La Sharing Economy può (r-)innovare il volontariato italiano?

Gianluca La Malfa esamina l’impatto che la pandemia sta avendo sul mondo del volontariato italiano e sottolinea che i problemi di sostenibilità e di sopravvivenza riguardano anche questo attore socio-economico ampiamente conosciuto ma non sempre adeguatamente considerato. Basandosi su un suo recente lavoro di ricerca, La Malfa si chiede, in particolare, se i meccanismi delle piattaforme basate sui sistemi di sharing economy possono contribuire a rilanciare e innovare l’attività del volontariato.

Come stanno navigando in questo periodo storico burrascoso gli attori del volontariato italiano? Da una parte sono impegnati a rimanere al passo con le varie necessità relative alla riforma del Terzo Settore (iniziata nel 2016 e non ancora completata), riguardanti gli adeguamenti degli statuti, l’iscrizione al registro unico nazionale, le nuove politiche di governance per le realtà associative e via dicendo, dall’altra sono indeboliti ma sempre in prima linea nella lotta contro la crisi socio-economica scaturita dallo stato emergenziale tuttora in vigore. Riusciranno a rimanere a galla? Riusciranno ad adattarsi al nuovo contesto? Hanno le competenze e le risorse necessarie per farlo? Cerchiamo di rispondere a queste domande sfruttando anche i risultati del progetto di ricerca Debating Sharing Economy Platforms in the Volunteering Context: a Qualitative Analysis, che chi scrive ha recentemente concluso. L’obiettivo di questo progetto era di valutare la possibilità di implementare i modelli di piattaforma di sharing economy, già consolidati in molti settori dell’economia, per creare degli snodi comunitari e open source di accesso a conoscenze settoriali, di scambio e mutuo aiuto, e molto altro.

L’innovazione sostenibile, al centro dei principali dibattiti economici nazionali e internazionali, è il principale driver nella nascita del movimento della sharing economy. L’economia collaborativa si declina in un sistema in cui i beni o i servizi sono condivisi tra privati, gratuitamente o a pagamento, tipicamente per mezzo di internet. Questo assetto vuole superare il modello di mercato tradizionale, anteponendo al possesso individuale un accesso condiviso e collettivo. La sharing economy opera sulle capacità inattive delle risorse già immesse in un sistema sfruttando le potenzialità delle nuove tecnologie digitali per raggiungere la massa critica di funzionamento. Questo movimento nasce a cavallo tra la fine del secolo scorso e i primi anni del ventunesimo secolo, in risposta ad una concatenazione di fattori scatenanti: il crescente desiderio di riscoprirsi parte di una comunità, la recessione conseguente alla crisi finanziaria del 2008, il comprovato utilizzo del web come mezzo di comunicazione e una maggiore consapevolezza riguardo i problemi legati alla scarsità di risorse naturali e all’inquinamento.

Questo interessante fenomento risulta tuttora essere molto difficile da inquadrare. Difatti il dibattito sul labile confine tra economia collaborativa e economia di mercato tradizionale risulta essere sempre un tema caldo. Alcune delle pratiche più comunemente raggruppate sotto il concetto di sharing economy – si pensi ai servizi di affitto temporaneo come AirBnB, i servizi di carsharing come Blablacar – sono da molti esperti considerate non come delle declinazioni fruttuose di sharing economy, ma, come sottolineato da Bauwens, forme di “capitalismo netarchico”, incentrato sull’estrazione e lo sfruttamento del profitto, e forme di collaborazione al servizio della comunità locale.

L’opinione pubblica ha sempre prestato attenzione alla funzione sociale del volontariato, ma non si è mai soffermata sul suo valore economico. Nel 2017 è stato stimato che l’impatto economico delle attività di volontariato è pari 1.348 miliardi di dollari, ovvero il 2,4% dell’intera economia globale. In quanto attore economico, anch’esso si deve confrontare con le problematiche di sostenibilità e sopravvivenza che gravano sui settori profit più convenzionali. Volendo analizzare il ruolo del volontariato italiano come attore sociale ed economico è giusto precisare che esso occupa una posizione delicata, operando sulla linea sottile che divide e congiunge le politiche di Welfare con l’imponente Terzo Settore e svolgendo la sua attività sotto il segno della sussidiarietà, verticale o orizzontale a seconda dell’assetto politico territoriale.

