il bene è consumato e quello in cui esso è prodotto. Nel caso dell’Iva, ad esempio, le regole proposte assicurano che l’imposta sia riscossa nel paese in cui il bene viene consumato. Nello stesso ambito (Action 6) sono stati, inoltre, rivisti i criteri e le convenzioni contro le doppie imposizioni; lo scopo è quello di evirare un “abuso” dei trattati fiscali mediante la concessione di benefici per circostanze inappropriate. Seguendo la stessa logica l’Action 2 ha affrontato la possibilità di introdurre nei trattati apposite norme finalizzate a neutralizzare effetti specifici (e.g. doppia deduzione, doppia non tassazione, differimento a lungo termine della tassazione) derivanti dall’utilizzo di strumenti ed entità ibride.

Dalla riunione di Lima è arrivato un sostegno unanime, da parte dei Ministri delle finanze del G20, alla nuova strategia sviluppata dall’OCSE. Affinché si concretizzi una riforma “completa, coerente e coordinata” delle leggi sulla tassazione internazionale la vera sfida consisterà nel rendere esecutive, all’interno dei diversi sistemi tributari nazionali, le misure proposte.

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