La riforma dell’Irpef

Ruggero Paladini presenta e discute le modifiche dell’Irpef introdotte dalla legge di bilancio sostenendo in particolare che, confrontate con gli interventi degli ultimi 10 anni, esse aumentano la progressività dell’imposta, nonostante il maggiore favore riservato al terzo scaglione. La distanza tra le aliquote formali e quelle effettive è, però, cresciuta e nulla è stato fatto per i lavoratori poveri. Paladini indica possibili alternative e anche come far fronte al loro eventuale maggior costo a parità di gettito.

Irpef 2021. La revisione dell’Irpef, nell’ambito di una più generale riforma del sistema tributario, è da tempo nell’agenda politica. La struttura dell’imposta, in termini di scaglioni e aliquote, è ancora quella delineata nella finanziaria 2007, ma alcune significative modifiche hanno ulteriormente frammentato l’imposizione diretta. Sono usciti dall’Irpef i dividendi azionari e gli affitti delle abitazioni – che possono optare ora per una tassazione secca (20%) – e una significativa fetta del lavoro autonomo (regime forfettario), sottoposto a un’aliquota fissa del 15%, se il volume d’affari non supera i 65.000 euro.

Sono state modificate le detrazioni per i pensionati e i lavoratori dipendenti e i premi di produzione e le forme di welfare aziendale sono esenti o usufruiscono di tassazione agevolata. Ma il profilo dell’imposta per i lavoratori dipendenti, è stato alterato soprattutto dal bonus “80 euro” (da luglio 2020, “100 euro”). Il bonus, seppure fino a 28.000 euro mantenga formalmente il carattere di trasferimento monetario, è strettamente integrato nell’Irpef; da 28.000 fino a 40.000 è anche formalmente una detrazione (detta “ulteriore”).

Il diritto al bonus, appena l’imposta (riferita al solo reddito da lavoro) diventa positiva, fa sì che oltre gli 8.147 euro di imponibile, il lavoratore (se ha lavorato per tutto l’anno) ha diritto agli integrali 1.200. Il risultato è un vuoto delle remunerazioni (comprensive del contributo del 9,2% a carico dei lavoratori) di poco inferiori ai 9.000.

L’imposta viene fissata attraverso due passi: calcolo dell’imposta lorda e detrazioni dall’imposta. Calcolato il reddito imponibile, l’imposta lorda viene determinata in base ai seguenti scaglioni:

 

L’Irpef netta dipende dalla tipologia dei contribuenti. Qui ci limitiamo al caso di persone senza carichi familiari e spese detraibili.

a) Autonomi non passati al regime forfettario: la detrazione di 1.104 è fissa fino a 4.800, poi decresce linearmente fino a 55.000. Oltre 4.800, per ogni 100 euro di reddito in più, la detrazione diminuisce di 2,2 euro; è come se un’aliquota implicita si aggiungesse a quella formale. Si può dimostrare che queste detrazioni decrescenti equivalgono a una detrazione fissa con aliquote aumentate del 2,2%. Quando la detrazione si azzera le aliquote tornano a coincidere con quelle formali (rispettivamente, del 25,22 – 29,22 – 40,22 – 41 – 43%).

b) Pensionati: la detrazione di 1.880 è fissa fino a 8.000, decresce a 1.297 fino a 15.000, poi linearmente fino a 55.000. Tenendo conto delle aliquote implicite, le cinque aliquote sono: 31,33 – 30,24 – 41,24 – 41 – 43. Si può parlare di una struttura a (quasi) due aliquote con la prima più alta della seconda.

c) Le detrazioni dei dipendenti presentano due stranezze. La prima è che sono distinte in una detrazione di 1880 che incomincia a decrescere da 8000, riducendosi a 978 a 28.000 e la “ulteriore detrazione” di 1200 a partire proprio da 28.000, che scende a 960 a 35.000 e poi fino a zero a 55.000.

