L’azzardo di Karlsruhe

Paolo Paesani esamina la recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca a proposito del programma di acquisto di titoli di stato da parte della Banca Centrale Europea. Dopo aver ricordato quale sia stata la genesi della sentenza, Paesani ricostruisce l’ampio dibattito svoltosi sulla questione nelle ultime settimane ed espone il proprio punto di vista sui rischi che da tale sentenza possono derivare per la tenuta dell’Unione Monetaria Europea.

Il 5 maggio 2020 potrebbe passare alla storia come l’inizio della fine dell’Unione Monetaria Europea (UME). Questo il timore di alcuni (e la speranza di altri) dopo che una sentenza della Corte Costituzionale Federale tedesca (CFT) di Karlsruhe, ha sollevato dubbi pesanti sul giudizio di legittimità espresso, nel 2019, dalla Corte di Giustizia Europea (CGE) a proposito del Public Sector Purchase Programme (PSPP). Il PSPP fa parte dell’Expanded Asset Purchase Programme (EAPP), lanciato il 4 marzo 2015 per contrastare gli effetti deflattivi della crisi dei debiti sovrani dell’eurozona. Nell’ambito del PSPP, le banche centrali dell’Eurosistema acquistano titoli di Stato o altri titoli di debito negoziabili emessi dai governi centrali degli Stati membri dell’area dell’euro, da “agenzie riconosciute” e organizzazioni internazionali o da banche multilaterali di sviluppo situate nell’area dell’euro. Il PSPP rappresenta la quota maggiore del volume totale dell’EAPP. All’8 novembre 2019 il valore totale dei titoli acquistati nel quadro dell’EAPP dall’Eurosistema ammontava a 2.557.800 milioni di euro, compresi gli acquisti effettuati nel quadro del PSPP per un importo di 2.088.100 milioni di euro.

La sentenza del 5 maggio, ultimo di una serie di atti di ostruzionismo compiuti dalla CFT contro la CGE, trae origine da un ricorso presentato nel 2015 da parte di alcuni cittadini tedeschi davanti alla Corte di Karlsruhe. I ricorrenti lamentavano il fatto che il PSPP violasse l’Art 123 del TFEU che proibisce il finanziamento monetario dei bilanci degli stati membri e che da ciò derivasse una lesione dei loro diritti costituzionali. Nel 2018, la CFT ha investito della questione la CGE che con sentenza dell’11 dicembre 2018, dichiarava legittimo il PSPP e coerente con il perseguimento dell’obiettivo di stabilità dei prezzi della Banca Centrale Europea (BCE).

La decisione di rinnovare i titoli in scadenza, senza rivenderli, e la riattivazione del programma di acquisti a partire dal 1 novembre 2019, hanno riacceso il conflitto intorno al PSPP, creando le premesse per il pronunciamento della CFT. Quest’ultima, taccia la sentenza della CGE di essere “semplicemente incomprensibile”, non convincente per ragioni metodologiche e ultra vires, esorbitante rispetto al merito della richiesta iniziale, al di fuori dei limiti del mandato della CGE e potenzialmente inapplicabile in Germania.

Il problema nasce dalla decisione della CGE di dichiarare legittimo il PSPP senza aver condotto un’analisi degli effetti economici e dei rischi che questo programma può comportare e senza aver accertato che la BCE abbia condotto questa analisi. Allentamento della disciplina fiscale, possibilità di tenere in vita imprese inefficienti, aumento artificiale del patrimonio delle banche attraverso la rivalutazione dei titoli nei loro portafogli e danni per azionisti, affittuari, proprietari d’immobili, risparmiatori o detentori di polizze assicurative sono i rischi principali citati dalla CFT.

Mancando una valutazione di questi rischi, la corte tedesca si è dichiarata non vincolata dalla decisione della CGE, e ha avocato a sé il compito di determinare se le decisioni dell’Eurosistema in merito al PSPP rimangano nell’ambito delle competenze conferitegli dal diritto primario dell’UE o se invece rappresentino una violazione di quel mandato. Nel dare tre mesi alla BCE per dimostrare la correttezza delle proprie azioni, la corte federale tedesca ha intimato al governo e al Parlamento federale (Bundestag) di vigilare sulle azioni dell’Eurosistema nell’interesse dei cittadini tedeschi.

