L’attenzione del Governo per l’Università: possiamo stare tranquilli?

Gianfranco Viesti esamina alcune recenti iniziative del governo in tema di politica universitaria (l’aumento dei fondi per le borse di studio; il piano straordinario “ordinari”; il reclutamento di nuovi ricercatori; le “cattedre Natta”; gli annunci del nuovo Piano Nazionale della Ricerca e dello Human Technopole) e sottolinea due rischi: che vengano privilegiati interventi di carattere straordinario e che gli effetti non siano territorialmente neutri, con conseguenze negative (e cumulative) soprattutto per il Mezzogiorno.

Le politiche per l’università hanno di recente ricevuto una certa attenzione da parte del Governo come testimoniano alcuni interventi previsti dalla Legge di Stabilità (l’aumento dei fondi per le borse di studio; il piano straordinario “ordinari”; il reclutamento di nuovi ricercatori; le “cattedre Natta”); gli annunci del nuovo Piano Nazionale della Ricerca e dello Human Technopole. Analizziamo questi iniziative in dettaglio, prima di svolgere qualche considerazione d’insieme

La legge di stabilità all’art. 1 comma 254 prevede un aumento del fondo per le borse di studio di 54.750.000 euro per il 2016 e di 4.750.000 euro a decorrere dal 2017 (con un importante aumento, frutto dei lavori parlamentari, rispetto alla proposta governativa iniziale di 5 milioni per il 2016); al comma 206 prevede lo stanziamento di 6 milioni (2016) e 10 milioni (2017) per un piano straordinario per la chiamata di professori di prima fascia; al comma 247, 47 milioni (2016) e 50 milioni (dal 2017) per il reclutamento di 861 nuovi ricercatori (RTD-B). Si tratta di misure che vanno nella giusta direzione, e cercano di sanare alcune rilevanti conseguenze negative del fortissimo definanziamento dell’università degli ultimi sette anni. Tale definanziamento è documentato in dettaglio nel volume “Università in declino” (Donzelli), da cui sono tratti i dati che seguono, se non diversamente specificato.

Si può tuttavia discutere dell’intensità di queste misure. L’Italia ha 141mila borsisti (2012-13) contro i 300mila della Spagna, i 440mila della Germania e i 630mila della Francia; inoltre, nel Mezzogiorno, la situazione è pessima: la quota di beneficiari di borsa di studio è più bassa della media nazionale, pur essendo il reddito delle famiglie inferiore. Per valutare quanto siano rilevanti i 50 milioni (peraltro stanziati per un solo anno per l’intero paese), si può ricordare che sarebbero necessari 127 milioni ogni anno solo per erogare le borse a quegli studenti del Mezzogiorno che pur avendo i requisiti non le ricevono per carenza di fondi.

Ragionamenti simili si possono fare sulle chiamate di prima fascia. A fine novembre 2015 risultavano “chiamati” in ruolo da ordinario pochissimi abilitati alla prima fascia della docenza nel il 3,3% nel Mezzogiorno, l’1,8% al Centro e il 4,3% al Nord (a fronte del 40% degli abilitati alla seconda fascia già “chiamati”, ma con percentuali molto maggiori al Nord rispetto al Centro-Sud). Lo stesso vale per i ricercatori. Per quanto il Programma Nazionale di Riforma (allegato al DEF) sottolinei che lo stanziamento porterà il numero di RTD-B “dagli attuali 700 a più di 1500”, una ricostruzione dell’Unione degli Studenti permette di verificare che esso comporterà un incremento di circa l’1,8% del personale docente (che si è invece ridotto di circa un quinto a partire dal 2008) e un recupero dell’11% circa della riduzione di personale avvenuta a partire dal 2010.

Sarebbe stato possibile stanziare più risorse? Per rispondere occorrerebbe riferirsi alle complessive politiche di spesa e tassazione. Ma un riferimento più puntuale è possibile: con la stessa legge di stabilità per il cosiddetto “bonus cultura” sono stati stanziati 290 milioni per il 2016 a favore dei circa 570.000 italiani che compiono 18 anni, inclusi quelli provenienti dalle famiglie più agiate. Una semplice riconsiderazione di questa misura, o quanto meno una sua rimodulazione in senso meno regressivo, avrebbe potuto liberare risorse significative.

