ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 180/2022

16 Ottobre 2022

Oltre curiosità e scetticismo: le prospettive occupazionali dei Dottori di ricerca in Italia

Bianca Balsimelli Ghelli e Francesca De Matteis riassumono i principali contenuti del Rapporto 2022 su Profilo e sulla Condizione occupazionale dei Dottori di Ricerca curato dal consorzio interuniversitario AlmaLaurea. I dati presentati nel Rapporto consentono di acquisire una conoscenza dettagliata delle retribuzioni, delle attività e delle prospettive future dei Dottori di ricerca italiani e permettono, allo stresso tempo di diradare l’alone di mistero che spesso li circonda.

Fare il dottorato di ricerca in Italia comporta benefici quando si entra nel mercato del lavoro? Per conoscere meglio le prospettive occupazionali di chi ha svolto un dottorato, nel 2021 il consorzio interuniversitario AlmaLaurea ha contattato 5.255 dottori di ricerca (il 68,6% del totale), che hanno concluso il loro percorso nel 2020 in 45 diversi Atenei italiani. Le informazioni – contenute in un rapporto di recente diffusione  – sono state raccolte sia tramite intervista telefonica che tramite la compilazione di un questionario via web. L’obiettivo principale dell’indagine è quello di rilevare gli esiti occupazionali e le diverse tipologie di attività svolte dai dottori di ricerca e le retribuzioni percepite da questi a un anno dal conseguimento del titolo. 

I dottori di ricerca appartenenti al campione, in cui le donne rappresentano il 50,1%, sono divisi nell’indagine in cinque aree disciplinari: scienze della vita, ingegneria, scienze di base, scienze umane e scienze economiche, giuridiche e sociali. 

Come dato probabilmente più significativo rispetto al beneficio del conseguire un titolo di dottorato, il rapporto rileva come il tasso di occupazione dei dottori di ricerca a un anno del conseguimento del titolo sia pari al 90,9% (valore, peraltro, in aumento di 1,9 punti percentuali rispetto al 2019), laddove, per confronto, il tasso di occupazione dei laureati magistrali a un anno dal conseguimento del titolo è pari al 74,6%. Inoltre, i laureati magistrali necessitano di almeno 5 anni per avvicinarsi ai livelli occupazionali dei dottori di ricerca. 

Relativamente alle aree disciplinari, gli esiti occupazionali risultano essere inferiori alla media per i dottori di ricerca in scienze umane (83,9%) e in scienze economiche, giuridiche e sociali (88,0%) in quanto, in questi ambiti, sono più diffuse le collaborazioni volontarie non retribuite. Le differenze di genere risultano invece più contenute: il tasso di occupazione è pari al 91,7% per gli uomini e 90,2% per le donne, anche se fra le donne nell’area delle scienze umane emerge un differenziale occupazionale positivo rispetto agli uomini (+3,3 punti percentuali). 

Il 60% dei dottori di ricerca è entrato nel mercato del lavoro dopo il conseguimento del titolo e, in media, l’inserimento nel mondo del lavoro è avvenuto a circa 3,3 mesi dal termine del percorso di studio. Tale valore varia da un massimo di 4 mesi per i dottori di ricerca in scienze umane ad un minimo di 2,9 mesi per quelli in ingegneria. Prescindendo dall’ambito disciplinare, un’elevata percentuale dei dottori di ricerca rimane impegnato in attività legate al contesto accademico. Chi era già inserito nel mondo del lavoro prima del conseguimento del titolo (il 40,0% del campione) tende, invece, a non cambiare il tipo di attività svolta (il 75% di questi prosegue, infatti, la precedente attività). 

Il 68,7% di chi già aveva un rapporto di lavoro in corso al momento di conseguimento del titolo registra un complessivo miglioramento nelle condizioni lavorative a seguito dell’ottenimento del dottorato: nello specifico, guardando al sottogruppo di chi dichiara un miglioramento, il cambiamento positivo riguarda le competenze acquisite (70,1% di tale sottogruppo), la posizione lavorativa ricoperta (13,9%), il trattamento economico ricevuto (9,1%) e le mansioni svolte (6,5%). Come prevedibile, il totale delle ore dedicate alla ricerca varia sensibilmente tra chi ha svolto un’attività lavorativa durante gli anni di dottorato e chi no: se il 41,9% dei non lavoratori afferma di aver dedicato alla ricerca più di 40 ore settimanali, poco più della metà di chi lavora contemporaneamente al dottorato ha fatto lo stesso. 

Gli occupati si distribuiscono in modo disomogeneo tra il settore pubblico (65,8%, con un’elevata presenza dei dottori in scienze della vita e in scienze umane), privato (31,6%, tra i quali i più rappresentati sono i dottori in ingegneria), e non profit (2,4%, con un’elevata percentuale di dottori in scienze economiche, giuridiche e sociali). Nel complesso, a un anno dal conseguimento del titolo l’82,8% dei neo-dottori di ricerca risulta svolgere una professione intellettuale, scientifica e di elevata specializzazione. 

