In un recente articolo, pubblicato il 19 maggio 2022 su “L’Avvenire.it”, dal titolo “La didattica ibrida spegnerà la luce degli studenti”, Gustavo Piga ha sviluppato una serie di considerazioni critiche sulla “morte” dell’Università dovuta al Covid-19 che, dapprima con l’impiego massiccio ed emergenziale della didattica a distanza (DAD), poi con il ricorso alla lezione mista (una lezione che, grazie alle ICT, viene contemporaneamente effettuata in presenza e a distanza) ha accelerato, unitamente ad altri fattori, la scomparsa degli studenti, paragonati alle lucciole di Pasolini, dai “luoghi” abitati dalla comunità educante. Scopo di questo intervento è quello di formulare una riflessione critica sulla didattica telematica, basata sulle ICT (leva tecnologica principale, insieme alla intelligenza artificiale, del nuovo capitalismo digitale), in riferimento alla perdita di ruolo, da essa indotta, dei Maestri e delle Maestre, un aspetto meno investigato rispetto ad altri limiti della DAD già riscontrati da numerose ricerche sul piano economico, sociale, psicologico, della salute, del capitale umano.
Alla scomparsa fisica degli studenti nelle Università è corrisposta parallelamente l’eclissi simbolica dei Maestri e delle Maestre, un oscuramento che nasce da lontano, che risale agli albori dell’Era del pragmatismo, intendendo per Era del pragmatismo non l’epoca di affermazione degli assunti dell’omonima corrente filosofica che, peraltro, non è nemmeno un sistema unitario (presentando al suo interno molteplici indirizzi), ma più semplicemente un periodo della storia umana contrassegnato nell’episteme da un atteggiamento scientifico in cui l’interesse teoretico viene subordinato a quello pratico o addirittura ad esigenze di mero profitto. In base a questa articolazione cronologica sui generis, effettuata parafrasando la suddivisione operata da Michel Foucault della storia della scienza in diverse Età (M. Foucault, Le parole e le cose, Rizzoli, 1967; L’archeologia del sapere, Rizzoli, 1980), l’Era del pragmatismo è allora quell’epoca caratterizzata dal trionfo del paradigma tecnocratico, da conoscenza iper-specializzata, da un sapere funzionalista, da un’istruzione concepita solo come generatrice di “capitale umano” che deve essere immediatamente spendibile sul mercato del lavoro, dalla trasfigurazione delle istituzioni pubbliche del sapere in “ibridi aziendalistici” operata del neoliberismo. Nell’Era del pragmatismo (ove l’Azione computerizzata ed orientata in senso economicistico prevale sul Pensiero) il successo arride soprattutto ai “tecnologi”, agli “esperti”, agli “specialisti” piuttosto che ai Maestri e alle Maestre,perché i primi sono abili nel raggiungere risultati concreti, quelli che stanno particolarmente a cuore al sistema tecnologico-produttivo; perché sono capaci di trovare, nell’immediato, soluzioni a problemi specifici; perché sono particolarmente bravi nel migliorare lo status quo senza cimentarsi nella elaborazione di una nuova “immagine del mondo”.
I Maestri e le Maestre sono invece convinti che senza Pensiero non ci possa essere un’Azione dotata di senso, ovvero un’Azione in grado di travalicare il “fare” strettamente utilitaristico, anche se nel rivalutare il ruolo del Pensiero non cadono tuttavia nella trappola dell’intellettualismo e/o dell’erudizione sterile. Questo è il motivo per il quale nell’Era del pragmatismo non sono così popolari. Gustavo Zagrebelsky parla di “tempi difficili” per i Maestri (Mai più senza maestri, Il Mulino, 2019, pp. 137-153), Antonio Scurati di “eclissi dei Maestri” (L’educazione scompare dall’orizzonte, in “La Stampa”, 15/2/2018), avvenuta dopo la recente “evaporazione del Padre” rilevata da Massimo Recalcati (L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Einaudi, 2014, p. 24). Il tramonto dell’ordine simbolico della Madre, che ci ha privato di tante potenziali Maestre (anche se la “demografia accademica” sta gradualmente cambiando), è molto più antico dell’evanescenza del Padre (E. Fox Keller, Sul genere e la scienza, Garzanti, 1987; L. Muraro, L’ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, 1991; J.A.Nelson, Feminism, Objectivity and Economics, Routledge, 1996). E` comunque un dato di fatto che, nell’Era del pragmatismo, i Maestri e le Maestre di ogni ordine e grado siano sottopagati e svalorizzati socialmente, nonostante essi debbano fare, in aggiunta al loro lavoro di ricerca ed insegnamento, tutta un’altra serie di compiti eroici, come preservare “l’importanza dei libri in quanto oggetti irriducibili alle merci, oggetti capaci di fare esistere nuovi mondi” (Recalcati, L’ora di lezione,p. 7), riabilitare l’importanza della cultura come antidoto alla dissipazione della vita, rianimare desideri e progetti, slanci, visioni. George Steiner evidenzia in proposito una triplice mission del Maestro/a che è quella di: “risvegliare in un altro essere umano forze e sogni superiori alle proprie; indurre in altri l’amore per quello che amiamo; fare del proprio intimo presente il loro futuro: una triplice avventura senza pari”(G. Steiner, La lezione dei maestri, Garzanti, 2004, p. 171).