d) bonus “80 euro”. Questa stranezza deriva dal fatto che il bonus “80 euro” aveva due obiettivi: i) rendere visibili gli 80 euro in un rigo della busta paga; ii) far apparire il bonus come una diminuzione d’imposta e non un aumento di spesa (di trasferimento, o benefit). Per realizzare questo secondo obiettivo fu stabilito che il bonus spettasse, per intero, solo a chi aveva, con riferimento al reddito da lavoro dipendente, un Irpef positiva cioè un reddito imponibile di almeno 8.148 euro. Quindi a 8.145 niente bonus, a 8.150 bonus di 80 euro mensili. Ma Eurostat-Istat rilevò che così concepito il bonus non aveva le caratteristiche della detrazione (diminuzione d’imposta) ma del benefit (aumento di spesa). Il secondo obiettivo non fu quindi raggiunto, ma comunque il bonus scattava solo con Irpef positiva; escludendo i milioni di dipendenti (in maggioranza working poor) con redditi inferiori alla cifra magica

Inoltre, di fronte al limite di spesa di 10 miliardi si preferì avere il maggior numero di fruitori con il bonus integrale, e imporre poi un décalage molto forte: il bonus tra 24.000 e 26.000 si annulla, scendendo di 48 euro ogni 100. Aggiungendo l’aliquota formale del 27% e quella implicita nel décalage della detrazione da lavoro di 4,51, l’aliquota effettiva nell’arco dei 2000 euro (spostato da 24.600 a 26.600, senza che cambiassero i termini del problema) è divenuta del 79,51%. Poiché il bonus veniva percepito quando il reddito annuo era incerto, centinaia di migliaia di dipendenti si sono trovati, l’anno successivo, a dover restituire in tutto o in parte il bonus ricevuto.

e) Intervento del Conte 2- Gualtieri

L’estensione fino a 28.000 del bonus ha eliminato l’aliquota marginale implicita tra 24.600 e 26.600 (inizialmente da 24.000 a 26.000), complessivamente un’aliquota sull’80%, ma l’ulteriore detrazione da 28.000 a 40.000 ne ha create due dopo i 28.000. Infatti, la nuova detrazione scende da 100 a 80 passando da 28.000 a 35.000 di reddito, per poi estinguersi a 40.000. Mentre la prima aliquota implicita è del 3,43%, la seconda è del 19,2%. Entrambe si aggiungono all’aliquota marginale complessiva di 38% (aliquota formale) +3,62% (dovuta alla diminuzione della “vecchia” detrazione).

Pertanto, la struttura delle aliquote marginali, per un lavoratore dipendente, che lavori tutto l’anno, è la seguente:

Per completezza va detto che a 8.148 l’aliquota è fortemente negativa per effetto del bonus dipendenti da 1.200 euro annui. Questa aliquota negativa è attenuata dalle addizionali che scattano sull’intero reddito, e che non sono dovute se non è dovuta l’Irpef.

La conclusione è che dipendenti, pensionati ed autonomi (quelli che non optano per il regime forfettario, altrimenti l’aliquota diviene unica al 15%) fino a 55.000 euro hanno tre diversi sistemi impositivi, con aliquote medie e marginali diverse. Dopo i 55.000 confluiscono tutti nella stessa Irpef, ma questo riguarda solo pochissimi contribuenti (circa il 6,5%).

Con riferimento in particolare ai dipendenti, ogni volta che si introducono (o si aumentano) detrazioni (o deduzioni) decrescenti, si riducono le aliquote medie (questa è la buona notizia), ma aumentano quelle marginali (questa è la cattiva notizia). Gli aumenti delle aliquote implicite servono infatti a rimangiare progressivamente le detrazioni-bonus fino ad azzerarle.

Irpef 2022. La legge delega di riforma fiscale, dopo aver delineato il sistema duale, stabilisce che in Irpef verranno tassati (solo) i redditi da lavoro (e pensione), compresi quelli degli autonomi (per la parte che riguarda la remunerazione del loro lavoro). All’art. 3, lettera b) dopo aver affermato che la revisione deve rispettare il principio di progressività, si danno due indicazioni: “1) ridurre gradualmente le aliquote medie effettive derivanti dall’applicazione dell’Irpef anche al fine di incentivare l’offerta di lavoro e la partecipazione al mercato del lavoro, con particolare riferimento ai giovani e ai secondi percettori di reddito, nonché l’attività imprenditoriale e l’emersione degli imponibili; 2) ridurre gradualmente le variazioni eccessive delle aliquote marginali effettive derivanti dall’applicazione dell’Irpef”.

