Ordoliberale e neo-mercantilista: la problematica identità del modello tedesco

Ugo Pietro Paolo Petroni ricostruisce brevemente i fondamenti dell’ordoliberalismo tedesco soffermandosi sul principio della libertà di concorrenza e sulla lotta alle concentrazioni monopoliste. Petroni osserva, poi, che la forte vocazione all’export della Germania ha portato a un singolare connubio tra ordoliberalismo e neomercantilismo, che mostra una tolleranza verso i monopoli in realtà estranea all’ortodossia ordoliberale. Petroni conclude chiedendosi se quel connubio può resistere alle sfide che si profilano per il futuro.

Nel gennaio 2016 a Friburgo, in occasione della celebrazione del 125° anniversario della nascita dell’economista Walter Eucken, Angela Merkel ha affermato l’importanza dei principi ordoliberali nella Germania contemporanea. In particolare la Cancelliera ha espresso la ferma convinzione “che tali principi non hanno perso per niente d’importanza e attualità “. Questa dichiarazione non è di circostanza, come a prima vista potrebbe sembrare; piuttosto essa testimonia la persistenza nel tempo e la pervasività delle idee ordoliberali – e, più in generale, del modello di economia sociale di mercato – che hanno permeato tutti i maggiori partiti politici tedeschi: i Liberal Democratici (FDP), Cristiani Democratici Uniti (CDU/CSU), i socialdemocratici (SPD), la Sinistra (Aufstehen), l’estrema Destra (Alternative für Deutschland).

Quest’ultima formazione politica, nel maggio 2016, in occasione del proprio congresso ha addirittura inserito nel programma alcuni diretti riferimenti a Ludwig Erhard ministro dell’economia nel governo del cancelliere Konrad Adenauer e al suo “Benessere per tutti” (1957), manifesto del progetto di economia sociale di mercato. Alternative für Deutschland nei punti 10.1 e 10.2 della sua piattaforma programmatica ha previsto in particolare che lo Stato deve perseguire una politica di concorrenza e di lotta contro i monopoli, favorendo la libera formazione dei prezzi. E’ davvero sorprendente la longevità di questa corrente di pensiero economico, che ha avuto un ruolo decisivo nel miracolo tedesco della ricostruzione post-bellica e che più di ogni altra ha influenzato la storia della Germania e il suo rapporto con l’Europa dal dopoguerra a oggi.

L’origine dell’ordoliberalismo risale al 1932, al crepuscolo della Repubblica di Weimar, quando Walter Eucken pubblicò un saggio dal titolo “Cambiamenti strutturali nello Stato e crisi del capitalismo”. L’articolo conteneva una diagnosi dei disordini provocati dalla crisi mondiale del 1929, e individuava nella Germania il paese europeo più duramente colpito, anche per via di un’economia male organizzata, sulla quale gravavano gli insostenibili costi delle riparazioni di guerra del primo conflitto mondiale.

Il neologismo “ordoliberalismo”, coniato dallo storico Hero Moeller, viene dal nome della rivista “Ordo”, fondata nel 1948 da Walter Eucken e dall’avvocato Franz Böhm (H.Moeller, Liberalismus.Journal of Economics and Statistics, 1950). Altri membri della redazione di “Ordo”, esponenti della prima generazione ordoliberale, furono Wilhelm Röpke, Alexander Rüstow, Friedrich A. Lutz e Friedrich A. Hayek .

Il nome della rivista Ordo richiamava l’idea dell’“organizzazione di elementi in un tutto, secondo un principio gerarchico, ” presente nel 19° libro della Città di Dio di S.Agostino di Ippona. Il concetto chiave era rappresentato dal valore simbolico dell’ordine, nel senso che i diversi ambiti della vita sociale politica, economica, culturale dovevano trovare dei principi di ordinamento interni, unificanti e distintivi.

Il richiamo simbolico a S. Agostino non era sicuramente casuale; sul finire degli anni ’40, in un periodo in cui si stava ricostruendo la Germania e la coesione dell’Europa continentale, era un modo evidente di ricordare agli europei la comune cultura latina e cristiana.

