Le Politiche per le imprese e il lavoro: il ruolo degli incentivi*

Irene Brunetti e Andrea Ricci analizzano la diffusione e l’efficacia relativa delle politiche pubbliche per l’occupazione e gli investimenti. Sulla base di un campione rappresentativo di aziende italiane, gli autori mostrano che una quota maggioritaria delle imprese che hanno utilizzato gli incentivi fiscali per assumere lavoratori o acquisire nuovi beni strumentali avrebbero comunque operato queste scelte anche in assenza degli incentivi, mettendo così in dubbio una strategia di politica economica basata esclusivamente su schemi di incentivazione “al margine”.

Il dibattito attuale sulla legge di bilancio e, più in generale, sui progetti di crescita ed inclusione sociale che potranno essere finanziati con le risorse rese disponibili dal Recovery Fund rende opportuna un’analisi empirica sulla reale efficacia degli incentivi (fiscali) come strumento di politica economica nel nostro paese. In questa prospettiva, il passato recente ci può fornire utili indicazioni per il futuro prossimo.

Di seguito ci interessiamo agli incentivi all’occupazione e all’investimento, chiarendo che l’efficacia delle politiche pubbliche a favore delle imprese può assumere connotazioni diverse a seconda della tipologia di incentivo.

A partire dalla prima metà del decennio passato in Italia si è sperimentata una serie di politiche attive per l’occupazione di alcuni gruppi della popolazione più duramente colpiti dalla grande crisi economico-finanziaria del 2008 – segnatamente le fasce più giovani o comunque quelle più a rischio di esclusione sociale. Tra queste misure possiamo ricordare il programma Garanzia Giovani, l’esonero contributivo per il contratto di apprendistato, il bonus occupazione Sud e altre ancora. Senza perdersi in un lungo elenco, quello che è interessante notare qui è che quasi tutte questi interventi (al netto di alcuni dettagli normativi) sono basati su schemi di incentivazione fiscale diretti alle imprese per favorire nuove assunzioni.

Negli stessi anni vi è stata poi una politica industriale che poneva una forte attenzione al tema della crescita degli investimenti, dell’innovazione e della produttività ovvero all’obiettivo di favorire la transizione del sistema delle imprese verso il paradigma della “quarta rivoluzione industriale”. Nel periodo 2015-2017, l’avvio del cosiddetto piano “Industria 4.0” si è così accompagnato a importanti misure di incentivazione fiscale per stimolare gli investimenti e l’acquisto di nuovi beni strumentali: Iper-ammortamento, Super-ammortamento, “Nuova Sabatini”, credito di imposta per spese in R&D, ecc.

In questo contesto è importante capire se e in quale misura l’attuazione di politiche industriali e per il lavoro basate essenzialmente su meccanismi di incentivazione fiscale si sia rivelata una strategia “efficace” rispetto agli obiettivi che le stesse politiche si erano preposte: stimolare – almeno nel breve periodo – la crescita dell’occupazione, degli investimenti e dell’innovazione. In secondo luogo, è importante comprendere se questa impostazione di politica economica sia stata in grado di allentare i nodi strutturali che condizionano la dinamica della produttività e dei salari, di cui ha discusso recentemente Raitano sul Menabò.

Abbiamo condotto di recente alcune ricerche che ci permettono di rispondere almeno in parte a queste domande che, per riprendere il discorso iniziale, appaiono di grande attualità nel dibattito scientifico e istituzionale di queste settimane (cfr. Brunetti, Martino e Ricci, “Evaluating Hiring Incentives: evidence from Italian firms, Working paper INAPP n. 52, 2020; Brunetti e Ricci, “After Covid-19 policies for inclusive labor market: Evaluating the Youth Guarantee Programme”, 2020).

I dati su cui sono state sviluppate le analisi sono quelli della Rilevazione su Imprese e Lavoro (RIL), condotta nel 2018 dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP) su un campione rappresentativo di circa 30.000 imprese italiane operanti nel settore privato extra-agricolo.

Si considerino innanzitutto le politiche per l’occupazione. Nel 2017 circa il 39% delle imprese aveva assunto almeno un lavoratore con contratto alle dipendenze, mentre solo l’8% aveva utilizzato qualche forma di incentivo fiscale per le assunzioni. Limitando l’attenzione al gruppo di aziende che assumono grazie alla disponibilità di un incentivo, si osserva che la maggior parte di esse fa ricorso al contratto di apprendistato per giovani (31%), al programma Garanzia Giovani (23%) e al Bonus occupazione Sud (19%). Percentuali minori si registrano per il bonus per assunzione di individui ultracinquantenni (12,6%) e di donne (6,8%) fino a registrare un incidenza marginale per il contratto di apprendistato di primo livello (sistema duale) per alternanza scuola-lavoro (1,9%).

Lasciando da parte i dati assoluti e quelli relativi sulla diffusione dei vari incentivi per l’occupazione, l’elemento forse più rilevante riguarda proprio la loro “efficacia”.

