ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 180/2022

16 Ottobre 2022

Le misure per contrastare la crisi del gas

Alfredo Macchiati e Rebecca Vitelli esaminano le misure per contrastare la crisi del gas di cui si discute in sede europea e analizzano, in particolare, quelle relative alla modifica dei meccanismi di mercato e alla redistribuzione degli “extra margini” delle imprese che operano in alcuni comparti della filiera dell’energia. Macchiati e Vitelli sostengono che, nel complesso, non sembra essere ancora emerso un progetto coerente di ridisegno del mercato che tenga conto del carattere non transitorio della scarsità di gas in Europa.

Nel quadro, strutturalmente instabile, che abbiamo descritto nel nostro articolo sullo scorso numero del Menabò (ovvero un mercato con una struttura dell’offerta molto concentrata, il potenziale uso politico del gas e l’organizzazione attuale degli scambi), è intervenuta la crisi ucraina che ha prodotto una riduzione dell’offerta (peraltro già iniziata nel 2021) e il conseguente aumento dei prezzi. In particolare, i volumi di gas provenienti dalla Russia, dall’Ucraina e dalla Bielorussa (si veda la nota alla Figura 1 per la ratio di questa ricostruzione statistica) si sono ridotti nei primi sei mesi del 2022 di oltre 27 miliardi di metri cubi (circa 1/3). È utile richiamare l’attenzione sul fatto che i volumi di gas (rappresentati nella Figura 1 dai piccoli rombi) provenienti da quei paesi alla metà dello scorso decennio erano solo marginalmente più elevati di quelli del 2022. In altri termini, negli ultimi anni abbiamo aumentato la dipendenza nonostante i segni delle tensioni geopolitiche fossero già chiari nel 2014. 

Figura 1: Importazioni dell’UE da Russia, Ucraina e Bielorussia

Note: Periodo gennaio-giugno. Sono inclusi anche i volumi riportati da Eurostat (che è la fonte ufficiale che fornisce i dati infrannuali più aggiornati) per Bielorussia e Ucraina, in quanto i soli volumi classificati da Eurostat come Russia appaiono inferiori rispetto ad altre stime (ad es. quelle fornite dalla Commissione europea). È verosimile pertanto che il gas importato da Bielorussia e Ucraina sia, almeno per una quota rilevante, gas di provenienza russa. 
Fonte: Elaborazione Oxera su dati Eurostat.

Gli interventi discussi in sede di Consiglio, che finora non sempre si sono tradotti in una proposta della Commissione, si sono indirizzati in due diverse aree: la modifica dei meccanismi di mercato e la redistribuzione degli eventuali “extra margini” delle imprese che operano in alcuni comparti della filiera dell’energia. Vi è poi una terza area, che non esamineremo, ovvero le misure immediate da adottare a tutela di consumatori e imprese (si veda ad es. il toolbox della Commissione) lasciate ai governi nazionali ma nel rispetto di alcune linee guida comuni. 

Alla prima area di intervento appartiene la possibilità di acquisti congiunti di gas da parte dei paesi dell’UE. Questa misura è stata inizialmente proposta nella comunicazione e nel piano REPowerEU come un meccanismo a cui gli Stati membri possono partecipare su base volontaria per l’approvvigionamento congiunto di gas. La proposta si è concretizzata nella cd. EU Energy Platform, istituita il 7 aprile 2022. Il principale obiettivo è quello di favorire la cooperazione in specifiche aree, quali l’aggregazione della domanda e l’uso efficiente della rete del gas europea, dove un’azione congiunta potrebbe risultare più efficace. Mentre la governance e le principali aree di intervento della nuova piattaforma sono state chiarite (con un ruolo di steering della Commissione e il funzionamento tramite task force regionali), al momento non sembrano disponibili informazioni sugli effettivi progressi compiuti ai fini degli approvvigionamenti comuni di gas. Inizialmente, l’avvio degli acquisti congiunti era previsto “prima dell’inverno” (fonte Reuters). Più di recente, la Germania ha confermato il suo interesse a questa iniziativa (fonte Euractiv), ma non sono stati comunicati gli effettivi sviluppi. Se il modello era quello dell’acquisto dei vaccini durante la pandemia (come pure si era ventilato prima dell’estate) siamo ancora lontani dall’averlo replicato. 

La Commissione è poi intervenuta sul controllo della domanda, sia di gas naturale sia di energia elettrica. Per la domanda di gas, è prevista una riduzione volontaria (che in caso di attivazione dello “stato di allarme dell’Unione” può diventare obbligatoria) del 15% per il prossimo inverno. Tale decisione ha richiesto alcuni aggiustamenti per raggiungere l’accordo: la proposta approvata dal Consiglio prevede infatti alcune esenzioni e deroghe per i paesi con reti poco interconnesse (e/o che possono dimostrare che i loro gasdotti e rigassificatori sono già utilizzati per reindirizzare i flussi di gas secondo il loro massimo potenziale), per quelli che hanno superato i propri target di stoccaggio o che hanno industrie strategiche molto dipendenti dal gas, o ancora per quelli che nell’ultimo anno hanno registrato una crescita della domanda di almeno l’8% rispetto alla media degli ultimi cinque anni. 

