ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 190/2023

3 Aprile 2023

Le preferenze per il lavoro agile: differenze di genere e ruolo della sua qualità

Francesca Bergamante si occupa del lavoro agile e sottolinea che il lavoro agile è entrato in scena in modo dirompente ma con diverse articolazioni. Nel pubblico ha più che altro costituito un momento di sperimentazione, nel privato ha rappresentato un’occasione da sfruttare che si è tradotta nel miglioramento della sua qualità. Il lavoro agile ha però riproposto alcuni dualismi soprattutto relativamente alle differenze di genere e ai carichi di cura. E le preferenze rispetto alla eventuale continuazione del lavoro con questa modalità sembrano confermarlo.

Negli ultimi anni, a seguito della pandemia, il lavoro da remoto si è diffuso in modo estensivo. Lo dimostrano i dati provenienti dall’Indagine Inapp-Plus 2021 condotta su un campione rappresentativo di 45.000 individui dai 18 ai 74 anni: nel 2021 il lavoro da remoto ha interessato oltre 7,2 milioni di occupati, pari al 32,5% del totale. Considerando i soli lavoratori dipendenti la numerosità si attesta sui 5,4 milioni e tra questi, il 26,6% era in telelavoro e il restante 73,4% ha svolto l’attività in modalità agile semplificata, vale a dire in deroga alla disciplina ordinaria regolata da L. 81/2017. In questa sede ci concentriamo sui dipendenti che hanno lavorato in modalità agile, confrontando Pubblica Amministrazione e settore privato. Guardando alle caratteristiche dei dipendenti “agili”, una prima differenza riguarda il maggiore coinvolgimento delle donne e dei lavoratori nella fascia dai 50 anni in su, dati questi ovviamente influenzati dalla generale concentrazione di donne nella PA e dalla maggiore anzianità che la caratterizza. Un ulteriore elemento di distinzione è relativo al fatto che nel pubblico i lavoratori agili hanno più spesso una laurea, mentre nel privato è superiore la quota dei diplomati.

Con riferimento alla professione, si osservano percentuali più elevate in corrispondenza delle Professioni esecutive nel lavoro d’ufficio, seguite da quelle intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione e dalla Professioni tecniche (fig.1). Tuttavia, ampie sono le differenze tra PA e aziende private: nella prima le quote sono decisamente superiori per le Professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione (44%), mentre nelle seconde la quota più elevata si riscontra nelle Professioni esecutive nel lavoro d’ufficio (43%). La polarizzazione del lavoro agile in alcuni ambiti professionali è ovviamente anche legata al concetto di “telelavorabilità” delle professioni che, pur essendo un costrutto teorico, ha dimostrato la sua applicabilità (cfr. cap. 2 del Rapporto Plus 2022). 

Figura 1: Dipendenti che hanno lavorato in modalità agile per professione (%)

Fonte: elaborazioni su dati Indagine Inapp-Plus 2021

Nel confronto pubblico-privato è rilevante la divergenza nella quota di attività svolta in modalità agile, molto superiore per i lavoratori delle aziende private (fig. 2). Sembra quasi delinearsi uno “scontro” anche culturale tra due realtà. Da una parte la PA a cui la pandemia ha imposto una modalità di lavoro senza che disponesse dei necessari strumenti e praticamente in assenza di sperimentazioni. Dall’altra il privato che ne ha tratto vantaggi, potendo anche far tesoro delle esperienze di lavoro da remoto già presenti (seppur non troppo diffuse). Il pubblico, appena terminata l’emergenza sembra aver cercato di contenerne la diffusione, mentre il privato l’ha espanso avendo compreso gran parte delle sue potenzialità.

Figura 2: Dipendenti che hanno lavorato in modalità agile semplificata per quota di attività svolta

e tipologia di datore di lavoro (%)

Fonte: elaborazioni su dati Indagine Inapp-Plus 2021

Per approfondire queste differenze e cogliere il fattore “cultura e capacità organizzativa” dei due ambiti produttivi, ma anche descrivere le effettive condizioni in cui si è concretizzato il lavoro agile, è stato costruito un indicatore della sua qualità, che assegna un punteggio a ciascuna di queste variabili: accesso ai servizi interni via telematica, attivazione di piattaforme per riunioni, attivazione protocolli di sicurezza, autonomia nella scelta dei giorni di rientro, offerta di cicli di formazione da remoto, disponibilità di attrezzature ergonomiche per il lavoro da remoto, fornitura di dispositivi informatici; erogazione di un contributo per le spese di connessione; presenza di accordi e regolamenti sul lavoro da remoto, libertà di scegliere quando disconnettersi, assenza di richieste di lavoro al di fuori orario, assenza di una misurazione delle ore di lavoro svolte da remoto, organizzazione di gruppi e team di lavoro da remoto, presenza di obiettivi individuali nel lavoro da remoto. Per la costruzione dell’indicatore i valori sono stati divisi in tre classi: bassa, media e alta.

