ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 222/2024

28 Settembre 2024

La performance dell’export italiano tra aggiustamento del sistema produttivo e ricomposizione degli scambi globali

Sergio De Nardis e Cristina Pensa esaminano l’evoluzione delle esportazioni italiane nel corso degli ultimi dieci anni, confrontandola con quella dei due principali partner europei, Germania e Francia. De Nardis e Pensa distinguono il ruolo che hanno dei fattori estensivi e di quelli intensivi e sostengono anche che il cambiamento strutturale delle imprese esportatrici italiane è stato di grande rilevanza e molto più accentuato rispetto a quello delle imprese francesi e tedesche.

Negli ultimi anni la performance dell’export italiano è stata positiva, nonostante i molteplici shock che hanno colpito il contesto internazionale. La crescita in volume delle vendite all’estero è risultata superiore non solo a quella dei principali competitor europei, in particolare alla Germania, primo esportatore dell’Ue e terzo a livello mondiale, ma anche alla domanda globale e a quella potenziale, alimentata dalla dinamica dei mercati che si rivolgono maggiormente alle merci dell’Italia. Infatti, dal 2019 al 2023 l’aumento cumulato delle esportazioni italiane è stato del 9,5%, a fronte di incrementi del 7,9% della domanda mondiale e del 7,2% dei mercati di destinazione dei prodotti dell’Italia (domanda potenziale). Tali evoluzioni evidenziano come le imprese esportatrici nel loro insieme abbiano conseguito un’espansione più ampia rispetto alle opportunità offerte dai tradizionali sbocchi delle loro merci e abbiano aumentato la loro quota di mercato in volume nei traffici commerciali mondiali (Figura 1), facendo meglio delle altre principali economie europee, maggiormente in affanno nel fronteggiare le perturbazioni dei mercati internazionali.

Figura 1: Le esportazioni italiane superano la loro domanda potenziale

(2019=1)

Fonte : elaborazioni Centro Studi Confindustria su dati ISTAT e FMI.

Tali risultati riflettono principalmente la profonda trasformazione, avvenuta negli ultimi dieci-quindici anni, del sistema produttivo italiano e, in particolare, il decisivo ruolo di traino svolto dal segmento delle imprese esportatrici (cfr. S. De Nardis e C. Pensa Internazionalizzazione delle imprese e aggiustamento manifatturiero in corso di pubblicazione in “L’industria italiana contemporanea tra declino e ristrutturazione” a cura di D. Iacobucci) e ampiamente discusso in A. Arrighetti, S. De Nardis e F. Traù (Il falso mito della manifattura inefficiente, LUISS, WP giugno 2024). La ridefinizione della geografia dei flussi di scambi mondiali, che ha caratterizzato questi ultimi anni, si è così riversata su un settore rafforzato rispetto al passato e sufficientemente flessibile per le sue stesse caratteristiche di specializzazione, influendo positivamente sulla performance complessiva dell’export italiano.

Dal 2015 il numero delle imprese esportatrici si è ridotto di 8.500 unità (quasi il 10%), restando comunque superiore (più di 81mila unità nel 2022) a quello della Germania (quasi 74mila) e della Francia (24mila). La contrazione ha tuttavia interessato esclusivamente le imprese di micro-piccole dimensioni, ridottesi di quasi 10.000 unità, le imprese medio-grande sono invece aumentate (di 1.200 unità, Figura 2).

Figura 2: Distribuzione degli esportatori per dimensione di impresa

(In migliaia di imprese)

Fonte: elaborazione Centro Studi Confindustria su dati EUROSTAT.

La ricomposizione in termini dimensionali a favore di produttori mediamente più propensi all’export ha contribuito solo parzialmente alla crescita del valore medio esportato delle imprese italiane, più che raddoppiato tra il 2015 e il 2022 (Figura 3). Infatti, il valore medio esportato è cresciuto molto indipendentemente dalla classe dimensionale di appartenenza. Nonostante ciò, il valore dell’export per impresa resta più basso che in Francia e Germania, e la platea degli esportatori è ancora molto ampia. Le peculiarità del modello di specializzazione italiano – più incentrato, a differenza delle altre economie, su differenziazioni di prodotto che sulle economie di scala – contribuiscono a spiegare tali difformità di carattere strutturale.

Figura 3: Valore medio esportato

(In migliaia di euro, valore esportato/n.ro di imprese esportatrici)

Fonte: elaborazioni Centro Studi Confindustria su dati EUROSTAT.

Oltre al peso degli esportatori medio-grandi, negli ultimi anni è cresciuto il numero di mercati di destinazione delle imprese, anche nel confronto con Francia e Germania (Figura 4).

Figura 4: Composizione per numero di partner

(In % delle imprese esportatrici)

Fonte: elaborazioni Centro Studi Confindustria su dati EUROSTAT.