Un terzo strumento in questa area di interventi è rappresentato dal famigerato price cap, sul quale il Consiglio, al momento in cui scriviamo, non è ancora riuscito a trovare un accordo. Sulla base delle proposte illustrate in due recenti non-paper (e qui), la Commissione sarebbe stata favorevole a un cap sul solo gas russo (diverso dal meccanismo ad es. proposto dall’Italia in sede europea) e/o all’applicazione di prezzi amministrati nelle regioni maggiormente colpite da interruzioni delle forniture. La prima e principale misura, come anche riconosciuto dalla Commissione, si configura sostanzialmente come una sanzione alla Russia, di discutibile efficacia visto che il flusso di gas da quel paese si è quasi interrotto. 

La questione è stata ulteriormente approfondita nel corso del Consiglio straordinario del 30 settembre, senza tuttavia che i ministri dei diversi paesi membri riuscissero a trovare un accordo. In vista dell’incontro, 15 paesi, tra cui Italia, Spagna, Francia e Polonia, avevano chiesto un cap su “tutte le transazioni di gas naturale all’ingrosso” (fonte Staffetta Quotidiana). Da notizie di stampa, tra i paesi meno convinti da questa misura ci sarebbero Olanda e Germania (come anche confermato da un loro recente non-paper, in cui c’è invece una qualche apertura a un cap sul solo gas russo, ma con l’opportuna cautela), in quanto preoccupati rispettivamente che il cap potrebbe non aiutare nella riduzione della domanda di gas o che potrebbe scoraggiare l’approvvigionamento di volumi addizionali di GNL (fonte Euractiv). Quest’ultima obiezione potrebbe essere superata assicurando l’approvvigionamento di volumi addizionali di gas (tipicamente di GNL) attraverso un meccanismo di contract-for-difference per compensare gli importatori della differenza tra il prezzo “di mercato” a cui potrebbero acquistare il gas e il cap a cui possono rivenderlo come è stato previsto nella proposta italiana (fonte Staffetta Quotidiana). Naturalmente questa misura richiede un elevato livello di coordinamento e cooperazione tra i diversi Stati membri per individuare il modo in cui il gas verrà ripartito tra i paesi. Infine, di recente in un non-paper di Italia, Grecia, Polonia e Belgio è stata presentata la possibilità di un price cap con un “corridoio dinamico di prezzi”, declinato a seconda che ci siano sufficienti volumi per coprire la domanda, possibile scarsità fisica o effettiva scarsità fisica.

Anche il cosiddetto disaccoppiamento del mercato dell’energia da quello del gas andrebbe a incidere sul funzionamento del mercato (con effetti sulla redditività dei produttori di rinnovabili e non solo). Come noto, i mercati all’ingrosso dell’energia funzionano sulla base del cd. system marginal price, ovvero tutte le offerte di vendita accettate sono remunerate al prezzo indicato dall’offerta più alta tra quelle necessarie per coprire la domanda. Dal momento che il gas rappresenta tipicamente la tecnologia marginale, in molti dei paesi europei i prezzi dell’elettricità sono aumentati sensibilmente; ne hanno beneficiato in termini di maggiori ricavi i produttori “inframarginali”, sostanzialmente i produttori di rinnovabili. L’idea alla base è di separare la produzione con fonti fossili, che continuerebbe a essere remunerata con l’attuale metodo del system marginal price, dalle altre fonti che potrebbero essere remunerate tramite dei contract-for-difference (CfD), sganciandole dai prezzi del gas. Anche se la Commissione sembra aver abbandonato questa strada ed essere più orientata a introdurre un limite ai ricavi dei produttori di rinnovabilil’ipotesi del disaccoppiamento è ampiamente discussa (oltre a quella avanzata dalla Grecia, ve n’è una attualmente in consultazione nel Regno Unito, e anche in Italia era stata proposta in sede parlamentare – risoluzione Benamati del febbraio 2022). 