L’incidenza di ciascuno di questi elementi qualificanti l’attività lavorativa in modo agile è sempre superiore nel privato e, in alcuni casi, il gap, in punti percentuali, è anche molto ampio; questo vale per la disponibilità di servizi interni per via telematica o di attrezzature ergonomiche per il lavoro da remoto, ma anche per la fornitura di dispositivi informatici e per l’erogazione di un contributo per la copertura delle spese di connessione. L’unico ambito rispetto al quale è andata meglio la pubblica amministrazione è la totale assenza di richieste di andare oltre l’orario di lavoro.

Guardando all’indicatore, in linea generale il lavoro agile non è stato di grande qualità (per il 41% del totale dei dipendenti la qualità è risultata bassa), ma le peggiori condizioni organizzative si osservano nel pubblico e, soprattutto per la componente femminile (fig. 3). Dunque, a lavorare in un contesto con migliori soluzioni e sostegno anche logistico, sono stati i dipendenti maschi di aziende private.

Figura 3: Indicatore di qualità del lavoro agile per genere e tipologia di datore di lavoro (%)

Fonte: elaborazioni su dati Indagine Inapp-Plus 2021

Nonostante, la qualità non sia stata particolarmente elevata, il desiderio di continuare a lavorare in modo agile è nettamente diffuso (fig.4), ma meno tra le donne, forse proprio perché svolto con minor agio. È però evidente come al crescere della qualità, aumenti anche l’incidenza della volontà di continuare, sfatando quindi quello che nell’immaginario collettivo (e in molte aziende) è considerato un escamotage per sottrarsi agli impegni lavorativi quotidiani anche perché tendenzialmente sfuggente alle forme classiche di controllo della prestazione. Siamo ancora molto lontani da una cultura aziendale che accetta l’idea di un lavoro fuori dalle “sedi” e sono ancora molto pochi i contesti che ne hanno colto il valore, non solo in termini di risparmio economico e maggiore produttività (o addirittura energetico), ma anche rispetto all’introiezione del work-life balance come elemento fondante del rapporto uomo/donna-impresa (pubblico o privato che sia). La questione del controllo “fisico” dei dipendenti sembra continuare ad essere, soprattutto nella PA, il principale freno al ripensamento di forme e modelli organizzativi più worker-friendly.

Fig. 4: Incidenza della volontà di continuare a lavorare da remoto per livelli di qualità del lavoro svolto da remoto (%) 

Fonte: elaborazioni su dati Indagine Inapp-Plus 2021

Volendo chiudere un po’ il cerchio, il desiderio di lavoro agile varia fortemente in relazione anche alla tipologia di datore di lavoro (fig. 5) che, come visto, non appare affatto neutro in termini di qualità del lavoro agile svolto, ma anche rispetto alle scelte di coinvolgimento relative alla professione o la quota di attività da svolgere non in sede. Nella pubblica amministrazione è più frequente che si preferisca lavorare alla “vecchia maniera” e il disinteresse verso il lavoro a distanza è soprattutto evidente se si osserva la quota riferita alle donne (28,8% contro 16,7% degli uomini). Ma le differenze emergono in particolar modo confrontando l’articolazione dei giorni di lavoro agile nella settimana. Tra gli uomini del pubblico e del privato non si osservano grandi differenze, ma è invece per le donne (ancora una volta) che l’organizzazione di appartenenza conta: la percentuale più alta di preferenze per stare tutti i giorni in lavoro agile si delinea per le dipendenti di aziende private: 25,3%, contro l’11,1% relativo alle dipendenti della PA. 

