La pandemia nelle città a Nord e Sud del mondo: il presente e il futuro

Elisabetta Magnani riflette sui complessi rapporti tra le città e la pandemia, prestando particolare attenzione alle differenze, anche sotto questo aspetto, tra Nord e Sud del mondo. Magnani ricorda che, ovunque, la crescita economica si è accompagnata a una forte tendenza verso l’urbanizzazione e che quest’ultima è intrecciata con le disuguaglianze. La pandemia, che inizialmente ha colpito soprattutto le città, può avere, anche per il suo impatto sulla povertà e le disuguaglianze, effetti molto rilevanti su quella tendenza, ma ben diversi tra Nord e Sud del mondo.

Negli ultimi quarant’anni globalizzazione e urbanizzazione sono stati due vettori di cambiamento fondamentali nel mondo. Il commercio globale, la somma di import ed export come percentuale del PIL mondiale, è aumentato dal 40 al 60 percento dal 1980 ad oggi. Come mostra la figura sotto, la tendenza all’urbanizzazione ha dominato lo sviluppo mondiale degli ultimi duecento anni. Oggi più di 4 miliardi di persone vivono in centri urbani e le proiezioni indicano che nel 2050 il 70% della popolazione mondiale sarà concentrata in città.

Il noto principio dei rendimenti di scala crescenti, enunciato quasi 250 anni fa da Adam Smith, è ancora più valido nelle moderne economie, dove creatività, innovazione tecnologica, e lavoro di squadra sono parti del motore della crescita economica, e sono facilitati dalla alta densità di popolazione, di contatti e di scambi intellettuali ed economici che l’ambiente urbano rende possibile. Oggi, le città generano fino all’80 percento del PIL globale (OECD, A 21st Century Vision for Urbanization, 2016). Come evidenzia il grafico sottostante, c’è una forte correlazione positiva tra popolazione urbana e PIL procapite.

Non deve sorprendere quindi che oggi circa il 55% della popolazione mondiale viva in insediamenti urbani, spesso in grandi città. Come ha recentemente sostenuto D. Lagakos ( “Urban-Rural Gaps in the Developing World: Does Internal Migration Offer Opportunities?”, Journal Economic Perspectives,, 2020) gran parte della disuguaglianza all’interno delle regioni in via di sviluppo sia spiegata dal divario tra città e campagne. Sono appunto questi divari che alimentano cospicui flussi di migrazioni interne, dalle campagne alle città, soprattutto nel Sud Globale.

Le città nelle tante zone povere del pianeta sono cresciute a dismisura e in modo caotico proprio per effetto della disuguaglianza tra città e campagna. Spesso gli insediamenti urbani ospitano popolazioni molto diverse da un punto di vista etnico, religioso e linguistico, e presentano bisogni economico-socio-culturali diversi. Nonostante la correlazione tra sviluppo e urbanizzazione, nei paesi poveri, l’ambiente urbano è spesso degradato, soprattutto nei paesi più poveri. Secondo un Rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dell’aprile 2020 a livello globale, circa un abitante su tre in aree urbane vive in baraccopoli, definite in base alla mancanza di accesso ad almeno uno dei servizi essenziali come acqua, servizi igienici, spazi abitativi adeguati alla dimensione famigliare. In aree devastate da guerre e conflitti la situaione è ancora peggiore. Come risulta dai dati dell’Our World in Data, iniziativa nata dalla cooperazione tra ricercatori dell’Università di Oxford e l’organizzazione non-profit Global Change Data Lab, e riprodotti nella figura sottostante, in molti paesi in Africa, nel Medio Oriente, in America Centrale e Sud-America, e nel Sud e Sud-Est Asiatico, è elevata la quota di popolazione che vive nei centri urbani in condizioni abitative pessime.