Questa riconfigurazione delle imprese esportatrici italiane non ha, tuttavia, modificato in misura sostanziale la concentrazione dell’export italiano per classi dimensionali dei produttori che resta bassa e si riflette nella maggior dispersione delle vendite all’estero: in Italia l’export dei primi 1.000 esportatori industriali è pari al 55% dell’export totale, in Germania al 76% e in Francia al 90%.

Proprio per i motivi di complessità insiti nell’attività di esportazione, la bassa concentrazione o frammentazione delle vendite costituisce normalmente un fattore di debolezza, accompagnandosi a un minor grado di radicamento nei mercati di sbocco e a una minor capacità di raggiungere le destinazioni distanti, anche quelle comparativamente più dinamiche (esempio primario è la Cina). Tuttavia, in fasi di intensa ridefinizione della geografia dei flussi di scambi mondiali come quella che stiamo attraversando – per motivi dapprima sanitari e poi geopolitici – la diffusione dell’export tra le imprese diviene un elemento di relativo vantaggio, perché facilita l’adattamento delle vendite al variare delle opportunità offerte dai mercati che contraddistingue i piccoli e meno radicati esportatori rispetto ai grandi (Giglioli e Giordano, Banca d’Italia, N. 785, 2023 e Hassan, Banca d’Italia, N. 813, 2023). Poiché la ridefinizione geopolitica degli scambi (incluso il cosiddetto nearshoring delle catene d’offerta) non è un processo di breve durata, il vantaggio di flessibilità delle imprese italiane, connesso al più basso export pro-capite, sembra quindi un elemento destinato a perdurare.

Al fine di individuare le leve che le imprese italiane hanno utilizzato per ottenere una migliore performance del loro export rispetto a Germania e Francia, è utile analizzare l’evoluzione delle esportazioni scomponendole secondo due fattori o cosiddetti margini (estensivo e intensivo) e la loro evoluzione in due sottoperiodi (pre e post 2015), in modo da evidenziare le caratteristiche del cambio di passo avvenuto negli ultimi anni. Col termine estensivo si intende che le esportazioni aumentano perché se ne accresce l’estensione, vale a dire il numero di prodotti esportati e/o di destinazioni raggiunte. Tale margine si può a sua volta scomporre in tre componenti: il numero di prodotti esportati, il numero di mercati di destinazione e il grado di densità, ovvero la capacità di sfruttare pienamente la combinazione massima di prodotti e paesi a cui si indirizzano le vendite, teoricamente possibile. La densità è data dal rapporto tra le combinazioni effettive (numero di prodotti esportati e numero di paesi raggiunti) e quelle teoriche (numero massimo di combinazioni possibili date dal prodotto tra il totale dei paesi esteri raggiunti e quello dei prodotti venduti nel mondo). Se un paese vende all’estero 5 prodotti e i mercati raggiunti sono 10, la combinazione teorica, ossia il livello massimo del margine estensivo (difficilmente realizzabile) è 50: tutti i prodotti raggiungono tutti i mercati. Il margine intensivo, invece, riguarda il rafforzamento dell’intensità delle esportazioni, misurata dalla crescita del valore dell’export a parità di numerosità dei prodotti venduti e dei paesi raggiunti.

Queste valutazioni sono state effettuate adottando la definizione di prodotto al massimo livello di disaggregazione possibile, secondo la classificazione Eurostat della Nomenclatura Combinata, a 8 digit. In tale classificazione, gli item a 8-digit sono circa 23.000. I prodotti a 8-digit esportati da ciascuno dei tre paesi europei considerati sono poco meno di 10.000, con una diversa variabilità tra i tre paesi. I mercati di destinazione ipoteticamente raggiungibili sono 255. Si sono considerate come esportazioni valide nel calcolo del margine estensivo e intensivo tutte quelle che presentano nelle destinazioni valori positivi, per quanto piccoli.

La tabella 1 evidenzia il miglioramento di performance dell’export italiano a partire dal 2015. Il suo ritmo di crescita medio annuo nel secondo periodo (2015-2023) supera quello degli altri due paesi, in sensibile accelerazione rispetto al decennio precedente. L’export tedesco ha invece rallentato fortemente, mentre quello francese ha accelerato ma ad un ritmo inferiore a quello italiano (Tabella 1).

Tabella 1: Esportazioni in valore: scomposizione in margini estensivi e intensivi

Fonte: elaborazioni Centro Studi Confindustria su dati EUROSTAT.

Il margine intensivo è in entrambi i sottoperiodi la componente più rilevante per l’export italiano. Esso si è rafforzato dopo il 2015, più che compensando il (lieve) rallentamento del margine estensivo e consentendo così l’accelerazione dell’export dell’ultimo periodo. La spinta esercitata dal margine intensivo sembra risentire anche delle ricordate caratteristiche delle esportazioni italiane, che risultano “estese” (molti esportatori, nonostante la riduzione di numero), ma poco “intense” (export per impresa relativamente basso, nonostante l’aumento degli ultimi anni).