Come si vede si tratta di indicazioni piuttosto vaghe. Dopo un accordo di massima raggiunto dai partiti della maggioranza nelle riunioni al MEF, la legge di bilancio propone interventi che riguardano sia gli scaglioni che le detrazioni. Gli scaglioni sono ridotti a quattro:

Il primo scaglione con relativa aliquota resta invariato, per il secondo l’aliquota scende di due punti e per il terzo di tre. Quarto e quinto vengono unificati con aliquota al 43% ma anticipata da 55.000 a 50.000.

Detrazioni

La detrazione per i dipendenti è fissa a 1.880 fino a 15.000 (prima decresceva a partire da 8.000); diventa di 3.100 a 15.001 ma poi decresce (è di  1.910 a 28.000 e si azzera a 50.000, limite del terzo scaglione). Quindi l’aliquota implicita è del 9,15% nel secondo scaglione e dell’ 8,68% nel terzo.

La detrazione per i pensionati (che sale  a 1.955, ma si riduce a 700 da 8.500 a 28.000, e a zero a 50.000)  fa sì che le  nuove aliquote implicite siano del  29,44% nel primo scaglione, 31,44 nel secondo, 43,18 nel terzo e 43 nell’ultimo.

La detrazione per gli autonomi sale a 1.265, ma non scende più linearmente in quanto è anch’essa divisa in un primo segmento che scende a 500  fino a 28.000, e poi a zero a 50.000.  Le aliquote implicite sono 6,44 nei primi due scaglioni e 2,27 nel terzo.

Pertanto, la nuova struttura di scaglioni ed aliquote diviene la seguente:

La no tax area dei dipendenti arriva fino a 8.776, quelli dei pensionati fino a 8.500, e quella degli autonomi fino a 5.500.

La struttura 2022 appare più regolare di quella 2021, anche se rimangono profonde differenze tra i contribuenti con redditi fino a 50.000. In particolare la nuova struttura ha ricondotto ad unità i tre segmenti in cui il terzo scaglione era stato diviso dall’intervento del 2020 (Conte-Gualtieri); le aliquote del 45,05 e del 60,82 sono scese, ma l’aliquota (43,68) ora è, anche se di poco meno di un punto, inferiore a quella del quarto scaglione; l’eventuale proposta di elevare quest’ultimo a 44, avrebbe incontrato l’opposizione della maggior parte dei partiti di governo. Ad aliquote medie più basse corrispondono aliquote marginali più alte.. L’aumento delle detrazioni, e la riduzione del terzo scaglione, determinano inevitabilmente un aumento delle aliquote implicite.

 

Aliquote medie  1.000-55.000

 

Aliquote marginali 1.000-55.000

 

I cunei (prima verso il basso e poi verso l’alto) che si vedono nell’andamento delle aliquote marginali di dipendenti ed autonomi derivano da piccole detrazioni aggiuntive che vanno sopra i 25.000 fino a 35.000 (65 euro per i dipendenti) e fino a 29.000 (50 euro per i pensionati). Servono ad aumentare, anche se per percentuali quasi impercettibili, il reddito netto di quei contribuenti relativamente meno avvantaggiati dalla riforma.