I populismi di varia matrice, in auge nel presente, contestando l’Autorità scientifica in vari campi non aiutano ad onorare la fama dei “buoni” Maestri/Maestre, ma anzi hanno inaugurato l’Era della irriverenza. Le ICT contribuiscono, a loro volta, a soppiantare i Maestri tramite gli influencer. Eppure i Maestri e le Maestre dovrebbero ritornare, a patto di mettersi al passo con la rivoluzione tecnologica, ad essere centrali nelle società contemporanee come lo sono stati in altre epoche. Le sfide maggiori della contemporaneità, che possono essere riassunte nel raggiungimento, a livello mondiale e locale, degli obiettivi di Agenda 2030 e nella sconfitta della pandemia con l’uscita dalle quattro crisi ad essa collegate (sanitaria, socio-economica, ambientale, politica), richiedono un vero e proprio “cambiamento di paradigma” in direzione della “complessità”, di una “ecologia integrale”, di un “umanesimo planetario”, di un consolidamento del recente recupero del ruolo dello Stato e dell’etica in campo economico, di un rilancio del multilateralismo e di una riformadelle organizzazioni della governance globale.
Alla costruzione di questo nuovo paradigma possono contribuire, sia a livello globale che locale, per la loro “capacità immaginativa” e “capacità poietica”, proprio i Maestri e le Maestre.
Ma chi è il Maestro/Maestra? La parola Maestro/Maestra deriva da magnus e magis. Il Maestro/Maestra è colui che ha qualcosa in più dei suoi allievi e che è più grande degli allievi (ferma restando la possibilità che, un giorno, il Maestro/Maestra possa anche essere uguagliato/superato dai suoi allievi). Il Maestro, come ci insegna Hannah Arendt, è l’Autorità per antonomasia, l’Autorità non fondata sulla tradizione come quella del pater familias o sul “Potere” in quanto garantita dalla mera appartenenza ad una istituzione del sapere, ma “guadagnata ogni volta tramite il silenzio che onora la sua parola” (Recalcati, L’ora di lezione,p. 4), ovvero basata sul riconoscimento da parte degli allievi (H. Arendt, Che cosa è l’Autorità?, in H. Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano, 1991, p. 132 e p. 147). L’incontro con un vero Maestro/a è una tappa esistenziale decisiva ed aurorale: “Nessun mezzo meccanico, per quanto rapido, nessun materialismo, per quanto trionfante, può cancellare il nuovo giorno che viviamo quando abbiamo compreso un maestro” (G. Steiner, La lezione dei maestri, p. 171).
Il Maestro e la Maestra sono una umile guida nella ascesa alle vette del sapere, ben consapevoli, come lo erano Socrate e Nicola Cusano, dell’impossibilità di sapere tutto il sapere. I veri Maestri si muovono lungo uno stretto crinale alla ricerca di un equilibrio tra affermazione di verità (spirito dogmatico) e continua messa in discussione delle verità stesse (spirito critico), tra trasmissione di conoscenze (istruzione) e trasmissione di valori (educazione). Essi non solo conducono gli studenti lungo le accidentate strade del sapere (anche quelle inesplorate), ma fanno nascere ed alimentano il desiderio stesso del viaggio: “La lezione, lo abbiamo già detto, non deve insegnare questo o quel genere di fatti, generalizzazioni o teorie, ma addestrare al lavoro, creare il gusto della scientificità, dare l’innesco, il lievito all’attività intellettuale. Non è tanto un principio nutritivo quanto essenzialmente fermentativo, cioè tale da portare la psiche dell’ascoltatore a uno stato di fermento” (P. Florenskij, La lezione di una lunga passeggiata. Un’inedito sull’educazione, “L’Osservatore Romano”, 25/3/2010). I Maestri e le Maestre insegnano anche attraverso il loro esempio di vita che rispecchia coerenza tra Pensiero ed Azione. I Maestri e le Maestre non contribuiscono solo alla crescita intellettuale degli allievi, ma anche a quella morale ed alla maturazione di una coscienza civile e politica. Pragmatismo, tecnocrazia, neoliberismo, populismo hanno relativizzato l’importanza dei Maestri e delle Maestre, la rete sembra insidiare la loro funzione offrendo un sapere senza limiti e di facile acquisizione da parte di uno studente sempre più auto-didatta che teoricamente dovrebbe avere bisogno soltanto di un “insegnante-facilitatore”. La didattica a distanza sembra inoltre coltivare l’illusione della trasmissione di un sapere senza corpo efficace quanto la didattica effettuata in presenza. In realtà tanti studiosi appartenenti a differenti discipline mettono in guardia dalla illusione di un sapere disincarnato e sostengono l’indispensabilità del corpo nell’insegnamento/apprendimento per tutta una serie di motivazioni:
- perché il rapporto pedagogico può rientrare, secondo alcuni tra i possibili archetipi di Maestro/a agibili, in una delle tante declinazioni del paradigma della cura che, se si allarga il suo confine morale, ha una molteplicità di destinatari (il mondo, gli esseri viventi, gli esseri umani e, tra questi, perfino gli studenti) e può essere praticata, nella sua dimensione fattuale e simbolica, in una miriade di ambiti (in famiglia, sul mercato, nel Terzo Settore, nella comunità, nel settore pubblico e, all’interno di quest’ultimo, nel servizio educativo) secondo una specifica etica, l’etica appunto della cura che, essendo concreta, contingente, contestuale, richiede prossimità;
- perché l’insegnamento si fonda sulla comunicazione verbale e non verbale: “Ogni insegnante insegna a partire da uno stile che lo contraddistingue. Non si tratta di tecnica né di metodo”. (Recalcati, p. 5). “La presenza dell’insegnante assume la forma di uno stile. Perché quello che conta innanzitutto è lo stile singolare del maestro. Capita ogni volta che un insegnante parla [..] La forza dell’enunciazione coincide con la sua presenza presente” (Recalcati, p. 5);
- perché l’insegnamento è un processo che, fondandosi sulla condivisione di conoscenze (trasmesse e/o estratte in modo maieutico), ha bisogno di dialogo e di socialità autentica (verticale ed orizzontale) in seno alla comunità educante largamente intesa;
- perché l’insegnamento se, come dice la parola, vuole lasciare un segno, deve appassionare, deve mettere in moto il desiderio di conoscere, deve trasmettere l’amore per il sapere: “E` solo l’amore- l’eros– col quale un insegnante investe il sapere a rendere quel sapere degno di interesse per i suoi allievi, a renderlo un oggetto capace di causare desiderio” (Recalcati, p. 88). Le dinamiche tipiche dell’“erotica dell’insegnamento” difficilmente si possono sviluppare in ambienti virtuali asettici mediati dal diaframma di uno schermo, ove il carisma del docente non può manifestarsi nella sua pienezza e la relazione umana viene inevitabilmente depauperata.
Queste considerazioni potrebbero tornare utili alla luce della riconferma, almeno per il primo scorcio dell’anno accademico 2022/2023, già effettuata da parte di molti Atenei italiani, della lezione mista, che sembra ormai incamminarsi verso una sua istituzionalizzazione. Bisognerebbe invece fare un impiego più intelligente e mirato della didattica a distanza (e, quindi, un uso solo integrativo), consapevole dei limiti pedagogici che essa manifesta, tra cui l’impossibilità di creare on line quello spazio (pubblico, libero, infinito) per la divagazione, l’improvvisazione, l’invenzione che è il vero “sale” della didattica dal vivo e che può nascere solo dall’incontro personale con l’Altro. Bisognerebbe concepire un impiego diverso della DAD che eviti lo snaturamento dell’essenza della “lezione in presenza” la quale, secondo Pavel Florenskij, è come una passeggiata:
“[..] la lezione non procede in linea retta, totalmente rinchiusa in una formula razionale ma, come l’essere vivente, sviluppa i propri organi, rispondendo ogni volta alle esigenze che si manifestano in corso d’opera. In tal senso non sarebbe fuori luogo definire la lezione ideale una sorta di colloquio, di conversazione tra persone spiritualmente prossime. La lezione non è un tragitto su un tram che ti trascina avanti inesorabilmente su binari fissi e ti porta alla meta per la via più breve, ma è una passeggiata a piedi [..] Per chi passeggia è importante camminare e non solo arrivare; chi passeggia procede tranquillo senza affrettare il passo [..] Allo stesso modo, l’essenza della lezione è riflettere insieme agli uditori sugli oggetti della scienza, e non consiste nel tirar fuori dai depositi di un’erudizione astratta delle conclusioni già pronte, in formule stereotipate” (P. Florenskij, “La lezione di una lunga passeggiata. Un’inedito sull’educazione”, L’Osservatore Romano, 25/3/2010).