ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 178/2022

14 Settembre 2022

La sostenibilità possibile ci impone di ripensare sviluppo, ecologia, sostenibilità e giustizia 

Lisa Magnani osserva che la crisi energetica ha effetti negativi su quantità e prezzi dell’energia, ma mette anche in luce alcune importanti dimensioni della sfida ambientale, cioè l’interdipendenza tra i piani di sviluppo delle maggiori economie mondiali, specialmente India e Cina. Secondo Magnani, la crisi energetica attuale rende necessario riorientare le politiche economiche e ripensare i modelli di governance globale, per favorire la cooperazione e la cogestione dei problemi della sostenibilità.

La crisi energetica attuale è per molti aspetti paragonabile a quella dei primi anni Settanta; oggi , però, estremamente rilevante una dimensione che allora non era così importante: la sostenibilità ambientale. Ciò pone molti problemi che vanno da come affrontare nell’immediato la questione dei prezzi e della quantità delle risorse energetiche alla necessità di trovare soluzioni coordinate a livello internazionale, considerato il carattere globale del problema del cambiamento climatico. Le sfide sono severe, soprattutto per l’Occidente e per l’Unione europea in particolare, e difficilmente possono essere vinte senza un’adeguata visione dello sviluppo di lungo periodo e senza il coinvolgimento dei principali attori economici mondiali, il che implica, ad esempio, che, l’European Green Deal dovrebbe coordinarsi con i piani di sviluppo di Cina e india. Proviamo ad esaminare brevemente le principali questioni. 

Uno studio della McKenzie (McKenzie Italy Consumer Pulse Survey, “How current events are shaping Italian Consumer behavior”Luglio 2022 ) illustra chiaramente che in Italia – e in molti altri paesi europei – crescono le preoccupazioni per la disoccupazione e la stabilità del lavoro, a causa dei recenti aumenti dei prezzi dell’ energia e dei beni di prima necessità alimentati dalla guerra in Ucraina. Prima della crisi, il gas naturale copriva circa il 43% del fabbisogno energetico in Italia e fino a pochi mesi fa, la domanda di gas dell’Europa era soddisfatta al 40% dalla Russia Con la chiusura del Nord Stream 1, le forniture sono state tagliate del 90 percento (PBS, Settembre 2022

Secondo la International Energy Agency il taglio delle forniture di gas russo è responsabile per l’aumento del 300 percento del prezzo del gas (“The Russian invasion of Ukraine created unprecedented uncertainty and volatility for both European and Asian gas markets”). Il confronto con la crisi petrolifera dei primi anni Settanta è immediato: il costo del petrolio salì del 300 percento, innescando un processo di stagflazione dovuto anche al fatto che il petrolio copriva il 75 percento del fabbisogno energetico nazionale. 

Ma i problemi non consistono soltanto nella riduzione delle forniture e nell’aumento dei prezzi La transizione energetica verso fonti di energia rinnovabili è ancora molto lenta sebbene annunciata già da molto tempo. 

Come mostra la Fig. 1 (basata su dati della Statistical Review of World Energy-BP 2022 gas naturale, carbone e petrolio sono ancora le principali fonti energetiche sia in Italia che Germania.

Figura 1 – Le fonti energetiche in Italia e Germania 

Il rischio, piuttosto concreto, è che per rispondere alla carenza di gas di faccia ricorso al petrolio e al carbone che sono le risorse più prontamente disponibili. Ciò vorrebbe dire che si cerca di dare soluzione ai problemi congiunturali aggravando quelli più strutturali di sostenibilità ambientale e di lotta al cambiamento climatico, come ha, tra gli altri, messo bene in evidenza già ad a Aprile scorso l’Economist. 