Figura 5: Volontà di continuare a lavorare da remoto per genere e tipologia di datore di lavoro (%)

Fonte: elaborazioni su dati Indagine Inapp-Plus 2021

Per approfondire il tema delle differenze di genere e riflettere anche sulle criticità che sono emerse nella gestione della fase emergenziale, specialmente nel periodo della diffusione della Didattica a distanza, sembra utile confrontare la qualità del lavoro agile con l’età dei figli (fig. 7). Tra gli uomini non si delineano variazioni particolarmente significative col crescere dell’età dei figli e, le quote riferite ad un livello di qualità media sono sempre le più consistenti. Nel caso delle donne, invece predomina la bassa qualità, che non sembra aiutare specialmente le lavoratrici con figli fino a 13 anni; d’altro canto, questa scarsa qualità potrebbe essere solo uno dei sintomi di situazioni lavorative più deboli che, come noto, caratterizzano le donne, specie se più giovani. Da segnalare, seppur di non facile interpretazione, che un livello alto di qualità del lavoro agile si osserva in corrispondenza di donne dipendenti con figli minori di 3 anni; al riguardo vale la pena ricordare che sono stati rari i contesti di grande qualità: hanno interessato solo circa il 17% delle donne (cfr. fig. 3).

Figura 6: Qualità del lavoro agile per genere ed età del figlio più piccolo (%) 

Durante la pandemia si è molto ragionato su se e quanto il lavoro da remoto costituisse una modalità in grado di sostenere i carichi di cura o se al contrario rappresentasse una sorta di morsa e di condizione ingovernabile. Guardando ai giudizi sul lavoro da remoto, le donne hanno dichiarato più dei colleghi maschi che il lavoro a distanza aumenta l’isolamento, che incrementa lo stress lavorativo e che rende difficile gestire i confini tra vita privata e lavoro (Bergamante e Della Ratta). Ciò che non è chiaro è quanto questi aspetti incidano sulla volontà di continuare a lavorare a distanza o quanto anche i giudizi dipendano non solo da una scarsa qualità organizzativa, ma anche da asimmetrie nella cura all’interno della coppia (cfr. cap. 52 del Rapporto Plus 2022).

La figura 7 sembra in parte sciogliere questi nodi, mostrando come il desiderio di lavorare da remoto (anche tutti i giorni della settimana) sia per le donne molto superiore in corrispondenza di figli piccoli e tenda a diminuire al crescere dell’età dei figli (per gli uomini le differenze sono meno marcate e l’età dei figli sembra non costituire un fattore discriminate). Certo non sappiamo se questa ampia volontà sia in parte indotta dalla mancanza di servizi per l’infanzia che come noto delinea il welfare fai da te italiano, così come non sappiamo se l’invarianza delle quote tra gli uomini sia lo specchio di quella asimmetria ancora dominante che non coinvolge gli uomini nei compiti di cura, ma sembra abbastanza chiaro che lavorare a distanza possa essere un’opzione di grande interesse su cui però è fondamentale investire in termini organizzativi e di equità.

Figura 7: Volontà di continuare a lavorare da remoto per genere ed età del figlio più piccolo (%) 

Fonte: elaborazioni su dati Indagine Inapp-Plus 2021

Dunque, la questione del lavoro svolto fuori dai classici e “vecchi” luoghi dedicati va vista da diversi e molteplici punti di vista, ma dalle analisi presentate alcuni aspetti appaiono particolarmente chiari. Esiste una differenza netta tra pubblico e privato e, se il primo è stato “obbligato” al lavoro agile dalle circostanze, procedendo di fatto ad una semplice remotizzazione del lavoro in presenza, il secondo sembra aver tratto profitto dalla situazione, potendo contare anche su procedure più semplici e modelli organizzativi più snelli che meglio hanno saputo adattarsi, con evidenti risultati in termini di qualità del lavoro agile. Il tema centrale è però come rendere il lavoro agile stabile nel tempo, adattabile alle esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici ed estendibile anche ai contesti più restii o più rigidi. Desta infatti perplessità sia la scelta di molte aziende (spesso le più piccole) di abbandonare il lavoro a distanza, sia la difficoltà di trovare la giusta dimensione del lavoro agile a regime nella pubblica amministrazione che si scontra con aspetti definitori prima che con quelli organizzativi.

Il dispiegarsi del lavoro agile nelle sue caratteristiche ha comunque mostrato alcune debolezze e soprattutto sembra aver riproposto un dualismo tra generi che ricalca i noti e storici disequilibri nel mercato del lavoro, ma anche le significative e persistenti asimmetrie nel lavoro di cura all’interno delle coppie. Rimane, così, poco chiaro se l’ampia volontà delle donne di continuare a lavorare a distanza, soprattutto delle madri con figli piccoli, non sia una sorta di second best choice, paragonabile alla “scelta” (o obbligo?) di lavorare part-time o abbandonare il lavoro per stare con i figli. 

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