Il divario retributivo di genere è un problema ben documentato in molti paesi, tra cui l’Italia. Numerosi studi, compreso uno condotto dall’INPS, hanno evidenziato come, a parità di settore, occupazione, tipologia contrattuale e impresa, le donne percepiscano retribuzioni inferiori rispetto agli uomini. Un’importante causa di questo gap, come indicato dalla letteratura economica, è il diverso impatto che la genitorialità ha sugli uomini e sulle donne.
In una società che tradizionalmente assegna agli uomini il compito di provvedere al sostentamento della famiglia e alle donne le responsabilità della cura dei figli e della gestione domestica, la nascita di un figlio può influenzare il percorso professionale di donne e uomini in modo molto diverso. Gli uomini vengono generalmente considerati i breadwinners, ovvero coloro che guadagnano il reddito principale del nucleo familiare. La nascita di un figlio può quindi portarli a impegnarsi maggiormente nel lavoro, cercando stabilità e opportunità di carriera, il che si traduce spesso in aumenti retributivi e progressioni di carriera. Le donne, invece, assumendo come principale responsabilità quella della cura dei figli, potrebbero ridefinire le energie dedicate a impegni familiari e professionali, spesso a svantaggio di questi ultimi.
Per approfondire la relazione tra genitorialità e retribuzioni, abbiamo condotto un’analisi utilizzando i dati dell’Assegno Unico e Universale, che forniscono un quadro puntuale delle nascite avvenute in Italia negli ultimi anni e permettono di individuare entrambi i genitori. La metodologia utilizzata è quella di un event study, ossia uno strumento di analisi statistica che studia il comportamento di una serie storica in relazione a un dato evento. Tale metodologia è consolidata nella letteratura economica ed è stata usata per fornire evidenza dell’impatto della genitorialità sulle carriere lavorative in diversi paesi, come Austria, Germania, Danimarca, Regno Unito, Svezia e Stati Uniti. Per l’Italia, è stato esaminato l’impatto della genitorialità sulle madri (qui), per cui si riscontra una sostanziale penalizzazione in termini di redditi annuali; non vi è, invece, alcuna evidenza per i padri.
Nel nostro studio abbiamo stimato l’eventuale penalità derivante dalla nascita di un figlio per le madri e per i padri occupati nel settore privato extra-agricolo il cui primo figlio è nato nel periodo che va dal 2013 al 2016 e limitandoci a coloro che, alla nascita del primo figlio, avevano un’età compresa tra i 20 e i 45 anni. L’analisi si focalizza sui comportamenti lavorativi dei genitori tre anni prima e sette anni dopo la nascita del figlio e utilizza lo stesso approccio utilizzato da Kleven et al. (2019) che si basa sull’osservazione di cambiamenti significativi nei risultati ottenuti da madri e padri sul mercato del lavoro in prossimità della nascita del loro primo figlio. Infatti, anche se la scelta di mettere al mondo dei figli non è esogena, considerata la prevalente evoluzione delle carriere, caratterizzata da sostanziale fluidità, se si osservano cambiamenti in prossimità di una nascita si può assumere che la causa sia questa.
Il Grafico riportato di seguito mostra l’impatto della nascita di un/a figlio/a sulla retribuzione annuale percepita; nel panel di sinistra consideriamo le retribuzioni sulla base dell’imponibile (cioè la retribuzione corrisposta dal datore di lavoro), quindi senza la copertura di eventuali eventi figurativi, mentre in quello a destra includiamo anche le “differenze accredito” derivanti dalle tutele previdenziali (essenzialmente l’indennità per la maternità e i congedi). I coefficienti indicano l’effetto in diversi anni rispetto a quello di nascita del figlio, il valore di riferimento è l’anno precedente la nascita.
Prima della nascita, le retribuzioni di entrambi i genitori seguono un trend crescente e parallelo. Tuttavia, dopo la nascita, le strade dei due gruppi si separano nettamente: mentre nell’anno in cui diventano madri le donne subiscono un calo del 76% nei redditi annui, i padri vedono un aumento del 6%. Le retribuzioni femminili impiegano circa cinque anni per tornare ai livelli pre-maternità, mentre per gli uomini, il trend di crescita continua, portando a un incremento salariale del 50% a sette anni dalla nascita del figlio. Rispetto alle stime prodotte da altri ricercatori (qui) la penalità subita dalle madri risulta inferiore, il che potrebbe dipendere dal fatto che noi stiamo considerando donne che sono diventate madri in anni più recenti.
Quando includiamo nei redditi le indennità percepite per l’occorrenza di eventi tutelati, la caduta delle retribuzioni femminili si registra nell’anno successivo a quello di nascita e si assesta a -16% e presenta un recupero più rapido (il coefficiente diventa positivo a partire dal terzo anno in poi). La situazione rimane sostanzialmente invariata per gli uomini.
Poiché queste stime sono condizionate al fatto che gli individui siano occupati e possono, pertanto, risentire del fatto che solo coloro che sono maggiormente attaccati alla propria posizione lavorativa non l’abbandonino dopo essere diventati genitori, è ragionevole pensare che esse rappresentino una stima molto cautelativa dell’effetto di interesse. E’ ben noto, infatti, che molte lavoratrici decidono di uscire dal mercato del lavoro a seguito della nascita di un figlio. Per cercare di comprendere questo fenomeno, abbiamo stimato l’impatto della nascita di un figlio sulla probabilità di abbandonare il lavoro nel settore privato extra-agricolo. Si noti che i lavoratori/trici che in un dato anno non sono inclusi tra gli occupati del settore in questione potrebbero essere usciti dalle forze di lavoro, essere diventati disoccupati oppure aver cambiato settore. La nostra analisi, quindi, fotografa in maniera parziale il fenomeno.. Le nostre stime indicano (si veda Grafico sotto) che prima della nascita del figlio la probabilità di uscita dal settore è simile per uomini e donne (circa 10,5-11% per le donne e 8,5-9% per gli uomini), tuttavia, nell’anno di nascita, questa probabilità aumenta bruscamente per le donne, raggiungendo il 18%, mentre per gli uomini scende all’8%. Altre analisi rilevano dei miglioramenti rispetto al passato: secondo un lavoro di De Philippis e Lo Bello, l’employment child penalty è inferiore del 50% per le donne che hanno fruito del congedo di maternità tra il 2005 e 2010 rispetto alle donne diventate madri tra il 1990 e il 1995. Sebbene il dato sia incoraggiante, la strada da fare è ancora lunga.
In linea con la oramai ricca letteratura sul tema, questi risultati sottolineano la necessità di politiche tese a promuovere una maggiore equità tra uomini e donne, nella sfera professionale e nella genitorialità, per riequilibrare gli oneri legati alla gestione dei carichi di cura, ridurre i divari e sostenere la partecipazione femminile al mercato del lavoro.
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