I neo-dottori di ricerca occupati si dividono poi tra coloro che rimangono in ambito accademico – il 41,9% (8,4% con borsa post-doc, di studio o ricerca e 33,5% con assegno di studio o ricerca) – e chi invece lavora come autonomo (8,5%) o dipendente (23,8% a tempo determinato e 20,4% a tempo indeterminato). Il rimanente 4,5% si distribuisce tra parasubordinati, collaboratori occasionali, lavoratori con contratti formativi o senza contratto. 

Nello specifico, se i dottori in scienze di base sono i più inclini a procedere con un assegno di studio o ricerca (44%), a sottoscrivere un contratto di lavoro a tempo indeterminato dopo aver conseguito il titolo sono in misura relativamente maggiore i dottori di ricerca in scienze economiche, giuridiche e sociali (28,7%) e in scienze della vita (28,8%). Quello delle scienze umane, invece, è l’ambito che registra la percentuale maggiore di occupati con contratti non standard (29,6%).

In coerenza con i dati qui richiamati, i dottori di ricerca valutano positivamente la loro esperienza, soprattutto per quanto riguarda le competenze dei docenti e l’adeguatezza del carico di studio. Tali impressioni sono inoltre supportate dal fatto che i due terzi dei dottori di ricerca, potendo scegliere di nuovo, non cambierebbe né corso di dottorato né ateneo. È interessante notare che – nonostante solo il 17,2% potendo cambiare sceglierebbe un ateneo non italiano – la percentuale di chi ritiene che il proprio ambito di ricerca riservi maggiori opportunità lavorative all’estero è del 69,7%. I principali motivi che incentivano ad intraprendere un corso di dottorato sembrano essere strettamente legati al contesto lavorativo (acquisizione di professionalità, prospettive di carriera, stabilità e sicurezza, e indipendenza e autonomia) a scapito di prestigio e tempo libero. 

Nonostante ciò, uno degli elementi che più influenza la scelta di fare il dottorato è la retribuzione percepita una volta concluso il percorso. A riguardo, il rapporto AlmaLaurea evidenzia che la retribuzione mensile dei dottori di ricerca (in media pari a 1.784 euro) è nettamente superiore rispetto a quella percepita da un laureato di secondo livello, che mediamente ammonta a 1.407 euro. Fra i dottori di ricerca si registra, inoltre, un premio salariale del 7,6% a favore dei maschi. I neo-dottori occupati all’estero guadagnano in media sensibilmente più di chi rimane in Italia (2.324 versus 1.699 euro). Infine, anche tra le diverse aree disciplinari si riscontrano forti differenze. Le retribuzioni medie più elevate sono percepite dai dottori di ricerca in scienze della vita (1.966 euro) e ingegneria (1.791 euro), mentre le più basse si registrano tra i dottori di ricerca in scienze umane (1.482 euro) a causa dell’elevata percentuale di occupati a tempo parziale. 

Il rapporto di Almalaurea fornisce dati oggettivi per valutare i rendimenti economici medi dello svolgere il dottorato di ricerca in Italia. Non prende in considerazione, però, ulteriori aspetti, non solo monetari, che possono condizionare le scelte degli studenti, amplificando o attenuando il vantaggio economico, quali, ad esempio, le aspirazioni personali, la difficoltà del percorso di studio, lo stile di vita, che rischia di rimanere ancorato ad un contesto prettamente universitario e, non ultimo, il basso ammontare delle borse di dottorato, che rimane costante fino al termine del percorso. 

La risposta alla domanda sui motivi per cui sempre più giovani scelgono di investire ulteriormente nella loro formazione probabilmente non è legata solo a grandezze economiche, ma discende anche, se non prioritariamente, dalle ambizioni del singolo. Questo è testimoniato soprattutto dall’ eterogeneità nell’età degli studenti del primo anno. I percorsi di studio e di vita di provenienza non possono essere racchiusi in un rapporto o nascosti in una statistica, ma i risultati di AlmaLaurea indirettamente lasciano emergere la fiducia dei giovani italiani nel sistema universitario. Essi implicitamente mostrano consapevolezza e lungimiranza nel valutare le condizioni retributive del dottorato di ricerca. 

Sembra, quindi, che sebbene il dottorato rimanga un passaggio imprescindibile per avvicinarsi alla carriera accademica mentre non appaia indispensabile per accedere direttamente al mercato del lavoro, esso non precluda alcuna prospettiva alternativa. Infatti, come corroborato dai risultati dell’indagine AlmaLaurea, una volta ottenuto il titolo di Dottore di ricerca, le prospettive occupazionali migliorano sensibilmente rispetto a quelle di un laureato magistrale e, al contempo, aumenta il livello di competenze spendibili sul mercato del lavoro nazionale ed internazionale. 

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