 

 

Esaminando questi dati più in dettaglio emergono profonde disuguaglianze all’interno delle città che sono particolarmente gravi nel Sud Globale. J.V. Henderson e M.A. Turner (“Urbanization in the Developing World: Too Early or Too Slow?”, Journal of Economic Perspectives, 2020) sostengono che nei paesi in cui l’urbanizzazione precede lo sviluppo economico (urbanizzazione “precoce”), cioè avviene a livelli del reddito pro capite bassi, come ad esempio nei paesi Africani a sud del Sahara, questo processo assume caratteri sostanzialmente diversi da quelli che l’urbanizzazione mostra quando essa “segue” lo sviluppo economico, cioè avviene a livelli del reddito pro-capite medio (come ad esempio nell’Asia Orientale). L’urbanizzazione “precoce” pone sfide enormi sul piano della gestione dei processi di urbanizzazione perché, a livelli bassi di reddito, è difficile per questi paesi avere le risorse economiche necessarie per fronteggiarne le esternalità negative dell’urbanizzazione con investimenti in infrastrutture di base per i trasporti, la salute pubblica, l’istruzione, la sicurezza e per il sistema logistico necessario per il monitoraggio dei processi epidemiologici e pandemici.

Come di recente ha chiarito T. Dixon, la storia ci insegna che pandemie ed epidemie hanno spesso avuto effetti devastanti sulle città. Secondo un Rapporto delle Nazioni Unite del giugno scorso, circa il 90 percento dei casi di coronavirus sono avvenuti in ambienti urbani. Oggi molte delle città più importanti nel mondo occidentale, da Parigi, a Londra, Madrid e New York, sono in lockdown, ne hanno fatto esperienza, o stanno riprendendo in considerazione questa misura estrema per fronteggiare l’emergenza della pandemia. Nel continente asiatico, città come Mumbai in India, Dhaka in Bangladesh and Manila nelle Filippine, stanno affrontando il drammatico moltiplicarsi di morti e malati, con profonde preoccupazioni per le capacità effettive dei loro sistemi ospedalieri. La stessa densità di popolazione che in genere rende le città più ricche delle campagne ha causato più elevati tassi di trasmissione del virus. L’OMS ci ricorda che, nel Sud Globale, l’agglomerazione della popolazione in aree urbane in tempi di pandemia ha messo in crisi i servizi sanitari pubblici, evidenziando il bisogno di finanziamenti per cure intensive e per la prevenzione. Nelle città dove la risposta della sanità è stata resa difficile da mancanza di fondi e di intelligenza logistica, i tassi di mortalità sono stati più alti. Nelle città del Sud Globale, il settore informale e sommerso ha dimensioni notevoli, il che rende ancora più arduo limitare la pandemia.

Si stima che più di 49 milioni di persone nelle città del mondo finiranno in povertà estrema entro la fine del 2020. In molte città europee, le amministrazioni pubbliche si sono mobilitate per rispondere ai bisogni dei gruppi più colpiti dalla crisi con politiche per la casa, con moratorie degli sfratti e controllo degli affitti come in Spagna, Austria e Belgio, con politiche a sostegno di mutui per la casa, come in Francia e Germania, e con politiche per assicurare pasti caldi ai ceti urbani più poveri e quelli impoveriti dalla crisi economica, come ad esempio in Australia. In molti paesi poveri, le limitate infrastrutture per il trasporto pubblico, il sovraffollamento, le abitazioni inadeguate e i pochi servizi pubblici per la salute sono insufficienti per curare milioni di persone concentrate nelle città. Le baraccopoli di molte città del Sud Globale hanno spesso limitato accesso all’acqua potabile; mancano misure di igiene pubblica normali nei paesi ricchi.

Ovunque, la crisi innescata dalla rapida diffusione del COVID-19, da un lato, ha messo in evidenza la fragilità del vivere urbano; dall’altro, e soprattutto, ha reso più difficile conciliare la tutela della salute, che in tempi di pandemia richiede la limitazione dei contatti tra le persone, con l’economia, che invece richiede contatti umani quotidiani. Questo problema assume toni drammatici nelle città dei paesi più poveri dove – a causa della mancanza di risorse finanziarie e infrastrutture – la scelta è troppo spesso tra l’indigenza e la fame, da un lato, e il rischio di contrarre il virus, dall’altro (I. Chirisa, et al. “The urban penalty of COVID-19 lockdowns across the globe”, GeoJournal, 2020).

Negli anni a venire, la ripresa economica dipenderà da come le città risponderanno ai bisogni sanitari, sociali ed economici emergenti proprio dalla pandemia. Il presente rende necessario ripensare il futuro delle città, nei paesi ricchi e poveri, tenendo a mente le relazioni tra economia, ecologia, società e salute che la pandemia ha reso ancora più problematiche.