Occorre quindi dare massima importanza al fatto che la crisi energetica di questi mesi e che tanto preoccupa gli italiani e gli europei si inserisce in un più ampio contesto che è sostanzialmente quello che ha ispirato l’European Green Deal (EGD) del 2019, il Piano Verde dell’Unione Europea per ridurre i gas serra almeno del 55% entro il 2030. Come ricorda l’European Think Tank Group (ETTG) in “The European Green Deal and the War in Ukraine” la geo-politica globale è la colonna portante di questo piano. L’ EGD può contribuire alla soluzione contemporanea delle crisi energetica, economico-sociale e ambientale, purché applicato di concerto con i programmi di transizione energetica a livello internazionale. Di fatto la crisi energetica in Europa deve essere letta come crisi dei modelli di governance che, come forse mai prima, richiedono coordinamento e coerenza tra politiche nazionali, regionali e globali. 

La gravità del problema della sostenibilità ambientale fa sì che, come si è già accennato, la crisi energetica attuale, diversamente da quella dei primi anni Settanta impone di considerare un orizzonte di lungo periodo, il solo adeguato per politiche di ristrutturazione e di estensione globale. In questo senso, il piano verde europeo, l’EGD, può essere considerato un piano di sviluppo; e per capire meglio come potrà essere il futuro di fronte alle sfide attuali occorre volgere lo sguardo anche ad orizzonti lontani ed in particolare alle grandi economie emergenti dell’Asia, particolarmente Cina e India. 

Come risulta dalla Fig. 2 (che riporta dati di Our World in Data), la Cina e l’ India sono tra i maggiori ‘produttori’ di CO2 – il primo responsabile dell’effetto serra – assieme a USA, Gran Bretagna, Germania, Giappone e Russia.

Figura 2 – I paesi con le maggiori emissioni di CO2

La graduale trasformazione della Cina, iniziata nel 1978, da economia pianificata e altamente centralizzata a economia basata sul profitto e il mercato, ha permesso – come è noto – di raggiungere elevatissimi tassi di crescita del PIL cinese (intorno al 10 percento) e di ridurre moltissimo povertà più estrema. Ma Il prezzo in termini di deterioramento della sostenibilità ambientale, nonché di crescente disuguaglianza tra la città e la campagne, tra i lavoratori istruiti e quelli non addestrati, e tra settori economici è stato molto elevato. Ad esempio, dai dati Our world (v. Fig. 3) risulta che il coefficiente di Gini, il più utilizzato indicatore della disuguaglianza, in Cina è cresciuto dal 28% dai primi anni Ottanta al 45% nel 2010 (un incremento del 60%), per poi discendere lievemente. 

Figura 3 – La disuguaglianza dei redditi in Cina (coefficiente di Gini, 1981-2019)

Per quello che riguarda le fonti energetiche sia Cina che India ancora dipendono da fonti energetiche quali carbone e petrolio (v. Fig. 4, anch’essa tratta da Our World

Figura 4 – Le fonti energetiche in Cina e India

Dal 2006 la Cina ha raddoppiato le sue emissioni di CO2 ed è arrivata a generare circa un quarto delle emissioni mondiali di gas che causano l’effetto serra. Pochi mettono in dubbio i risultati dell’analisi della World Bank secondo cui le sfide climatica e ambientale nel mondo non possano essere risolti se non con il positivo coinvolgimento di Cina e India. Purtroppo però, come dimostrano i dati della Climate Action Tracker (v. Fig. 5) il gap cinese tra le riduzioni di CO2 necessarie per contenere entro 1,5 gradi l’aumento delle temperature medie nel 2030 e l’attuale sentiero di crescita sono enormi. 

Figura 5 – Il gap di sostenibilità in Cina

Al momento, come ricordano Wang Cong e Tu Lei in “Xi declares completion of moderately prosperous society” la Cina continua a sostenere il suo piano quinquennale di crescita per diventare un’economia ad alto reddito entro il 2035. L’eventuale rallentamento della crescita per rispettare l’obiettivo di non incrementare la temperatura media più di 1,5 gradi comporterà diversi aggiustamenti non soltanto nell’economia cinese ma anche negli equilibri economici e geo-politici internazionali. 

