Il 18 ottobre scorso, la Commissione Europea ha finalmente elaborato la bozza di un atto legale , e non solo una dichiarazione politica, contro i rincari dell’energia e per la sicurezza degli approvvigionamenti. Questa decisione è stata presa dopo quasi un anno e mezzo dall’inizio dei rincari dei prodotti energetici (che precede di poco meno di un anno l’invasione dell’Ucraina) e dopo circa due mesi di flessione dei future sul gas (nonostante gli “incidenti” ai gasdotti nord-europei), favoriti anche dalle voci su possibili interventi europei.
I ritardi sono frutto degli interessi contrastanti tra i paesi membri, alcuni dei quali sono produttori o intermediatori di gas naturale e quindi si sono avvantaggiati delle oscillazioni di questa commodity. Tuttavia le indecisioni derivano anche da un approccio teorico secondo il quale il funzionamento del mercato va intralciato il meno possibile, perché questa “piattaforma” è in grado di autoregolarsi, seppure con tempi e modalità non sempre sostenibili per l’economia.
In passato la Commissione ha mantenuto ferma questa posizione anche in presenza di scambi palesemente dominati da oligopoli, asimmetrie informative e imperfezioni di ogni genere. Le prime crepe in questo impianto teorico si sono aperte con la pandemia di Covid, quando furono decisi acquisti centralizzati di vaccini e furono sospese le norme sugli aiuti di stato. Il nuovo progetto di Regolamento, tuttavia, va molto al di là delle deroghe precedenti e prevede esplicitamente controlli sui prezzi (perfino su quelli dei derivati), acquisti comuni e la condivisione delle riserve di gas in caso di difficoltà.
Il provvedimento sull’energia si articola su tre pilastri (per usare il gergo europeo). Il primo incoraggia acquisti congiunti da parte di tutti i paesi membri e li rende sostanzialmente obbligatori fino ad un ammontare pari al 15% delle riserve. Come riconosce la stessa Commissione, si tratta di uno strumento legislativo assolutamente innovativo. Il provvedimento è rafforzato dall’obbligo per i paesi membri di comunicare gli acquisti particolarmente consistenti, cui potrebbero seguire delle “raccomandazioni” da parte della Commissione qualora le operazioni possano influenzare il mercato.
Il secondo pilastro riguarda la costruzione, in prospettiva, di una piattaforma europea comune per gli scambi di gas, alternativa al famigerato Title Transfer Facility (TTF) olandese, che intermedia solo un ventesimo degli scambi ed è di proprietà di fondi americani. La nuova piattaforma, sviluppata assieme alla Agency for the Cooperation of Energy Regulators (ACER), dovrebbe fornire una base affidabile per l’indicizzazione dei prezzi, con volumi di scambi più significativi e quindi quotazioni più stabili. Inoltre si suggerisce agli stati membri di mitigare l’impatto degli elevati prezzi dell’energia, redistribuendo a cittadini e imprese gli extra-profitti realizzati dal settore energetico.
Ma la parte più “rivoluzionaria” della proposta riguarda i limiti al funzionamento del TTF, nonostante esso sia un soggetto di diritto privato che non è sottoposto neanche alla vigilanza della European Securities and Markets Authority (ESMA), che controlla invece l’operatività delle borse valori. In attesa della realizzazione della nuova piattaforma, la Commissione propone infatti un articolato meccanismo di regolazione dei prezzi sul TTF. In particolare si stabiliscono dei limiti (variabili nel tempo) alle oscillazioni dei prezzi al di fuori dei quali le transazioni non sono valide. Si introduce addirittura una banda di ammissibilità (letteralmente: un collare!) per le oscillazioni giornaliere dei derivati sui prezzi del gas. Si estende la tipologia di asset utilizzabili come collaterali per i contratti derivati, includendo perfino le garanzie statali. In tal modo si incoraggia la speculazione al ribasso. Vengono aumentati di un terzo i margini al di sotto dei quali le imprese non finanziarie (ossia essenzialmente quelle del settore dell’energia) possono continuare a sottoscrivere contratti derivati over the counter (OTC), ossia senza passare per offerte pubbliche. Tutto ciò seguirà dopo una ampia consultazione con ACER ed ESMA e dopo la costituzione di una apposita task force.