Il pensiero ordoliberale prendeva di mira tanto il vecchio liberalismo che aveva generato la crisi del 1929 quanto le soluzioni considerate erronee del keynesismo e socialismo. Perseguendo l’obiettivo di superare la crisi, l’ordoliberalismo propugnava il progetto di un nuovo “interventismo liberale”, nel quale uno Stato “forte” doveva poter reggere un’economia “sana”. Si riteneva, infatti, che per consentire al mercato di produrre benessere, lo Stato dovesse assolvere nell’economia la funzione essenziale di stabilire regole giuridiche e amministrative e di farle rispettare.

Dal progetto della prima generazione ordoliberale emerse una forma particolare di liberalismo in variante tedesca a minore intensità individualista rispetto a quello anglosassone. Un liberalismo nel quale restavano in ogni caso precluse allo Stato la produzione di beni o servizi, la redistribuzione della ricchezza o la stabilizzazione dell’economia.

Secondo Ropke la decisione politica fondamentale dello Stato concerneva l’individuazione di politiche economiche “conformi al mercato”, il quale era concepito come una sorta di motore della società, che alimentava il legame sociale tra gli individui. Ropke ha così descritto l’interventismo dello Stato al servizio di un’economia di mercato competitiva: “La libertà del mercato richiede una politica attiva ed estremamente vigile, ma anche pienamente cosciente dei suoi fini e della limitazione del suo campo di attività, una politica che non sia mai tentata di oltrepassare i limiti che le sono assegnati da un interventismo conforme.” (Wilhelm Röpke, La crisi sociale del nostro tempo, Einaudi, 1946)

L’ordine competitivo, considerato la migliore organizzazione economica possibile, si basava su due principi centrali: il principio della stabilità dei prezzi e quello della concorrenza. La concorrenza è stata considerata dagli ordoliberali un principio di libertà, di efficienza e di efficacia, nonché produttiva di effetti benefici sia per i produttori (seleziona i più capaci) che per i consumatori (possono scegliere tra offerte diverse e prezzi diversi.)

Ropke, ha chiarito con parole molto eloquenti, il ruolo e i limiti rispetto all’ambito sociale della concorrenza: “La concorrenza è un principio di ordine nel campo dell’economia di mercato, ma non un principio su cui sarebbe possibile erigere la società nel suo insieme. La competizione è moralmente e sociologicamente un principio più dissolvente che unificante. ..Se la concorrenza non deve agire come un esplosivo sociale né allo stesso tempo degenerare, essa presuppone un inquadramento ancora più forte, al di fuori dell’economia, un quadro politico e morale maggiormente solido. Quindi uno stato forte, incombente ben al di sopra dei gruppi affamati di interessi, una moralità economica molto alta, una comunità di uomini non disgregata pronti alla cooperazione, naturalmente radicati e socialmente integrati “(Wilhelm Röpke, La crisi sociale del nostro tempo, cit.)

Per assicurare il corretto funzionamento della libera concorrenza e bloccare la “privatizzazione” della politica economica, lo Stato ha il compito di intervenire con leggi antitrust all’interno dei meccanismi economici, che facilitano e determinano il fenomeno monopolistico.

Ropke ha evidenziato in proposito che nell’economia competitiva la tendenza alla concentrazione del capitale non conduce necessariamente al monopolio. Tuttavia nel processo economico il monopolio “è socialmente ingiustificabile”, rappresenta “un corpo estraneo e un freno della produttività”. Inoltre esso non si forma spontaneamente nel mercato, senza il sostegno dello Stato, delle leggi, dei tribunali. Anche per Franz Böhm, che era particolarmente interessato alla questione del potere privato in una società libera, la monopolizzazione dell’economia andava combattuta, non soltanto per via dei danni che arrecava al settore commerciale, ma soprattutto perché contaminava la sfera politica (potere legislativo ed esecutivo), influenzando la formazione della volontà generale (Franz Böhm, Rule of Law in a Market Economy, 1966).

A partire dalla legge contro i monopoli del 1947, proprio su impulso della corrente di pensiero ordoliberale si può rintracciare nella legislazione tedesca un forte orientamento istituzionale antimonopolista rivolto a privati e autorità pubbliche

Va rilevato comunque che specialmente nell’ultimo ventennio i governi tedeschi hanno introdotto misure neoliberali e mercantiliste a sostegno dell’economia nazionale, molto proiettata verso le esportazioni.