Se al termine di questa indagine emergesse un superamento, manifesto e strutturalmente significativo, delle proprie competenze da parte dell’Eurosistema, la CFT stabilisce un periodo non superiore a tre mesi dopo il quale la Bundesbank non potrà più partecipare all’attuazione e all’esecuzione delle decisioni della BCE, a meno che il Consiglio direttivo della BCE non adotti una nuova decisione che dimostri in modo comprensibile e motivato che gli obiettivi di politica monetaria perseguiti dal PSPP non sono sproporzionati rispetto agli effetti di politica economica e fiscale risultanti dal programma. Alla stessa condizione, la Bundesbank deve garantire che le obbligazioni già acquistate e detenute in portafoglio siano vendute sulla base di una strategia – possibilmente a lungo termine – coordinata con l’Eurosistema.

Al di là dei limiti di una sentenza che sembra ignorare la mole di pubblicazioni ufficiali e scientifiche che hanno accompagnato l’introduzione del PSPP, anche in risposta all’accusa di danneggiare i risparmiatori tedeschi, la sentenza della CFT ha spinto l’UME su un terreno minato. Dopo alcuni giorni di deliberazione, la BCE, preso atto della sentenza di Karlsruhe, ha deciso d’ignorarla, sulla base del fatto che la BCE risponde al Parlamento europeo e alla Corte europea e che la CGE si è già pronunciata sulla legittimità del programma di acquisto.

Questa decisione, l’unica possibile per non creare precedenti pericolosi, non è priva di rischi. Non è chiaro cosa accadrà fra tre mesi e non è chiaro cosa farà la Bundesbank. Interrompere gli acquisiti, in ossequio alla sentenza della CFT porterebbe una lesione del principio d’indipendenza della banca centrale, senza parlare degli effetti sull’euro e sugli spread dei titoli sovrani di alcuni paesi dell’euro-area. Non interrompere gli acquisti, potrebbe avere pesanti ricadute interni sugli equilibri politici tedeschi.

La gravità della situazione e la complessità delle questioni che la sentenza del 5 maggio solleva, spiegano l’intensità del dibattito che si è sviluppato a partire da allora. Questo dibattito coinvolge politici, accademici, policy makers ed esperti di questione europee sui giornali, sui media online, nei blog economici e giuridici e nei webinar di tutta Europa. Tra i molti temi in discussione, due appaiono di particolare interesse dal punto di vista dell’economista politico.

Il primo riguarda la natura delle forze in campo. Dietro la corte di Karlsruhe, si allineano i rentier e l’industria finanziaria tedesca e in maniera più o meno defilata tutti coloro che negli anni, hanno criticato la BCE per il suo interventismo. Tra questi troviamo figure politiche di spicco nel centro-destra tedesco e autorevoli membri passati e presenti del Comitato esecutivo della BCE tra cui l’economista capo Jurgen Stark nel 2011 e più recentemente il presidente della Bundesbank Jens Weidmann.

Sul fronte opposto, troviamo le istituzioni europee, una parte del direttorio della BCE e tutti coloro, che con toni diversi, hanno lodato gli interventi di Francoforte come contributo al superamento delle crisi finanziarie e premessa per progredire sulla strada dell’integrazione economica e finanziaria europea. Altri, pur ammettendo questi vantaggi, ritengono che gli interventi della BCE siano serviti a tenere in vita un paziente malato senza avviarlo su un percorso di guarigione definitivo. Interventi troppo timidi, a volte tardivi, frutto di compressi che nulla fanno per ridurre gli squilibri crescenti all’interno di un’UME a trazione tedesca. Opinioni come queste riflettono lo scetticismo di chi vorrebbe un’Europa diversa da quella che abbiamo, solidale, libera dall’incubo del contabile di keynesiana memoria, coraggiosa nell’intraprendere passi in avanti sulla strada dell’integrazione. Ogni giorno che passa la fiducia nella possibilità che questa Europa nasca davvero s’indebolisce e gli europeisti delusi si aggiungono agli euroscettici della prima ora.