Assai diverso è il caso delle cosiddette “cattedre Natta” (38 milioni per il 2016 e 75 dal 2017) che introducono un’assoluta novità: una procedura di reclutamento parallela e straordinaria. E’ atteso a breve il provvedimento attuativo, che si preannuncia di grande rilevanza e consentirà valutazioni più complete. Tuttavia sono già emerse significative preoccupazioni, che attengono a questioni di fondo. Appare ad esempio condivisibile ciò che paventa Giliberto Capano: “questo inventarsi procedure parallele ha una serie di effetti negativi (…), tra cui merita ricordare: una ulteriore delegittimazione del sistema universitario; la creazione di disparità inaccettabili tra individui con professionalità comparabili; (…) il rafforzamento di alcune sedi universitarie come prodotto di scelte personali”. E’ bene ricordare che i docenti così reclutati potranno, dopo una prima fase, muoversi liberamente fra le sedi (art. 1 comma 211 della Stabilità): è ragionevole pensare che l’assoluta maggioranza preferirà operare nei contesti più dotati, da ogni punto di vista, di risorse.

Infine, dal Programma Nazionale di Riforma (pag. 84) apprendiamo che “sta per essere varato” il Piano Nazionale di Ricerca 2015-2020: ciò consiglia di rinviare anche qui più estesi commenti alla lettura del testo. Tuttavia viene chiarito che esso dispone dei 2,5 miliardi cui faceva riferimento con grande enfasi il Presidente del Consiglio nel suo intervento pubblicato su “La Repubblica” del 26 marzo scorso. Si precisa che essi “provengono per 1,9 miliardi dai fondi che finanziano la ricerca (compresa la linea finanziaria PON)”, quindi da risorse già disponibili; e “per 500 milioni dal Fondo Sviluppo e Coesione” (FSC): questi ultime sono verosimilmente le “risorse aggiuntive” cui faceva riferimento Renzi.

Lo stanziamento complessivo del Fondo Sviluppo e Coesione è però già avvenuto nel 2012: quindi si tratta, più precisamente, della programmazione attuativa di risorse già disponibili. Va ricordato che la “linea finanziaria PON” ammonta a 1.286 milioni, ma è destinata esclusivamente al Mezzogiorno; inoltre, per legge, i 500 milioni FSC vanno allocati per l’80% al Mezzogiorno. Ipotizzando allocazioni rispettose della legge (e un riparto nella misura di 2/3 al Centro-Nord e 1/3 al Mezzogiorno delle risorse senza destinazione territoriale vincolata), si può stimare che il PNR è basato per l’intero Centro-Nord solo su circa 400 milioni di risorse già disponibili e su 100 milioni di risorse FSC per un triennio. A meno che, naturalmente, non si vogliano infrangere destinazioni previste da intese con l’Unione Europea e da leggi dello Stato, come d’altra parte avvenuto con le prime allocazioni del FSC operate dal Governo.

Va infine ricordata la decisione del Presidente del Consiglio di stanziare 1,5 miliardi in dieci anni a favore dell’Istituto Italiano di Tecnologia, per la realizzazione del cosiddetto Human Technopole sull’area ex Expo a Milano. Sul piano quantitativo, tale cifra va comparata con la disponibilità di meno di 100 milioni in un triennio per la ricerca nelle università (PRIN): disponibilità che dovrebbe permettere di finanziare all’incirca il 2% di tutti i progetti presentati. Sul piano procedurale e di merito, sorprende e dispiace la decisione di allocare discrezionalmente tali risorse ad una singola istituzione, che provvederà, a sua volta su base discrezionale, alla selezione dei ricercatori (è circolata la cifra di mille) e dei gruppi di ricerca da coinvolgere nel progetto. Vale ricordare la vivacissima polemica che, a questo riguardo, è stata sollevata, fra gli altri, dalla senatrice a vita Elena Cattaneo (ad esempio in un documentato articolo apparso su La Repubblica del 25 febbraio scorso.