I princìpi ordoliberali classici sono stati gradualmente mescolati, se non addirittura soppiantati, da misure più adatte alla conduzione di una politica economica di sostegno all’industria nazionale nell’ambito della globalizzazione.

Con buona pace dei paradigmi dell’ortodossia ordoliberale, lo Stato ha finito per trasformarsi in uno dei principali sostenitori della competitività delle imprese tedesche e dei loro interessi competitivi sui mercati internazionali. La combinazione di ordoliberalismo e mercantilismo è avvenuta all’insegna di un elevato pragmatismo assunto dalle élite economiche e politiche, perché su punti assai nevralgici le due dottrine adottano approcci teorici alquanto divergenti.

L’approccio mercantilista, nello sforzo di aiutare la competizione delle imprese nazionali sui mercati internazionali, tende inesorabilmente a favorire le concentrazioni di potere, spesso d’imprese multinazionali e monopoliste. Non può di conseguenza far propria la lotta contro i monopoli e la difesa delle piccole-medie imprese nel mercato concorrenziale, sostenute invece dall’ortodossia ordoliberale. Sul piano poi della politica monetaria l’approccio mercantilista è favorevole a politiche monetarie che contrastino il rallentamento nella spesa di consumatori e imprese. Un cardine ineludibile della dottrina ordoliberale è, invece, rappresentato dalla strenua difesa della stabilità del valore della moneta. Il modello di sviluppo che fonda la crescita economica sull’export, ha consentito alla Germania di acquisire un primato delle esportazioni su scala planetaria. Secondo i dati Eurostat 2016 l’avanzo commerciale frutta alla Germania, crediti per 54 miliardi di euro nei confronti degli Usa, di 51 miliardi nei confronti della Gran Bretagna e di 36 miliardi nei confronti della Francia. Nel 2015 le esportazioni tedesche hanno costituito il 47 % del Pil – a significare come hanno evidenziato Marco Missaglia e Clara Capelli, che la metà di ciò che si produce in Germania viene venduto all’estero (M. Missaglia e C. Capelli, Il capitalismo dei mercanti, 9 giugno 2018).

Ma l’altra faccia della medaglia di tale modello di sviluppo è che si è inteso perseguire la crescita economica anche mediante la riduzione delle importazioni dall’estero. Quest’obiettivo ha provocato in Germania specie nell’ultimo decennio lo schiacciamento della dinamica salariale al di sotto della crescita della produttività del lavoro e una depressione della quota dei consumi interni sul Pil. Ne è derivato inoltre un forte incremento del disagio sociale e delle disuguaglianze tra lavoratori. Tra chi opera nel settore dell’export e chi rimane confinato in attività a bassa produttività, che si accompagnano a bassi e precari salari. Dagli eccessi di tale politica commerciale mercantilista emerge prepotente così una nuova questione sociale. Se n’è fatta portavoce recentemente, lanciando un forte grido di allarme, la leader della sinistra Sahra Wagenknecht: “La Germania sta cambiando in una direzione che molte persone non vogliono. La coesione sociale è persa e il clima sta diventando più aspro e più aggressivo. Se abbandonato a se stesso questo paese sarà irriconoscibile in cinque o dieci anni. (Frankfurter Allgemeine -Wagenknecht lamenta “la crisi tangibile della democrazia” 4 settembre 2018).

Wagenknecht ha indicato in particolare che la ragione principale della “crisi tangibile della democrazia tedesca” è dovuta al fatto che quasi la metà della popolazione non ha beneficiato della prosperità economica del Paese. Il 40% dei cittadini oggi ha, infatti, un reddito reale inferiore rispetto a venti anni fa.

Questa analisi, se fondata, può incrinare sensibilmente le promesse indicate nel manifesto dell’economia sociale di mercato “ Benessere per tutti” di Ludwig Erhard. Nella fase di transizione che accompagnerà la conclusione del ventennio di guida politica della Cancelliera Merkel, andrà osservato se l’ibrido connubio delle idee ordoliberali con quelle neomercantili potrà ancora continuare a sussistere nella cultura politica ed economica tedesca. O se non rischierà di incepparsi ed essere messo in discussione dalle perturbazioni sociali.

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