Il margine estensivo delle esportazioni italiane, come detto, decelera leggermente tra il primo e il secondo periodo, rimanendo sempre su un sentiero positivo. La perdita di velocità, tuttavia, non riguarda il numero di prodotti venduti (che, al contrario, è in aumento), né il numero dei mercati di destinazione serviti (la cui dinamica è stabile), ma la densità. In altri temini, nell’ultimo periodo l’aumento del ritmo di crescita del numero di prodotti venduti si è concretizzato principalmente (ma non esclusivamente) nei mercati di destinazione già serviti dagli esportatori italiani, dando luogo alla decelerazione del grado di densità dell’export che ha comunque mantenuto un ritmo positivo.

La scomposizione dell’export degli altri due paesi mostra eterogeneità specifiche alle fasi attraversate da queste economie. La performance relativamente peggiore dopo il 2015 è quella della Germania: valore delle sue vendite all’estero ha subito una netta decelerazione, determinata dalla flessione del margine estensivo cui si contrappone il contributo positivo di quello intensivo. La ridotta estensione delle esportazioni tedesche riflette fondamentalmente il minor grado di densità dell’export: rispetto alle possibilità dell’export della Germania definite dal numero complessivo dei prodotti e dei mercati serviti, sono diminuiti i paesi effettivamente raggiunti dalle merci tedesche. Tra il 2015 e il 2023 la dinamica (in decelerazione) delle esportazioni tedesche è stata, quindi, sostenuta esclusivamente dal margine intensivo a cui si è contrapposta una perdita della capacità di penetrazione nei mercati di destinazione.

Anche per le imprese esportatrici francesi le due componenti hanno seguito una diversa dinamica: si è ridotto fortemente il contributo del margine estensivo, anche se non ha cambiato di segno come nel caso tedesco, mentre è aumentato quello derivante dal margine intensivo.

In estrema sintesi il miglioramento della performance dell’export italiano rispetto alle due principali economie riflette fattori diversi (Figura 5). Nei confronti della Germania, la migliore dinamica italiana è da ricondurre all’andamento del margine estensivo, soprattutto la densità, e riflette essenzialmente il netto deterioramento dell’”estensione” delle vendite tedesche. Nei confronti della Francia, invece, la migliore dinamica italiana è fondamentalmente dovuta al margine intensivo.

Figura 5: Export performance: margine estensivo vs margie intensivo

(Differenza tra var. logaritmiche in % media annua)

Fonte: elaborazioni Centro Studi Confindustria su dati EUROSTAT.

In definitiva, le imprese italiane, rafforzatesi a seguito di un più che decennale processo di aggiustamento sotto il profilo dimensionale e della produttività, hanno potuto reagire agli shock multipli ed altamente eterogenei degli ultimi anni grazie a un miglior matching, rispetto a Germania e Francia, della loro composizione geografica e merceologica con l’evoluzione degli scambi con l’estero, come suggeriscono tanto il più positivo andamento delle componenti del margine estensivo nei confronti dell’economia tedesca (soprattutto in termini di destinazioni e densità), quanto la più favorevole dinamica del margine intensivo rispetto a quella francese (con una più marcata accelerazione italiana dell’export per prodotto-destinazione). La miglior capacità di adattamento delle esportazioni italiane al modificarsi della composizione geografica e merceologica della domanda mondiale trova sostanziale conferma nelle analisi dell’andamento della quota di mercato basate sulla metodologia CMSA (Constant Market Share Analysis, cfr. Mazzeo e Proietti, Rapporto ICE 2023-2024).

È comunque da rilevare che la capacità di guadagnare posizioni nei paesi di destinazione più dinamici e accessibili non è l’unica via per aumentare la resilienza delle vendite all’estero. Altrettanto importante, nell’era delle catene globali del valore, è assicurarsi relazioni stabili ed efficaci sul lato dell’import, con i fornitori più affidabili e sicuri. E, in effetti, anche questa caratteristica ha contribuito, a fronte di ripetuti shock sul lato dell’offerta, alla maggior resilienza italiana rispetto ai partner europei (cfr. Rapporto di previsione primavera 2024, Centro Studi Confindustria). In uno scenario internazionale che si annuncia molto più instabile che in passato, contrassegnato da durevoli tensioni geopolitiche e molteplici incertezze di natura commerciale sarà essenziale analizzare se la minore concentrazione delle vendite all’estero tra le imprese che negli ultimi anni si è rivelata, per le circostanze del periodo, un motivo di vantaggio e non un ostacolo per il nostro export, continuerà a svolgere un’influenza favorevole.

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