ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 226/2024

1 Dicembre 2024

Le immigrazioni da problema a opportunità

Giorgia Marini e Giorgio Rodano, sintetizzando il loro recente libro, mostrano che le politiche migratorie possono essere migliori di quelle in atto, anche continuando a contrastare l’immigrazione irregolare e i trafficanti che la gestiscono. La crisi demografica, l’invecchiamento della popolazione e il ristagno economico richiedono flussi di migranti molto maggiori degli attuali. Per assicurarli i due autori suggeriscono di attivare un servizio di trasporto regolare, sicuro (e pubblico) capace di mettere fuori mercato i trafficanti.

Le massicce migrazioni dai paesi poveri verso quelli dell’Occidente ricco sono uno dei grandi fatti di questo primo quarto di secolo. Sul tema delle migrazioni, sui meccanismi economici che le governano e sul loro impatto sull’economia abbiamo scritto un libro (L’economia delle migrazioni, Carocci, 2024) che si riferisce al nostro paese, anche se il fenomeno riguarda un po’ tutti i paesi dell’Unione Europea, oltre che il Regno Unito, gli Usa, il Canada. In queste note presenteremo le tesi principali e una specifica proposta, contenute nel libro.

Quasi ovunque le destre, nettamente ostili ai flussi migratori, ne hanno fatto, con successo, uno dei propri cavalli di battaglia. La loro narrazione è semplice, ai limiti della rozzezza: i migranti sono troppi, ci tolgono il lavoro e ci minacciano perché alimentano il mondo criminale; perciò dobbiamo respingerli al di fuori dei nostri confini (se proprio si vuol far qualcosa, aiutiamoli a restare a casa loro). Come vedremo tra breve è anche una narrazione falsa; ma la sua semplicità ha fatto presa e ha consentito di raccogliere consensi (e voti).

Quasi ovunque le sinistre hanno giocato di rimessa. Si sono affidate alla difesa delle politiche di accoglienza, giustificandole con quanto detta il diritto internazionale e promuovendole – seguendo l’accorato ma “disarmato” messaggio di Papa Francesco – come un’istanza etica. Ma sul piano pratico hanno combinato ben poco. In più di un’occasione hanno cercato di edulcorare le politiche delle destre, ma di fatto le hanno subite e non hanno raccolto consensi. Perciò hanno finito col perdere; oppure, come in Danimarca, hanno salvato i voti ma hanno perso l’anima. Eppure, questo atteggiamento remissivo e perdente non era necessario.

Innanzitutto, c’è un dato di fatto: come raccontano le statistiche, non è vero che i migranti sono troppi. In realtà sono troppo pochi. Il motivo è legato a una lunga e radicata crisi demografica che riguarda tutto l’Occidente (e da noi è particolarmente severa). Si fanno troppi pochi figli; sicché, per mantenere i livelli di crescita e di benessere cui siamo abituati e per finanziare il pagamento delle pensioni a una popolazione che invecchia, abbiamo bisogno di lavoratori che non siamo in grado di trovare in casa e che perciò devono venire da fuori.

Non vale l’obiezione che c’è un’alternativa: quella di invertire le tendenze demografiche attivando politiche per accrescere la fertilità. Tali politiche vanno fatte assolutamente, magari in modo un po’ meno superficiale ed estemporaneo di quelle basate sui bonus per incentivare le nascite. Il punto, però, è che anche aumentare il numero di figli per donna non è sufficiente. Innanzitutto, perché le tendenze demografiche degli scorsi anni hanno avuto anche l’effetto di ridurre il numero delle donne in età fertile. E poi perché non basta fare figli: bisogna farli crescere e istruirli; e perciò ci vuole tempo (parecchio tempo) per farli arrivare al mercato del lavoro.

Pertanto, almeno per i prossimi vent’anni (a essere ottimisti) il buco demografico potrà essere colmato solo dagli emigrati. E quelli che arrivano sono troppo pochi. Ce lo dicono appunto i nostri calcoli, basati sulle proiezioni demografiche dell’Istat. E ce lo confermano calcoli analoghi fatti dal Servizio studi di Bankitalia. Tanto più che le cifre e le analisi presentate nel nostro libro mostrano anche che non è vero che gli immigrati tolgono il lavoro agli italiani: il mercato del lavoro in Italia è molto segmentato, sicché gli immigrati, finora, si sono concentrati soprattutto nelle attività che gli italiani non vogliono più svolgere: i lavori meno qualificati nelle imprese, la cura degli anziani fornita dalle badanti, i servizi di pulizia, i braccianti agricoli, ecc, Ed è un peccato, perché, la nostra economia avrebbe un gran bisogno di iniezioni di capitale umano di qualità.