Nel mondo industrializzato e post-industriale la risposta a questa sfida sanitaria potrebbe contribuire ad invertire il processo di urbanizzazione. Su questo piano un fattore determinante sarà il successo dei piani di sviluppo urbano incentrati sull’idea della “smart city” e “smart economy” che nel Nord Globale si propongono di coniugare le tecnologie del commercio virtuale e della telecomunicazione con sapienti investimenti in infrastrutture e trasporti, necessari per rendere possibile lo sviluppo di economie locali e l’integrazione con le catene di produzione globali, ad esempio nella produzione agro-alimentare. Le “smart cities” potranno trarre pieno vantaggio dalle nuove tecnologie trasformando aspetti della vita cittadina quali il trasporto, l’illuminazione urbana, la fornitura di energia e la sua distribuzione nel territorio. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione cambieranno il modo in cui lavoriamo e comunichiamo permettendo il lavoro a distanza; un’opportunità per conciliare lavoro e famiglia, ma anche un’opportunità per fuggire dal caos cittadino, ripopolare i nostri borghi e ridurre le emissioni inquinanti. Sono in molti a credere che, nei paesi ricchi, questi vettori di cambiamento saranno in grado di invertire la direzione delle migrazioni interne, nel futuro sempre di più dalle città alle campagne. Nella consapevolezza che le sfide sanitarie attuali sono connesse alla crisi climatica, l’idea della “smart city” spesso si collega, sia in Europa che negli Stati Uniti, ai progetti di ripresa economica basati sui “Green New Deals”.

Assai più incerto è come nel futuro post-pandemico possano mutare i processi di urbanizzazione nel Sud Globale. È possibile che molti tornino alle campagne, sia per mancanza di lavoro nelle città, sia per le maggiori probabilità di sopravvivenza. L’integrazione della politica urbana con la tecnologia e la sostenibilità ambientale, per quanto suggestiva e auspicabile, dovrà fare i conti con le disuguaglianze tra città e campagne, tra regioni all’interno di un paese e tra paesi. Nonostante i passi avanti fatti negli ultimi anni, secondo un Rapporto delle Nazioni Unite dell’ottobre 2019, circa metà della popolazione mondiale è ancora esclusa dai benefici della digitalizzazione. In questo senso, l’idea della “smart city” è una lente nitida attraverso cui leggere il divario tra il futuro post-pandemico nel mondo ricco e nel mondo povero. Uno studio delle Nazioni Unite del luglio scorso, sottolinea come nel Sud Globale la ripresa richiederà sforzi notevoli e ingenti risorse finanziarie per affrontare l’impatto della pandemia nelle città, soprattutto per I segmenti della popolazione che vivono in povertà.

Questi studi ci permettono di capire che, nel mondo povero, saranno decisivi per il successo di misure sanitarie volte a limitare la diffusione del virus la scomparsa delle baraccopoli e l’accesso a condizioni abitative adeguate per miliardi di persone. I problemi della casa richiedono soluzioni immediate perché senza casa o in casi di sovraffollamento abitativo, il rischio di trasmissione del virus aumenta notevolmente. Garanzie di accesso alle cure primarie ed equità nella distribuzione delle misure di prevenzione e salute devono essere adottate con la consapevolezza della diversità e iniquità delle condizioni di vita di molti gruppi in tante insediamenti urbani del Sud Globale. Se è probabile che lo sviluppo delle “smart cities” possa capovolgere il rapporto tra città e campagne nei paesi più economicamente e tecnologicamente avanzati, ben più improbabili sono le inversioni di tendenza di questo tipo nel Sud Globale, dove, sul più lungo termine, l’urbanizzazione probabilmente continuerà, spinta dalle economie di scala che le città offrono, dalle prospettive di occupazione, incluse quelle nel settore informale, e dai più alti salari.

In conclusione, la pandemia rende più evidenti le disuguaglianze non soltanto tra aree del mondo ma anche all’interno dei paesi e rischia di aggravarle in mancanza di politiche economiche adeguate. Per molti versi, le città del mondo povero stanno affrontando sfide non diverse da quelle delle città nei paesi più ricchi, ma le condizioni iniziali (pre-pandemia), la scala dei problemi e le risorse necessarie ad affrontarli le rendono enormemente più impegnative. Al fondo di tutto ciò vi sono, soprattutto, le grandi disuguaglianze che hanno accompagnato l’espansione delle città nei paesi più poveri. Affrontarle renderà più facile conciliare gli obiettivi economici con quelli sanitari e sociali.

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