Alcuni commenti d’insieme. In linea generale sembra emergere da parte della Presidenza del Consiglio (da cui proviene la grande maggioranza delle scelte) un’impostazione volta a concentrare attenzione e risorse su interventi di carattere straordinario e parallelo rispetto al funzionamento ordinario del sistema dell’università. Nell’assenza di qualsiasi iniziativa di riflessione politica (delle iniziative del Partito Democratico sulla cosiddetta “buona università” si sono perse le tracce), sembra prevalere un atteggiamento ispirato da convinzioni simili a quelle espresse di recente sul Menabò da uno dei consiglieri economici di Renzi, Luigi Marattin, il quale, pur precisando di intervenire a titolo personale, procedeva dalla considerazione che “l’università italiana – pur con meritorie eccezioni – sia stata affossata da decenni di potere baronale”, riecheggiando così alcuni dei più diffusi pregiudizi che hanno avuto nel tempo ampia circolazione e teorizzando la necessità di un aggiramento o di un superamento degli assetti attuali. Da questo punto di vista sarà fondamentale il modo in cui si darà attuazione alla norma sulle cosiddette “cattedre Natta”. Il disinteresse per le procedure ordinarie sembra presente anche in quello che può essere considerato l’ultimo capitolo (per ora) della vera e propria “saga” dei criteri e degli indicatori utilizzati per allocare le risorse fra i diversi atenei. Nel decreto che stabilisce la ripartizione dei nuovi ricercatori una parte di essi (20%) è destinata in numero fisso (2) per ogni ateneo. Come è stato notato si viene così a configurare un nuovo, bizzarro, criterio di “merito”: la (piccola) dimensione.

Infine è molto importante segnalare che le misure del governo continuano a favorire una biforcazione su base territoriale del sistema universitario italiano, a parità di risorse, esse favoriscono nettamente le università collocate “al cuore del Nord”, a danno di quelle della periferia del Nord, e del Centro-Sud. Ne è prova la decisione sullo Human Technopole, che avrà un fortissimo effetto attrattivo di ricercatori verso l’area milanese. Rischia di produrre un effetto altrettanto forte la decisione relativa alle “cattedre Natta”: apprendiamo da dichiarazioni rilasciate dal Sottosegretario Nannicini al Sole 24 Ore (2 aprile) che “è certo che una certa aggregazione lì dove c’è più eccellenza ci sarà”; aggregazione che potrà con il tempo rafforzarsi, in base alle libere scelte dei vincitori. Infine va ricordato come il Governo abbia proposto, e il Parlamento accettato, che l’allocazione dei nuovi ricercatori fra gli atenei fosse effettuata “tenendo conto dei risultati della VQR” (alla fine questo criterio si è attribuito un peso molto alto, l’80%, sul totale). Utilizzare nella primavera 2016 i dati relativi alla VQR 2004-10, ampiamente noti da tempo, significa perseverare nell’allocazione discrezionale di risorse da parte del “Principe”, come si è già ricordato sul Menabò.

La dimensione territoriale delle politiche dell’università e della ricerca dovrebbe attentamente bilanciare i vantaggi dell’agglomerazione e della concentrazione delle attività nelle aree più forti con i vantaggi di un rafforzamento complessivo del sistema. Ciò non avviene; nonostante non ci sia evidenza che un sistema più concentrato ha, specie nel lungo periodo, effetti positivi sullo sviluppo del paese. Il timore è, invece, che la Presidenza del Consiglio voglia seguire, come indirizzo generale, una politica estremamente selettiva sul piano territoriale, con conseguenze rilevanti e cumulative per le aree escluse (principalmente il Centro-Sud) ed in particolare per i gruppi di ricerca di maggiore qualità al loro interno che, lungi dall’essere “premiati” e valorizzati, rischiano, con il tempo, di deperire.

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