Ma allora come si spiega l’ostilità diffusa nei confronti dei migranti, un’ostilità che, come mostrano i sondaggi e confermano i risultati elettorali (in Italia come all’estero) coinvolge la netta maggioranza della popolazione? Forse le parole chiave per cercare di capire sono due: paura e sicurezza. Il migrante, appunto, viene visualizzato come un alieno e come un soggetto minaccioso, che ruba, commette stupri, spaccia droga, alimenta la criminalità e mette a repentaglio le nostre esistenze. Il che giustificherebbe, tra l’altro, l’enfasi sui meccanismi di ingresso, sui canali irregolari attraverso i quali molti migranti raggiungono il nostro paese.

Pur comprensibile, questo atteggiamento è viziato da due errori. Il primo. Si attribuiscono ai migranti tout court i problemi provocati da una loro minoranza esigua, quelli appunto che non riescono a integrarsi e vivono di espedienti ai margini della società (che sono, in effetti, anche quelli più “visibili”). La stragrande maggioranza degli emigrati, invece, lavora, paga le tasse e manda i figli a scuola. Fa cioè di tutto per integrarsi, e in genere, nonostante i numerosi ostacoli, ci riesce.

Il secondo errore riguarda gli effetti delle politiche adottate dai governi nei confronti dei flussi migratori (qui ci riferiamo soprattutto all’Italia, ma il resto dell’Occidente non si comporta in modo molto diverso). Esse sono basate (i) su un drastico contingentamento dei permessi (di lavoro, di ricongiungimento familiare, di studio), (ii) su un atteggiamento assai restrittivo per quanto riguarda le richieste di asilo. Ne consegue che l’accesso legale di migranti è largamente inferiore alle loro richieste e al fabbisogno dell’economia e della società.

Siccome però coloro che vogliono raggiungere l’Italia, l’Europa e l’Occidente sono molti di più di quelli che possono farlo in modo legale, tutti quelli che non ci riescono provano a farlo lo stesso approfittando dei canali irregolari, e spendono cifre importanti per cercare di raggiungere la terra promessa. Come sappiamo, non tutti riescono a completare il loro lungo, snervante e precario viaggio della speranza (che troppe volte si interrompe tragicamente). Chi alla fine riesce a farcela dovrebbe essere respinto, almeno in teoria; ma le statistiche dicono che il numero dei respingimenti effettivamente realizzati è una frazione molto piccola di quelli decretati. Quasi tutti rimangono sul territorio, col risultato paradossale che non possono trovare un lavoro regolare e perciò sono costretti a non integrarsi. La maggioranza riesce ad arrangiarsi trovando un lavoro “in nero”, in attesa di una sanatoria (che prima o poi arriva). Una minoranza non ci riesce, ed è appunto quella che finisce per alimentare la criminalità.

Quanto detto suggerisce che, se la politica portata avanti dall’attuale maggioranza (di destra) ha l’obiettivo (almeno quello dichiarato) di contrastare l’immigrazione irregolare e combattere i trafficanti criminali che le forniscono i servizi di trasporto (eufemismo), allora sta facendo tutto il contrario di quel che si dovrebbe fare. E infatti gli immigranti irregolari continuano ad arrivare in massa e i trafficanti continuano ad arricchirsi sulla pelle dei dannati della terra. Un clamoroso autogol, che però alimenta consensi (e porta voti). Possiamo capire che la destra millanti come risultati quella che in realtà è solo propaganda. Ma la sinistra? Non può limitarsi a dire che accogliere i migranti è un obbligo giuridico e un dovere morale. Così forse si salva l’anima, ma non fa altro che perdere consensi (e voti). E questo, in politica, è un peccato grave.

Qualcuno potrebbe chiedere allora: ma è possibile una politica alternativa? Noi riteniamo di sì, e abbiamo cercato di illustrarne le linee generali. Vediamone innanzitutto gli obiettivi. Condividiamo con la destra quello – dichiarato a parole ma non realizzato – di ridurre drasticamente il numero dei migranti irregolari e di stroncare l’attività dei trafficanti di uomini. Tuttavia, come vedremo tra poco, la strada per realizzare (stavolta davvero) questi risultati è completamente diversa. Inoltre, dato che abbiamo detto che di migranti c’è un gran bisogno (per contrastare gli effetti di una crisi demografica che si accumulano ormai da vari anni), riteniamo indispensabile accrescere, non ridurre, il numero complessivo dei migranti, obiettivo che può essere conseguito solo realizzando, anno dopo anno, l’arrivo di un numero adeguato di migranti regolari; un flusso che, stando alle nostre cifre, dovrebbe più che compensare la diminuzione di quelli irregolari. C’è ancora un terzo obiettivo: accrescere il livello medio del capitale umano degli stranieri che entreranno nei prossimi anni a far parte delle nostre forze di lavoro.