Al momento, il fronte dei sostenitori della BCE appare maggioritario e la saldatura tra chi critica l’interventismo di Francoforte da posizioni conservatrici (i rentier tedeschi) e chi critica la BCE come parte dell’Europa di Maastricht in ottica progressista non si è ancora verificata. Entrambi questi fatti portano a ritenere che gli interventi della BCE proseguiranno nei prossimi mesi e che almeno sul fronte della politica monetaria, l’Europa continuerà a fornire un contributo importante in termini di stabilizzazione finanziaria e di rafforzamento della coesione tra i paesi membri dell’UME. Ciò non toglie che la sentenza della corte di Karlsruhe abbia sollevato un problema oggettivo che rimanda all’evoluzione del ruolo delle banche centrali negli ultimi decenni.

Questo tema si collega alla seconda questione che pone la sentenza della CFT, la distinzione tra politica monetaria e politica economica. Questa distinzione, riconosciuta dai trattati europei, rimanda a un’ideale divisione di compiti tra il governo e la banca centrale. Il governo regola l’allocazione delle risorse e la distribuzione dei redditi attraverso le manovre di finanza pubblica. La banca centrale controlla l’inflazione attraverso la politica monetaria e agisce al riparo da pressioni politiche grazie alla sua indipendenza. Sul piano teorico, questa distinzione è figlia del clima politico e della teoria economica affermatasi tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta del Novecento, come ricostruisce fra gli altri A. Tooze.

In un clima segnato da pesanti conflitti distributivi, economici e sociali, nacquero modelli economici che dimostravano la possibilità di ridurre l’inflazione senza sacrifici in termini di produzione e occupazione a patto di affidare la politica monetaria a una banca centrale indipendente, al riparo dalle pressioni di politici ansiosi di stimolare l’economia per garantirsi la rielezione. L’affermarsi di questi modelli, radicati nell’antico principio della neutralità della moneta, sembrava dare ragione a quei paesi come la Germania, dove l’indipendenza della banca centrale era parte del modello ordoliberale tedesco (Pace L F., Il principio dell’indipendenza della banca centrale e la stabilità dei prezzi come obiettivo della politica monetaria: quale influenza dell’ordoliberalismo in Germania e nell’Unione Europea? Moneta e Credito, 2019).

Nell’ambito di questo modello, alla banca centrale spetta il compito di regolare il conflitto distributivo tra i lavoratori e le imprese, cooperando con il governo ma senza ricorrere al finanziamento monetario del bilancio pubblico in nome di un interesse superiore per la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria. La BCE è nata per essere coerente con questo modello e per i primi dieci anni dell’UME le cose hanno funzionato. Con lo scoppio della crisi finanziaria globale, però, la situazione è cambiata radicalmente. Tutte le principali banche centrali, compresa la BCE, sono state chiamate ad assumere compiti ben più complessi del controllo dell’inflazione che nel frattempo diminuiva quasi ovunque. Il sostegno che le banche centrali hanno fornito in questi anni si è rivelato cruciale per riportare l’economia globale a una parvenza di stabilità, almeno prima dell’esplosione dell’emergenza COVID-19. Oggi

L’insieme delle questioni testé richiamate delinea un quadro complesso. Nel breve termine, appare condivisibile l’analisi della società di rating S&P quando indica che, al netto dei rischi di limitazione della sua indipendenza suscitati dalla sentenza della CFT, la BCE continuerà nella sua azione di contrasto alla frammentazione monetaria in tutte le giurisdizioni dell’area dell’euro e di sostegno alla stabilità dei prezzi. Dubbi rimangono su tutto il resto e soprattutto sulla capacità della UE e degli stati che ne fanno parte di compiere significativi passi avanti sulla strada dell’integrazione fiscale e del rafforzamento della governance economica europea. Su questo fronte e sul contenuto effettivo del piano “Next Generation EU”, lanciato pochi giorni fa dalla Commissione Europea, si giocherà la vera battaglia nei prossimi mesi.

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