In questa prospettiva assumono particolare importanza, anche se non per l’immediato, i propositi del Presidente cinese Xi Jinping di un pianificato declino delle emissioni di CO2 dal 2030 per arrivare ad annullare le emissioni nette per il 2060. Ma va sottolineato che l’eventuale riciclo di strategie di sviluppo formulate nel passato, quando il mondo poteva ancora chiudere gli occhi di fronte dell’emergenza climatica, non è compatibile con le sfide del presente, che invece richiedono modelli in grado di armonizzare crescita, riduzione della disuguaglianza e sostenibilità ambientale.

In India, gli effetti della rapida urbanizzazione che ha accompagnato, a partire dai primi anni Novanta, la ristrutturazione economica sono devastanti. Gli alti tassi di crescita degli ultimi decenni continuano danneggiare risorse fondamentali quali l’acqua e aria, soprattutto nelle maggiori aree urbane di Delhi, Kolkata e Mumbai. La International Energy Agency ci avverte che da qui al 2040, urbanizzazione e crescita comporteranno incrementi massicci nella domanda di energia da parte dell’India. Mentre popolazione ed emissioni continuano a crescere, i propositi del governo Modi rimangono fortemente incentrati sulla riduzione della povertà, l’occupazione e l’accesso universale ad elettricità e mezzi di trasporto privati, a scapito della qualità dell’ambiente e delle emissioni di CO2. Non a caso, l’ Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC) ha ammonito, in un suo Rapporto, che sarà impossibile per il governo indiano evitare un disastro climatico se le emissioni di CO2 non vengono ridotte entro il 2030. Dal canto suo, la comunità internazionale ha espresso un chiaro giudizio sulla politica del Primo Ministro Modi: una crescita come quella programmata in India avrà un impatto disastroso sulla capacità del mondo di rimanere entro i piani di stabilità climatica stabiliti a Glasgow.

I piani di sviluppo di India e Cina sollevano, quindi, domande importanti. In linea di principio non si può biasimare che essi adottino politiche di crescita dirette a risolvere il problema della povertà e a migliorare il tenore di vita delle loro popolazioni. In fondo, questo è quanto hanno fatto i paesi nel Nord Globale nell’immediato dopoguerra, quando milioni di persone raggiunsero standard di vita in precedenza riservati solo a pochi ceti abbienti. Ma, dal punto di vista della sostenibilità, il problema principale è la non-linearità del sistema ecologico della Terra, cioè il fatto che oggi un dato aumento del PIL, in assenza di un forte disaccoppiamento tra crescita ed emissioni, avrà effetti sul clima che non ebbe negli anni Cinquanta. In sistemi non-lineari, i cambiamenti sono spesso episodici e improvvisi, e shocks anche di dimensioni ridotte possono avere effetti enormi sui delicati equilibri ecologici e climatici (si veda a questo proposito AA.VV, “Non-linearities, Feedbacks and Critical Thresholds within the Earth’s Climate System”, in Climate Change, 2004). Accettare il punto di vista scientifico e tenere conto di questa non-linearità dei sistemi geo-biologici non è semplice ma è indispensabile.Per concludere, Cina e India sembrano orientate a perseguire una sostenuta crescita economica nei prossimi anni e i loro piani di riduzione delle emissioni (quando vi sono) appaiono inadeguati per evitare che la conseguenza di tutto ciò sia una catastrofe ambientale a livello globale. Di questo l’Occidente dovrebbe essere pienamente consapevole, anche in relazione alla crisi congiunturale di questi mesi, impegnandosi, da un lato, a definire meglio modelli in grado di conciliare sviluppo, ridotte disuguaglianze e sostenibilità ambientale, e, dall’altro, a favorire l’indispensabile collaborazione con i giganti asiatici. Un compito di enorme difficoltà ma anche di enorme importanza. 

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