Come si può fare? L’idea di base è questa. Come argomentiamo nel libro, attualmente i flussi migratori vengono intermediati da un mercato; un mercato altamente irregolare (per non dire criminale) assai opaco e con rapporti di forza del tutto sbilanciati a vantaggio dei venditori (i trafficanti); e tuttavia un mercato in cui si incontrano una domanda pagante (proveniente, appunto, dai migranti) e un’offerta (sia pure di pessima qualità); e per finire un mercato che genera profitti. Se le cose stanno in questi termini, allora la via più efficace per contrastare questi “mercanti di morte” è quella di far loro concorrenza, fino al punto – la cosa è possibile – di estrometterli sostanzialmente dal mercato.

Concettualmente il modo è semplice: si tratta di offrire a tutti coloro che vogliono abbandonare le persecuzioni e la fame che funestano le loro terre di origine un servizio di trasporto alternativo verso le nostre sponde: un servizio legale (almeno inizialmente promosso dal settore pubblico); un servizio competitivo, perché più rapido e più sicuro; un servizio “trasparente” perché fatto alla luce del sole; un servizio di cui è possibile programmare i tempi e modulare le dimensioni (quando occorre con un sistema di liste d’attesa, che comunque sarebbero nettamente più brevi delle durate degli attuali viaggi della speranza). Un servizio – questo sì – che avrebbe l’effetto di mettere fuori mercato l’attuale offerta dei trafficanti.

Chi dovrebbe pagare per tutto questo? In ogni mercato sono sempre gli acquirenti del servizio che pagano. Pagano tanto meno quanto più il mercato è efficiente e competitivo, e tanto più quanto più i rapporti di forza sono dalla parte dei venditori. Quindi, nella nostra proposta sarebbero i migranti a pagarsi il viaggio. Ma, a ben vedere, questo è ciò che avviene attualmente. Semplicemente, i migranti pagherebbero meno e per un servizio nettamente migliore. L’effetto della trasformazione del mercato degli accessi dei migranti sarebbe alla fine quello di un trasferimento di risorse dai trafficanti all’offerta legale (per pagare il servizio) e agli stessi migranti, perché il servizio sarebbe di migliore qualità e più economico.

Per accrescerne ulteriormente la qualità, suggeriamo di abbinare al servizio di trasporto, una volta che il migrante sia arrivato a destinazione, un servizio di alfabetizzazione (insegnamento della lingua) e di avviamento professionale. L’obiettivo è appunto quello di facilitare il suo ingresso nel mercato del lavoro oltre che di accrescere il suo capitale umano.

Un libro dei sogni? Un “vasto programma” (per citare il sarcastico detto del generale De Gaulle)? Pensiamo di no, anche se non è certo un programma facile. A nostro avviso le difficoltà tecniche sono superabili. I problemi vengono (i) dall’ostilità di chi attualmente lucra sullo status quo, (ii) dalla necessità di rovesciare l’atteggiamento anti-migranti dell’opinione pubblica e soprattutto (iii) dalla volontà politica. Certo è che, se si procedesse lungo questa strada, si trasformerebbe la questione migranti da problema in occasione: invece di spendere risorse per cercare di frenare (senza successo) l’afflusso dei migranti, col sottoprodotto di frenare (stavolta con un involontario successo) la dinamica dell’economia, si metterebbe in moto un processo virtuoso, per loro ma anche per noi.

Prima di chiudere un’ultima osservazione. La politica dell’attuale governo – scoraggiare (senza successo) gli arrivi dei migranti irregolari – ha anche il difetto di costare parecchio e di gravare su un bilancio pubblico già di per sé largamente deteriorato. La politica che proponiamo ha invece l’effetto di tagliare drasticamente quei costi perché è basata su processi che si autofinanziano. Se poi teniamo conto dell’impulso sul Pil proveniente da un flusso ordinato e regolare di lavoratori immigrati, forse anche il ministro dell’economia ne sarebbe contento.

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