Infine, in un documento ancora preparatorio della Commissione si esamina l’ipotesi dell’introduzione per il TTF di Amsterdam, il principale hub del gas, della vigilanza prevista per le borse. In particolare, la Commissione si domanda se il TTF abbia standard di trasparenza adeguati, se debba essere sottoposto alla vigilanza e come dovrebbero essere applicati i circuit breakers (CB), i meccanismi di salvaguardia previsti dalla direttiva MIFID II che consentono di interrompere gli scambi in caso di variazioni di prezzo significative. In particolare, la Commissione ha chiesto all’ESMA (European Securities and Markets Authority) di indagare perché questi CB – sulla cui efficacia la discussione accademica non è peraltro giunta a conclusioni univoche – non siano stati attivati nell’attuale crisi energetica e di verificare se sia necessaria una maggiore armonizzazione a livello europeo. Infatti, come poi confermato dall’ESMA, il numero di volte in cui questi CB sono stati attivati dalle borse di energia europee in risposta alla volatilità dei prezzi del gas e dell’elettricità sembra molto basso. L’ESMA si è anche detta favorevole all’introduzione di nuovi meccanismi di CB temporanei, per i soli mercati dei derivati dell’energia, ma da calibrare in modo appropriato.

Alla seconda area d’intervento – la redistribuzione degli extra margini – appartiene lo strumento del cap ai ricavi delle imprese produttrici. Il 30 settembre, il Consiglio Europeo ha approvato l’introduzione di un limite ai ricavi (revenue cap) per i produttori inframarginali di energia elettrica, fissando un limite a 180 €/MWh. Si tratta di un meccanismo che non incide sulla formazione dei prezzi nel mercato all’ingrosso, ma prevede la “restituzione” degli eventuali ricavi oltre il cap. Di fatto, i produttori inframarginali saranno chiamati a restituire la differenza tra il prezzo di mercato e il cap per ciascuna ora del giorno in cui i prezzi dovessero essere superiori al livello prestabilito. In Italia, una misura simile è già stata introdotta dal primo febbraio 2022, per gli impianti di potenza superiore a 20 kW che alternativamente beneficiano di premi fissi dagli incentivi del Conto Energia o che non accedono a meccanismi incentivanti ma sono entrati in esercizio prima del 2010 (D.L. 4/2022, art. 15-bis). Per questi impianti è prevista l’applicazione di un CfD, con un tetto fissato (a seconda delle zone di mercato) in un range tra 56 €/MWh e 75 €/MWh, valori quindi molto inferiori a quelli proposti a livello europeo.

Inoltre, il 30 settembre il Consiglio ha approvato l’introduzione di un prelievo di solidarietà temporaneo per il settore dei combustibili fossili (ovvero per le imprese attive nei settori del petrolio, gas naturale, carbone e della raffinazione). Si tratta di un prelievo di almeno il 33%, applicato sugli utili imponibili che eccedono il 20% degli utili imponibili medi nei quattro esercizi fiscali dal 2018 in poi. Anche in Italia era stata introdotta una simile misura già da marzo (D.L. 21/2022, art. 37, e successivamente modificata), con la previsione di un contributo straordinario per produttori, importatori e rivenditori di energia elettrica, gas e prodotti petroliferi. L’aliquota del contributo inizialmente fissata al 10% è stata successivamente alzata al 25% (D.L. 50/2022, art. 55). Un tema di attenzione sarà assicurare il coordinamento di simili misure a livello europeo, saranno infatti gli Stati membri ad attuare il contributo di solidarietà. È prevista inoltre la possibilità di mantenere misure esistenti “equivalenti”, purché abbiano obiettivi simili e generino proventi comparabili o superiori.

Dalla panoplia di strumenti qui ricordati non sembra ancora emergere un disegno organico di come funzionerà il mercato. Come è poco chiaro quanto sia diffusa la consapevolezza che la “crisi di scarsità” non è di breve periodo ma destinata a durare almeno qualche anno e quanto gli strumenti proposti siano funzionali a controllare non solo una fase congiunturale. Non giova certamente la consueta complessità del meccanismo decisionale dell’Unione: trovare una soluzione gradita a tutti i paesi sembra una mission impossible almeno nei tempi imposti dalla crisi. D’altra parte, ci troviamo di fronte a un problema di azione collettiva: la riduzione o peggio l’azzeramento delle importazioni di gas dalla Russia ha effetti sui prezzi e sull’offerta che sono differenziati per i diversi paesi; analogamente il contenimento della domanda ha effetti diversi per i paesi a più elevato consumo. 

Una decisione unitaria è nell’interesse di tutti perché eviterebbe comportamenti opportunistici, ma nessuno è disposto ad avallare decisioni senza la garanzia che anche gli altri contribuiscano nella “stessa misura”. Stabilire una ripartizione equa degli effetti delle decisioni che verranno assunte è tuttavia compito non semplice, come si è visto nella decisione sulla riduzione della domanda di gas, pure non cogente, ma volontaria (almeno in una prima fase). Come in un classico caso di dilemma del prigioniero, c’è sempre qualche paese a cui potrebbe convenire più la defezione che l’impegno comune. 

Schede e storico autori