Il terzo pilastro del provvedimento è altrettanto innovativo. Esso prevede, oltre al solito richiamo al risparmio energetico, la solidarietà tra i paesi membri che, in caso di difficoltà, si obbligano a trasferire le riserve in eccesso ad un prezzo equo a chi è in difficoltà. Tutto in base all’art. 122 (ex 100) dei Trattati Europei che, con rara preveggenza, già dalla fine del 2012, autorizzava misure straordinarie proprio in caso di problemi nel settore dell’energia.
Al di là della ineccepibile continuità formale con le regole europee, questo atto della Commissione rappresenta una significativa rottura sostanziale rispetto al passato. L’aspetto più innovativo è il riconoscimento esplicito che il mercato non è altro che una “piattaforma”, che ha bisogno di essere regolata, anche intervenendo sul comportamento di soggetti privati, come il TTF e coloro che vi operano. Ma la Commissione è andata ben oltre: la distribuzione dei redditi determinata attraverso i meccanismi di mercato può essere insostenibile, oltre che inefficiente e ingiusta. In particolare, se si determinano extra-profitti, è ragionevole ed opportuno distribuirli al resto dell’economia, anche in deroga ai principi del diritto privato e societario. Si tratta di affermazioni particolarmente forti, soprattutto per chi è abituato al paludato gergo delle istituzioni europee. E’ quasi un ritorno allo spirito dei padri fondatori dell’Europa e al Libro bianco di Delors, che è stato forse l’ultimo tentativo di dare una direzione progressista allo sviluppo delle istituzioni e delle politiche europee.
In particolare la condivisione delle riserve strategiche di gas supera di gran lunga la logica del quantitative easing e dello scudo anti spread della Banca Centrale. Riportati alla politica monetaria, gli ultimi orientamenti della Commissione corrisponderebbero infatti alla creazione di un vero e proprio debito pubblico comune, che è qualcosa di più del debito raccolto su base comune e poi suddiviso tra i paesi richiedenti come nella Recovery and Resilience Facility (RRF), concordato nell’ambito del Next Generation EU (NGEU). E la redistribuzione degli extra-profitti è molto più del calmiere sugli interessi sui titoli pubblici sottoposti a speculazione, previsto dallo scudo delle BCE. Per non parlare dei limiti alle oscillazioni dei prezzi, che comporterebbero conseguenze epocali per la sostenibilità dei debiti pubblici. Infine la regolazione imposta ai contratti derivati sul gas, se applicata all’indebitamento dei paesi membri, bloccherebbe sul nascere molti attacchi speculativi, come quelli che hanno caratterizzato la crisi dei debiti sovrani nel 2009-2011.
Non stupisce, dunque, che i governi ed i funzionari europei più conservatori abbiano opposto (e stiano tuttora opponendo) una strenua resistenza a queste misure. Non a caso la proposta della Commissione, dovendo rappresentare il punto di convergenza tra posizioni molto differenti, sposta molte iniziative (come la sostituzione del TTF) al prossimo futuro, senza tuttavia fissare scadenze, e non prevede un apparato sanzionatorio, al contrario di quanto contemplato delle regole fiscali e sulla concorrenza. In compenso la proposta combina sapientemente obblighi e moral suasion, con la consapevolezza che i mercati, anche quelli più imperfetti e speculativi, sono molto reattivi alle aspettative e all’annuncio di cambiamenti nelle politiche. Quindi, oltre a risorse reali, i governi devono utilizzare anche strumenti “psicologici”, sfruttando la propria credibilità. Non a caso al famoso “whatever it takes” Draghi aggiunse il meno noto (ma probabilmente più influente) “and believe me it will be enough”. Ce lo hanno insegnato proprio i padri della nuova macroeconomia classica, che permea ancora molti degli orientamenti della Commissione. La bozza di Regolamento del 18 ottobre può essere dunque considerato riduttivamente un “piccolo passo” solo nell’accezione data a questa espressione dall’astronauta Neil Armstrong.
(*) Le opinioni espresse in questo articolo non coinvolgono in alcun modo le istituzioni con cui collabora l’autore.