Sotto questo aspetto emerge un dato apparentemente positivo: circa il 41% delle imprese dichiara che la disponibilità di uno stimolo fiscale ha modificato la decisione di assumere, che non si sarebbe infatti presa in assenza dell’incentivo. In realtà questo stesso dato potrebbe essere letto “al contrario”, rivelando che circa il 59% delle aziende italiane percettrici di un vantaggio fiscale avrebbe comunque assunto anche in assenza degli incentivi.

Per ciò che concerne gli incentivi agli investimenti, abbiamo replicato lo stesso esercizio, arrivando a conclusioni analoghe. Nel 2017, circa il 30% delle imprese con almeno 1 dipendente aveva effettuato qualche forma di investimento mentre circa il 10,4% aveva usufruito di qualche schema di incentivazione fiscale per acquisire nuovi beni materiali ed immateriali. All’interno del sottogruppo di imprese che dichiara di aver realizzato investimenti grazie alle decontribuzioni e agli incentivi fiscali, si osserva come la misura di maggiore successo sia stata di gran lunga il Super-ammortamento (64%), seguita dalla “Nuova Sabatini” (17%) e dal credito di imposta per spese incrementali in R&S (18%). Gli interventi specifici per agevolare la transizione verso il paradigma competitivo della quarta rivoluzione industriale – iper-ammortamento, Patent Box, Start-up – hanno avuto invece una minore diffusione.

 In modo quasi speculare a quanto visto per le politiche attive, anche nel caso degli schemi di incentivazione fiscale per investimenti l’efficacia si attesta introno al 38%: ancora una volta quindi oltre il 60% delle imprese avrebbe operato comunque nella direzione di ampliare la propria capacità produttiva e innovativa indipendentemente dalla possibilità di usufruire di agevolazioni fiscali.

A questo proposito si può dire qualcosa anche sulla capacità degli incentivi di costituire uno strumento di reale cambiamento strutturale della nostra economia.

Nella Tabella 1 sono riportate le incidenze medie percentuali delle imprese che hanno cambiato le proprie decisioni (di assunzione e investimento) a causa dei vari schemi di decontribuzione fiscale, distinte per dimensione aziendale, localizzazione geografica e settore di attività. Si nota che l’efficacia degli incentivi sia per le assunzioni che per gli investimenti è minore proprio per le realtà imprenditoriali mediamente più competitive, quelle che impiegano oltre 250 dipendenti e operano nelle regioni del Centro-Nord. Il discorso diventa meno chiaro quando si esaminano i settori di attività: l’efficacia relativa degli incentivi per le nuove assunzioni e di quelli diretti a favorire gli investimenti riflette infatti una dinamica piuttosto diversa a livello settoriale, anche in esito al disegno originario di Industria 4.0. Le imprese manifatturiere, ad esempio, manifestano la migliore performance se si guarda all’effetto netto delle politiche per gli investimenti (53,1%) e una delle peggiori nel caso in cui si esamina gli incentivi all’occupazione (34,1%).

Tabella 1: incidenza media % imprese che hanno assunto grazie agli incentivi (fra quelle che ne hanno fatto uso)
Efficacia incentivi assunzioniEfficacia incentivi investimenti
numero di dipendenti
0 – 941.632.9
10 – 4942.048.8
50 – 24931.442.1
>=25030.132.3
macroregione
Nord Ovest22.438.5
Nord Est23.536.3
Centro40.438.0
Sud e Isole63.449.1
settore
Industria estrattiva, public utilities9.937.6
Alimentari, legno, tabacco, altro44.943.9
Manifattura, chimica, meccanica, altro34.153.1
Costruzioni43.340.1
Commercio, ristorazione, trasporto49.937.4
Servizi alle imprese31.122.6
Servizi sociali privati, istruzione, altro34.628.3
Totale40.839.3
Fonte: elaborazioni degli autori su dati RIL-INAPP 2018. Note: pesi campionari applicati. Imprese con almeno 1 dipendente

In conclusione le evidenze empiriche sembrano coerenti nel suggerire che una strategia di politica economica basata esclusivamente su schemi di incentivazione “al margine” – che non alterano in modo significativo i nodi strutturali dell’economia – rischia di esercitare un effetto contenuto e di breve periodo sulle potenzialità di crescita produttiva e occupazionale. Non solo. Se decliniamo queste considerazioni in un’ottica di analisi costi-benefici per la finanza pubblica, e dunque in una prospettiva più ampia, appare ancora più urgente la necessità di veicolare le risorse pubbliche verso interventi di natura selettiva e in una logica strategica di medio-lungo periodo, che consenta di superare almeno in parte i limiti di efficacia che gli stimoli fiscali di natura microeconomica incontrano necessariamente in un tessuto produttivo complesso e frammentato come quello italiano.

 

*Le opinioni espresse in questo articolo sono personali e non riflettono necessariamente quelle dell’Istituto di appartenenza. L’INAPP non è responsabile dell’uso che può essere fatto delle informazioni in esso contenute.

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