  1. Ampiezza dell’impatto: quante persone potrebbero essere influenzate dall’uso delle piattaforme di condivisione nel contesto del volontariato;
  2. Cambiamento di paradigma: il grado in cui l’uso delle piattaforme di condivisione incoraggia i cambiamenti nella mentalità e nel comportamento delle persone;
  3. Benessere: il grado in cui la piattaforma di condivisione può influenzare la qualità della produzione e della fornitura di servizi di volontariato;
  4. Empowerment: il grado in cui le piattaforme di condivisione possono dare alla comunità di volontari la possibilità di fare ciò che desiderano;
  5. Profondità di impatto: il grado in cui l’uso delle piattaforme di condivisione può fornire cambiamenti positivi e duraturi nell’organizzazione del lavoro di volontariato.

Per poter utilizzare i dati qualitativi raccolti durante le interviste e redigere delle statistiche, ciascuna risposta è stata suddivisa in diverse categorie in base al grado di accordo dell’intervistato con la domanda posta: totalmente in disaccordo, parzialmente in disaccordo, neutrale, parzialmente d’accordo o totalmente d’accordo.

Grazie a questa indagine è stato possibile analizzare la percezione di chi in Italia rappresenta il volontariato e quindi identificare alcuni degli effetti positivi che l’implementazione di questi modelli di condivisione può avere sul settore. Questi effetti riguardano principalmente la possibilità di incrementare e migliorare i servizi già in erogazione, tramite un processo di aggregazione, e la riduzione dei costi, tramite nuovi meccanismi di scalabilità dell’offerta, con la conseguente possibilità di ridistribuire l’eccesso di finanze resosi disponibile. Una nota di merito va anche alle nuove possibilità di promozione e valorizzazione dell’attività di volontariato che le piattaforme possono aprire grazie alla riduzione dei tempi di risposta nell’aggregazione dei volontari.

Per quanto riguarda invece le maggiori sfide che le piattaforme si troverebbero ad affrontare, dall’indagine è emerso che si tratta principalmente di due difficoltà: raggiungere la massa critica di utenti e attivare nuovi partecipanti. Entrambe queste difficoltà sono accresciute dalla latente mancanza di fiducia tra gli enti, spesso fortemente legati alla loro cultura istituzionale, che viene anche incentivata dall’assetto concorrenziale nell’accesso a fondi e finanze. Ciò portale realtà competenti a non voler diffondere la loro professionalità in tutto il sistema per tornaconto personale. In conclusione è stato analizzato l’inevitabile e inarrestabile incontro con il free-riding, che però in questo settore può essere determinato da una mancanza di conoscenza delle risorse a disposizione dei singoli enti e quindi facilmente arginabile con attività di assistenza al resource mining.

I risultati di questa indagine permettono di arricchire il dibattito con l’analisi di questioni più approfondite riguardanti gli elementi organizzativo-strutturali tipici delle organizzazioni di volontariato. Ad esempio, il modello piattaforma, creando uno spazio digitale definito per un settore specifico, può riuscire a generare tutta una serie di vantaggi nella creazione di nuove competenze costruite a partire dalle connessioni che permette, utilizzando fenomeni identificabili come labor pooling digitale? Un altro punto di indagine molto interessante da approfondire che si apre con questa ricerca è questo: in che modo e a che intensità una piattaforma può influire nella creazione di relazioni stabili tra i membri della community e il territorio fisico in cui questi si trovano?

In relazione sia ai vantaggi sia alle sfide, il filo conduttore di tutte le considerazioni è stata la necessità di un team piattaforma professionale, preparato e dedito alla gestione della community nonché del prodotto digitale.

In conclusione, il panorama del volontariato italiano sta da poco tempo compiendo i primi passi nell’analisi di nuove possibili strade per lo sviluppo e la sostenibilità del settore, come indagato anche nel numero di giugno 2018 di Vdossier sempre sulla sfida della sharing economy nel settore del volontariato. La maggioranza delle realtà intervistate nel progetto di ricerca da poco concluso concorda nel considerare un sistema di piattaforma di condivisione uno strumento dall’impatto estremamente positivo per l’efficienza del settore, ma allo stesso tempo il tessuto nazionale è ancora allo step precedente: necessita di uno progresso culturale, forse ancora troppo lento e di difficile coordinamento.

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