Per i dipendenti vi è poi anche una piccola fiscalizzazione dei contributi a loro carico. Si tratta di 0,8 punti percentuali, per cui da 9,2% si passerebbe a 8,4%. La fiscalizzazione di per sé avrebbe dovuto essere il modo di procedere fin da quando Renzi introdusse il bonus “80 euro”. Ora viene introdotta solo per l’anno prossimo, approfittando del fatto che il gioco saldo-acconto crea una disponibilità di bilancio. Introdurre una fiscalizzazione per un anno è un’idea balzana, a meno che non si pensi di prorogarla di anno in anno, ma comunque andrà riassorbita in qualche modo. E’ singolare anche che venga concessa solo per i redditi lordi mensili fino a 2.692 euro, cioè fino ad un reddito annuo imponibile di circa 32.000. Quindi lo sgravio cresce al crescere del reddito disponibile, da poche decine a poco meno di un paio di centinaia, cosa che sicuramente non gratifica particolarmente CGIL e UIL. In questo modo si creano anche due scaglioni impliciti alla fine del secondo e all’inizio del terzo, con i redditi dei dipendenti che crescono di poco meno dello 0,9% per i redditi più bassi e dello 0,5% per quelli vicini alla soglia massima.

Rimane però un problema: tra due dipendenti con retribuzioni rispettivamente di poco inferiore e di poco superiore a 35.000 il secondo, non godendo a differenza del primo, della fiscalizzazione avrebbe un reddito netto minore. Alla faccia della dominanza stocastica.

Conclusioni. La riforma dell’Irpef ha dato i maggiori benefici ai redditieri appartenenti al terzo scaglione, e questo era in parte inevitabile; ma se si guarda all’insieme di modifiche introdotte negli ultimi dieci anni si può dire che il grado di progressività dell’Irpef sia aumentato. Malgrado qualche miglioramento nell’articolazione di scaglioni ed aliquote, non è stato fatto, tuttavia, che un piccolo passo avanti per ricondurre ad una unità l’imposizione delle diverse tipologie di contribuenti. La distanza tra le aliquote formali e quelle effettive è, nell’insieme, aumentata a causa della crescita delle detrazioni. La progressività si riduce anche per la diminuzione degli scaglioni, fortemente voluta da gran parte delle forze di maggioranza.

Un’ampia categoria di lavoratori dipendenti è rimasta fuori da tutti gli interventi: coloro che hanno redditi fino a (poco più) 8.000 euro. Poiché per la grande parte di essi l’Irpef è nulla, non beneficiano del bonus 100 euro né dell’aumento delle detrazioni. In realtà il problema sarebbe stato facilmente superabile con una detrazione rimborsabile; già nell’Irpef vigente ne esistono due, di minor peso. Ma in questo modo la spesa avrebbe superato i 7 miliardi stanziati. L’aver mantenuto il bonus fino a 15.000 è il modo per continuare ad escludere questa categoria. Infatti con una detrazione rimborsabile sarebbe impossibile stabilire che a 8.180 si ha diritto alla detrazione piena e a 8.170 non si ha nulla. I working poor finora sono esclusi da tutti gli interventi.

In effetti per affrontare l’insieme dei problemi il modo migliore è una struttura di aliquote uguale per tutti i contribuenti, con detrazioni fisse diversificate. Quanto alla struttura il vantaggio di una funzione continua dell’aliquota media, rispetto ad un sistema a scaglioni, è che la prima parte da zero e cresce regolarmente e senza salti fino ad un livello di reddito in cui l’aliquota marginale raggiunge il livello che si considera non superabile. Le aliquote marginali sono superiori a quelle medie, ma anch’esse partono da livelli molto bassi e crescono gradatamente; scompaiono il bonus e le detrazioni decrescenti. Ovviamente sotto gli 8.000 euro la detrazione, rimborsabile, dovrebbe essere in percentuale del reddito imponibile.

Quanto costerebbe un sistema con funzione continua e detrazioni? La risposta è : dipende; potrebbe anche essere fatta a parità di gettito, se si accettasse che vi sia una percentuale significativa, anche se non necessariamente del 50%, di perdenti, cioè contribuenti che si trovano ad avere una diminuzione del reddito disponibile. Viceversa se dovesse stabilirsi il criterio di nessun perdente, la cifra salirebbe molto rispetto ai 7miliardi, che dovrebbero essere destinati all’Irpef. Con 7 miliardi sarebbe impossibile una riforma degna di questo nome.

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